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Il caso di Pierfortunato Zanfretta

Ultimo Aggiornamento: 20/06/2014 18:53
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15/08/2012 10:19
 
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E ZANFRETTA DISSE: NEGATIVO PER QUESTA DOMANDA, TIXEL"
ESAME CRITICO AL CASO ZANFRETTA

Articolo di Stefano Panizza
Fonte: falsimisteri.myblog.it/archive/2012/07/24/e-zanfretta-disse-negativo-per-questa-domanda-ti...

“Negativo per questa domanda, tixel”.
Fu la risposta che, in modo quasi ossessivo, dette Zanfretta nel corso della sua ultima ultima ipnosi regressiva. In pratica, l’entità che lo avrebbe posseduto, non volle rivelare i propri segreti ad un ipnotista …. troppo curioso.
La storia di Zanfretta è fin troppo nota per doverla ricordare nelle sue infinite sfaccettature. Limitiamoci a qualche cenno essenziale.
Ricordo che tutte le frasi virgolettate, se non diversamente indicato o palesemente estraneo, sono tratte dal libro di Rino Di Stefano citato in bibliografia. Si tratta dell'unico libro dedicato interamente alla vicenda (trattasi della prima di varie edizioni). Visto che il giornalista seguì in via esclusiva le sue varie vicissitudini, deve essere considerato un punto di riferimento imprescindibile per la cronaca degli avvenimenti. Ma, in quanto "cronaca", appunto, non può ritenersi esaustivo sull'argomento, ma solo un indispensabile punto di partenza.
A completamento della ricerca, mi sono recato personalmente in alcuni dei "luoghi zanfrettiani". Il viaggio è veramente impegnativo, con una serie interminabile di tornanti e saliscendi da affrontare.
Lo scopo era finalizzato sia a comprendere meglio alcune dinamiche ambientali, sia per "tastare il polso" alle persone del posto (che sono di una gentilezza straordinaria). E le considerazioni più significative che ne sono scaturite usciranno di volta in volta nel trattare i diversi aspetti della vicenda.



In sintesi, la guardia giurata Piero Fortunato Zanfretta, dipendente dell'Istituto di vigilanza privata “Val Bisagno”, venne ritrovata in stato di choc nella notte tra mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre 1978 nei pressi della villa «Casa Nostra» di Marzano di Torriglia, un piccolo centro dell’appennino genovese.
Questa casa, almeno ora, non è affatto isolata come si legge in giro, è solamente l'ultima che si incontra all'uscita del paese. Per raggiungerla, è, infatti, necessario attraversare il piccolo centro, passando per una stretta volta murata.
Poi, tramite un'angusta stradina che tende a salire, la si ritrova alla propria sinistra.





Poi, il paese finisce, e la strada si avvia verso la montagna.Zanfretta raccontò “ … di un essere mostruoso, spaventoso e molto alto … che non poteva essere meno di tre metri … “.
Era posizionato, avendo la casa di fronte, nell'angolo in alto a sinistra, cioè quello sud.



Una signora di Marzano mi ha spiegato che, in quei giorni, anche un'altra persona affermò di aver visto una specie di uomo gigantesco, ma di averlo confessato solo successivamente per paura del ridicolo.
Nel disegno che segue quanto avrebbe visto Zanfretta.



Costui, per fare chiarezza, chiese ed ottenne di essere sottoposto ad ipnosi regressiva, prima da parte del dottor Mario Moretti, poi anche da altri.
Si fece anche iniettare il cosiddetto “siero della verità”.
Venne, così, fuori che l'uomo avrebbe avuto vari “incontri ravvicinati” con presunti esseri alieni. E le varie sedute fornirono nel tempo dettagli sempre più impressionanti di questi episodi. Zanfretta descrisse gli alieni come esseri di pelle grigia e increspata, con grandi punte sulla testa e occhi triangolari gialli.

Proverrebbero, a suo dire, dalla terza galassia e si chiamerebbero Dargos.
Nel 1981 l’ultimo, presunto, rapimento.
In che termini, allora, si può definire il caso Zanfretta, prendendo la storia nella sua parte più genuina, e cioè quella di fine anni Settanta, inizio Ottanta? Analizzare il resto, infatti, fra scatole aliene e raggi verdi che gli farebbero da promemoria, sarebbe, sinceramente, imbarazzante.
Ad ogni modo, alcuni anni or sono, andai a visitare quello che mi venne indicato, da parte di una storica associata del CUN (Centro Ufologico Nazionale) ed amica di Zanfretta, come il luogo di incontro con la misteriosa scatola (per la precisione si troverebbe vicino alla pianta nella foto di seguito).



Riguardo all'intera vicenda, di prove oggettive ed incontestabili non ce ne sono. Questa è l’unica vera certezza. Purtroppo, come meglio vedrò di giustificare, credo che allora non sia stata fatta una seria indagine. Ciò ha compromesso definitivamente la possibilità di fare chiarezza sui fatti.
Lo stesso CISU (Centro Italiano Studi Ufologici), una delle maggiori associazioni italiane che si occupa di ufologia, si espresse a suo tempo nella sua rivista UFO (citata in bibliografia) in questi termini: "Una prima notazione è infatti sulla qualità dell'informazioni in nostro possesso, che spesso è molto scarsa o inficiata da un'impostazione sensazionalistica e poco scrupolosa, che non consente una comprensione chiara di quali fatti siano riportati fedelmente e quali deformati dalle idee e dalle aspettative di chi ha raccolto i dati".
E proseguì: "È quindi un peccato che all'epoca non sia stata svolta un'azione più approfondita ed organica per approfondire la conoscenza su questi due casi (n.d.r. i primi due presunti casi rapimento) che avrebbe permesso forse di scoprire la soluzione definitiva".
Nonostante questo, si possono fare, ora, diversi ragionamenti interessanti.
Innanzitutto, la stragrande maggioranza della storia esce dalle sedute di ipnosi. E l’ipnosi non da nessuna certezza che quanto raccontato sia oggettivamente reale.
Il rischio che il soggetto giochi di fantasia e che l’ipnotizzatore lo aiuti in questa elaborazione è, infatti, talmente alto che non si può prendere per certo quanto emerga. Vi siete mai chiesti come mai l’ipnosi non sia accettata nei tribunali e che, anzi, negli Stati Uniti chi ad essa è stato sottoposto non possa più testimoniare?
Nelle stesse ipnosi a Zanfretta, forse effettuate da troppi interlocutori, mi sembra che sia stata involontariamente forzata la mano al paziente. Nessuno discute della capacità professionali di chi le fece, però, vi sono, ad esempio, troppe domande di tipo "chiuso". Queste, di conseguenza, potrebbero aver indirizzato la mente di Zanfretta verso una strada di soggettività, anche se sicuramente non voluta.
Prendiamo qualche caso. Nella prima ipnosi il dottor Moretti, all'inizio della seduta, pronunciò la frase "Io vedo un cancelletto, un cancelletto bianco, mi sembra aperto, vero?". Oppure, in un'ipnosi successiva, gli rivolse la frase "E come parlavano con te?". Cioè fu l'ipnotista stesso a fornire al paziente un quadro, seppur parziale, della situazione. Oppure, in un altro esempio, a Zanfretta venne suggerito che Loro gli avessero parlato. Una domanda "aperta" avrebbe, invece, dovuto essere "Ti hanno parlato?".
Questo discorso delle domande "chiuse-aperte" credo sia molto importante. Sull'argomento il già citato CISU si esprime in questo modo nel volume "UFO e ufologia" alla sezione "Il racconto e i dati osservativi": "Mai rivolgere al testimone domande-guida (n.d.r. qui si sta riferendo ad un soggetto cosciente, cioè non ipnosi) quelle cioè in cui è implicita la risposta. Se si chiede subito se un corpo volante era a forma di disco o di sfera, la cosa più probabile è che il testimone cerchi di accontentare chi gli pone le domande adeguando di conseguenza tutto il suo racconto. Se ci dicono che l'Ufo era grigio piombo, non bisognerà chiedere (se) allora poteva essere fatto di metallo, perchè il testimone si è soltanto riferito al colore, non al materiale di cui forse quel corpo poteva consistere".
Nel caso del dottor Rolando Marchesan, poi, venne addirittura dato al metronotte un ordine ipnotico di comunicare a Loro che una delegazione di terrestri sarebbe stata era pronta ad incontrarli.
Inoltre, l'ipnosi venne permessa anche a persone non autorizzate, come all'ufologo Luciano Boccone o al giornalista Rino di Stefano.
Ripeto, lungi da me l'idea di dar lezioni a dei professionisti del settore che sicuramente avranno svolto al meglio il loro lavoro, però, credo sia legittimo porsi delle domande.
E le domande se le è poste anche Lucio Artori, visto quanto scritto in Ufo Notiziario n.68 (rivista a cura del CUN, Centro Ufologico Nazionale).
Si legge infatti che "nella prima seduta sono ravvisabili due leggerezze metodologiche che potrebbero avere influito sull'esito dell'operazione, distorcendo parte del vissuto rievocato da Zanfretta. La prima di esse riguarda la scelta dell'ambiente; per la seduta, infatti, fu scelto lo studio del medico, un ambiente sicuramente non familiare al metronotte (...) La seconda leggerezza metodologica riguarda l'eccessivo numero di persone presenti nella stanza in cui si svolse la prima seduta".
In pratica, il disagio conseguente, potrebbe aver inquinato i suoi ricordi.
Riferendosi all'atteggiamento del dottor Moretti scrive: "Egli commette un grave errore, un errore che non ci si aspetterebbe mai da un professionista. La domanda che egli rivolge a Zanfretta, infatti, è una domanda univoca, in cui è già contenuta implicitamente la risposta; ponendo una simile domanda ad un soggetto ipnotizzato, lo si induce a fornire la risposta suggerita dalla domanda stessa" (la domanda era se, assieme alla cefalea, avesse udito anche un fischio). Questo è solo uno dei vari esempi riportati nell'articolo (anch'io, nei miei, mi sono limitato ad uno stringato estratto).
Tutti coloro che hanno incontrato Fortunato Zanfretta lo giudicano in buona fede, in ogni caso le perizie psichiatriche alle quali fu stato sottoposto denunciano un soggetto suggestionabile e con scarsa capacità critica, emotivamente non equilibrato, e bisognoso di attrarre l'attenzione .
E considerando come l’inquinamento psicologico al quale fu sottoposto, da parte di psicologi, ufologi ed amici sia stato notevole, si può immaginare quanto la sua mente possa essere stata involontariamente condizionata (perché, mai dimenticarlo, il tutto viene filtrato proprio dalla mente).
La stessa figura dell’alieno ricorda in modo sospetto il film Il mostro della laguna nera.



Che lo abbia visto in gioventù e non se lo ricordi?
Così come è sospetto il nome Dargos usato da Zanfretta. Infatti proprio in quel periodo alla televisione nazionale venne trasmessa una fortunatissima serie di cartoni animati di fantascienza dal titolo Goldrake atlas ufo robot. Ricordo che non ne perdetti una puntata. Ebbene, il "cattivo" del programma si chiamava Hydargos.



Non fa pensare?
La storia di Zanfretta presenta, comunque, anche elementi oggettivi che richiedono un’interpretazione.
Prendiamo gli avvistamenti delle luci che a Torriglia molti, a quel tempo, dichiararono di vedere, compreso anche un brigadiere della finanza. Non mi risulta, però, che ce ne siano mai stati direttamente da parte dei carabinieri nè che esistano prove fotografiche.
Il fatto è che siamo nella cosiddetta “ondata ufo” degli anni 1977-1980. Ciò significa che in tutto il Paese la gente giurava di vedere strani oggetti luminosi volare sulle proprie teste. Ma quanto successe a Zanfretta risultò un unicum in quel periodo. Quindi la correlazione fra i due avvenimenti mi sembra alquanto azzardata.
In ogni caso, di quanto raccontato dai torrigliesi, non rimane che la sola testimonianza. In quanto tale, c’è poco da aggiungere perché le variabili che la possono influenzare sono pressoché infinite (buonafede o meno, capacità interpretativa, suggestionabilità, senza dimenticare le invenzioni giornalistiche etc).
Lo stesso dicasi per le dichiarazioni da parte dei colleghi di Zanfretta. Si racconta che, in una occasione, spararono diversi colpi di pistola a due fari luminosi proiettati da dentro una nube.
Fa, poi, pensare la frase che ho trovato in nazioneoscura.wordpress.com/2012/07/14/zanfretta-labduction-di-... (fa riferimento alle 52 persone che confermarono al comandante Nucchi della stazione dei carabinieri di Torriglia di aver visto, la notte del primo rapimento di Zanfretta, un grosso oggetto luminoso su Marzano): "Io conosco molta gente di Torriglia e non ho mai conosciuto uno di questi 52. Probabilmente dissero qualcosa, per poi capire di essere sotto l'effetto della sugestione e nascondere le proprie dichiarazioni".
Sempre in tema di avvistamenti, la ragazza del Punto Informazioni di Torriglia, mi ha spiegato, al contrario, che molta gente, allora, vide "qualcosa" di strano. "E cioè le classiche luci?", ho chiesto. "No, oggetti che sembravano solidi. E a breve arriverà una troupe di Sky per far finalmente parlare i testimoni dopo tanti anni".
Gli ha fatto eco una signora in un bar, confermando quanto, affermando che "è tutto vero, sennò perchè Zanfretta sarebbe andato addiruttura negli Stati Uniti?".
In questi casi, ripeto, è d’obbligo sospendere il giudizio perché non è possibile nessun tipo di verifica.
In altri, invece, i ragionamenti possono diventare più probanti.
Prendiamo le orme gigantesche ritrovate sul posto.



I carabinieri, nel loro rapprto, parlarono di "n.2 impronte di scarpa con tacco della lunghezza di 45-50 centimetri, con suola concava", ritrovate nella ripida strada che da Scoffera porta verso il piccolo centro di Rossi.
Di Stefano, invece, scrisse che "risultavano essere lunghe oltre 50 centimetri". Diciamo che, in sostanza, erano più lunghe del normale.
A proposito di Scoffera, un particolare curioso. Entrando in paese dal lato nord est, cioè in direzione Torriglia, si legge che è nel comune di Torriglia.
Al contrario, accedendo dal lato sud est, vi è scritto che è nel comune di Davagna.
Ora, nel sito italia.indettaglio.it/ita/liguria/torriglia.html viene citato sia nel comune di Torriglia che in quello di Davagna. Forse il paese è diviso amministrativamente diviso in due? Ad ogni modo non è difficile incontrare le pecore fra le abitazioni.
Tornando alle impronte, mi chiedo se sia possibile che un essere animalesco, e con un conformazione del piede/zampa non certo umana, possa lasciare un’impronta appunto … umana (seppur grande). Non potrebbe essersi trattato, più semplicemente, di un affossamento del terreno con quella forma curiosa? In fondo, se riflettiamo, la stessa variabilità delle misure indicano che le impronte non fossero poi così ben definite.
Anche osservando la fotografia (che, son d'accordo, non potrà mai essere paragonabile ad una visione diretta), quello che si nota è il bordo esterno del presunto tacco ed una linea che attraversa la suola nel punto in cui questo si congiungerebbe con la parte mediana e puntale della scarpa. Oltre faccio fatica ad andare, senza considerare che la linea mediana sembra proseguire oltre la scarpa medesima (il tratto è interrotto dalla scarpa di un carabiniere).
Ci sono, inoltre, due particolari che possono aver influito notevolmente sulla forma e dimensioni delle impronte: la pioggia e il freddo intenso ("pioveva a dirotto, il termometro segnava quasi zero gradi").
Consideriamo, innanzitutto, che vennero viste inizialmente di notte e sotto la pioggia, quindi in condizioni di non facile valutazione. Poi, si fotografarono il giorno seguente in termini ambientali decisamente migliori. Il punto è che la pioggia, allagandone l'incavo, potrebbe averne alterato la forma. E non ci sarebbe da sorprendersi se il freddo intenso avesse creato un leggero strato di ghiaccio.
Se così fosse, la fase di congelamento-scioglimento avrebbe sicuramente aumentato le dimensioni delle tracce. Basti pensare ad una bottiglia d'acqua messa in freezer: si rompe, perchè il ghiaccio fa aumentare il volume dell'acqua.
Poi, mi chiedo, come mai solo due impronte? Se così fosse, il presunto essere non si sarebbe neppure mosso. Il che apparirebbe un po' strano.
Credo, comunque, di essere risalito al punto esatto in cui le impronte vennero ritrovate.







Non ne sono sicuro al cento per cento, in quanto la ricostruzione è partita da una fotografia dell'epoca, e in trent'anni le cose posso un po' cambiare. In ogni caso, il posto, se non il medesimo, è molto simile a quello originario.
Veniamo, ora, alla cosiddetta traccia a ferro di cavallo, ritrovata nei pressi della villa (alla fine ne furono ritrovare due, qui analizzo quella di cui forse si è parlato maggiormente, profonda tre cm, larga quindici e dal diametro di tre metri).
Il prato appartiene, almeno ora, ad una proprietà diversa rispetto a quella della villa "zanfrettiana". Questa è visibile sullo sfondo, con l'angolo di sinistra (coperto da una pianta) testimone della presenza del Dargos.



L'immagine originale dell'impronta è consultabile in www.rinodistefano.com/it/articoli/zanfretta.php.
Il brigadiere Antonio Nucchi, comandante della stazione, a proposito, invece, dell'altra impronta, comunque poco visibile, dichiarò "Pareva che qualche oggetto di quella forma, piuttosto pesante, fosse stato appoggiato sull'erba. La vegetazione, infatti, appariva piuttosto schiacciata ... Ci sono troppi indizi che confermano l'ipotesi di un Ufo".
Senza nulla togliere alle capacità investigative del comandante, mi sorge spontanea una domanda: essendo l'Ufo, per definizione, un qualcosa che non si sa cosa sia, è legittimo coinvolgerlo nella legge causa-effetto? Non sapendo nulla di esso, come si può ipotizzare i suoi effetti?
In ogni caso, analizzare il problema significa dover rispondere a due domande: cosa abbia provocato la traccia più definita e fotografata e come mai non ce ne siano altre oltre a questa.
L'ipotesi "mezzo agricolo" credo la si possa scartare, in quanto, da un'indagine che ho fatto, non sembra essercene uno in grado di provocare una tale figura.
Idem per l'idea "elicottero", perchè non esistono pattini a ferro di cavallo.
Più interessante mi sembra l'ipotesi "veicolo a due ruote".
Non potrebbe, infatti, essere stata la traccia lasciata da una vespa o motorino? Ho fatto una piccola ricerca, ed ho scoperto che i "15 cm" sono proprio la larghezza della gomma di alcuni moderni scooter, come la Pirelli Diablo Scooter 150/70 R14 66S.
Se le Vespe del tempo avevo gomme con misure inferiori, come la Primavera (8 cm) e il PX (9 cm), non si può dire per le moto di cilindrata superiore.
Come giustificare, però, il fatto che l'impronta non proseguisse fino all'uscita del campo? Una eventuale moto non poteva certo aver volato per andare nel mezzo dello spiazzo.
Per rispondere a questa domanda sarebbe stato importante aver analizzato il terreno. Perchè le caratteristiche di una traccia sono legate alla sua tipologia (calcareo, argilloso etc), all'acqua di cui si impregna (in zona "la neve era accumulata ai bordi") e alla pesantezza dell'oggetto che vi si appoggerebbe. Nello specifico, il terreno potrebbe aver avuto una distribuzione di minerali non omogena, ma, soprattutto, per la presenza di un leggero avvallamento, aver "bevuto" più acqua ed essere quindi meno compatto rispetto ad altre zone.
Ho voluto fare una prova. Abitando in campagna, sono circondato da campi coltivati o di semplice erba.
Visto che sono percorsi da mezzi agricoli, desideravo capire se potessero esistere tracce non continue del loro passaggio. In pratica, lo scopo era trovare segni isolati dei loro spostamenti, quindi non i classici binari di entrata e uscita dalla strada che costeggia l'appezzamento di terreno.





Ebbene, come immaginavo e come si può vedere, li ho trovate, e velocemente. Da un binario di semplice erba schiacciata si passa a veri e propri solchi che vanno in profondità. Il che dimostra che avere tracce isolate è tutt'altro che strano.
Ritornando a Marzano e osservando il campo dal vivo, ho notato una chiazza brunastra tra lo spigolo nord della casa a cui appartiene e il lato est di "quella" di Zanfretta. E, al di sopra di questo segno, zone di verde dall'apparenza diversa.



In altre parole, il campo, al di là delle cause, non sembra presentarsi, almeno ora, in modo omogeneo, e neppure perfettamente livellato (purtroppo la foto non rende bene quest'ultimo particolare).



Ritornando ai tempi andati, mi chiedo, poi, se furono interrogati i proprietari del terreno per sapere se avessero fatto precedentemente un qualche lavoro agricolo o già notato quella traccia. Oppure se si cercò di capire quanto fosse recente. Insomma, mi chiedo, se venne fatta una qualche indagine per andare oltre la semplice apparanza?
Purtroppo non mi risulta.
Ma, forse, le cose stanno in termini molto più semplice, almeno a giudicare da quanto mi hanno confessato due persone di Marzano.
Ho avuto la fortuna di incontrare una signora anziana che vide personalmente quella traccia a ferro di cavallo. Vediamo ricostruito il botta e risposta tra lei e me.
"Secondo lei, cosa può essersi posato sopra?".
"Perchè mi dice posato?".
"Beh ... il segno era profondo tre centimetri ..."
"E questo chi glielo ha detto?".
"L'ho letto ...".
"Guardi, non è assolutamente vero. L'ho vista con i miei occhi. L'erba era appena calpestata, aveva solo di particolare un colorito diverso dal resto, come se fosse stata colpita da un qualche fungo".
Che valore dare a questa testimonianza?
Ugualmente interessante ho trovato le dichiarazioni di una giovane signora.
"Lo so io che cosa provocò quella traccia!".
"E come fa, visto che al tempo doveva essere stata una bambina?".
"Me lo raccontava sempre mio padre ... e rideva di tutte quelle storie di alieni e dischi volanti ..."
"E quindi?".
"Cavalli, quei segni li lasciano i cavalli con il loro scalpiccio".
"E suo padre come faceva ad esserne così sicuro?".
"Perchè li allevava".
Affermazioni che, in ogni caso, trovo significative.
Ma la traccia era, poi, davvero a ferro di cavallo?
Perchè non tutti sono d'accordo.
Ad esempio, Ade Capone, nel libro citato in bibliografia, ha scritto recentemente di "... un grande segno circolare, come nella migliore tradizione dei dischi volanti". In realtà, almeno qui, misteri non ce ne sono. Basta osservare l’immagine per rendersi conto che le cose non stanno affatto così.
A sua discolpa, la confusione generata dal fatto che nel libro di Di Stefano si parli di "segno semicircolare" mentre nel suo sito web di "due impronte a forma di ferro di cavallo".
Altro presunto fatto strano, la velocità “impossibile” con la quale l’automobile di Zanfretta avrebbe percorso un tortuoso sentiero di montagna. "Secondo successive ricostruzioni dei fatti, nel momento in cui stava dando l'allarme, Zanfretta si trovava all' interno della galleria della Scoffera".
Il metronotte avrebbe, anche, fatto accenno ad un cartello con scritto "Rossi".
Il problema è: come è stata calcolata la velocità del metronotte? In base alle sue indicazioni via radio, presumo, che avrebbero permesso di identificare gli elementi topografici citati. Ma quanto dichiara un soggetto in uno stato mentale alterato può essere attendibile?
L'utilizzo delle onde radio di una trasmittente sarebbe, invece, stato più efficace? In effetti una di queste venne successivamente nascosta nella parte posteriore dell'automobile, ma servi solo per localizzarlo approssimativamente. Perchè, dunque, non è attendibile tale sistema per individuare con precisione la posizione di un soggetto? Ricordo che siamo alla fine degli anni Settanta e non parliamo di "satellitari", nè siamo in ambito militare. Un semplice emettitore di segnale non può fornire indicazioni precise, considerando che la zona è montagnosa e piena di curve. Si legge, infatti, "il segnale cominciava a farsi sentire e andava aumentando di volume man mano che la radiomobile si avvicinva alla 127 ...".
Passando ad un'altra presunta anomalia, il fatto che dei morsetti posti alle ruote della sua auto, in una occasione, fossero saltati, non prova nulla.
Perchè non è necessariamente un segnale che sia stata portata in aria, come invece suggerito. E, poi, può un solo esperimento essere significativo? Direi di no.
Al proposito si scrisse: "Un aspetto dei racconti di Zanfretta che aveva suscitato molte perplessità era il sollevarsi dei mezzi su cui si trovava quando gli extraterrestri lo attiravano nell'astronave. Dal momento che in un caso del genere le ruote, non più posate per terra, convergono verso l'interno, il (nd.r. tecnico) Buonamici fissò tra la carrozzeria e gli assi dei mozzi-ruota dei cavetti d'acciaio a rottura prefissata".
Una prova di sollevamento confermò la loro rottura. E quando la macchina di Zanfretta venne controllata dopo la sua esperienza si vide che "i fili d'acciaio collegati ai mozzi ruota erano tutti spezzati".
Deciso a far chiarezza su questo punto, mi sono recato da un amico meccanico. Essendo prossimo alla pensione, si potrebbe dire "una vita fra i motori". A suo modo di vedere, l'esperimento è consistito nell'inserire dei cavetti negli ammortizzatori.
In pratica, la molla dell'ammortizzatore, alzandosi, avrebbe spezzato i cavetti infilati fra le sue maglie. Il fatto, poi, che le ruote convergano non centra nulla, perchè questo movimento non agisce in modo significativo sugli ammortizzatori stessi.
Ma quando si alza questa molla?
Sicuramente quando l'auto viene sollevata.
Ma solo in questo caso?
Assolutamente no.
Perchè la sua funzione è quella di andare costantemente su e giù per togliere rigidità alla vettura nel proprio incedere.
Quindi, l'esperimento avrebbe dovuto stabilire a monte quanta l'elasticità, che ripeto è sempre presente, fosse stata, diciamo, normale e quanto invece no. Cioè, in pratica, se l'allungamento della molla è "tot" significa che è dovuto alla semplice conduzione dell'automobile, oltre a quanto, significa che le cause sono diverse.
Ma come si fa a calcolare questo limite?
Ed è qua che iniziano i problemi, anzi direi dei grossi problemi.
Perchè questo è fortemente legato a tre fattori: la tipologia del fondo stradale, la velocità di guida e lo sviluppo del percorso.
In pratica, guidare su una strada sconnessa, a forte velocità ed affrontare molte curve, significa far lavorare tantissimo gli ammortizzatori (che vanno su e giù quando l'auto si piega di lato per una curva o davanti per una frenata o viene sballottata dal fondo dismesso).
Ora, come è la strada percorsa da Zanfretta (stiamo parlando della solita strada per Rossi)?
Di Stefano, che rifece la strada per rendersi conto delle sue condizioni, scrisse che "le curve erano strettissime", mentre, in altra sede, che l'asfalto non era sconnesso.
Zanfretta, sotto ipnosi, dichiarò "E io accelero ... belàn che frenata!". Prendendo con il necessario beneficio del dubbio le affermazioni del metronotte, rimane il fatto incontestabile che siamo in montagna, vi sono tante curve e le frenate sono inevitabili.
Ho percorso con la mia auto quella strada e posso assicurare che è "allucinante", la strada è stretta ed è un susseguirsi initterrotto di curve, spesso a gomito.







Cioè vi sono due delle tre condizioni affinchè gli ammortizzatori lavorino al massimo.
Quindi, siamo ancora così sicuri che la colpa della rottura dei ganci sia da imputare unicamente ad un eventuale sollevamento dell'auto?
Sarebbe stato interessante ripetere l'esperimento dei ganci su un medesimo veicolo, sulla medesima strada e guidato da una persona diversa da Zanfretta.
Come mai non è stato fatto?
Per questo all'inizio dell'articolo parlavo di "occasione persa", perchè sarebbe bastato fare questo semplice esperimento per togliere, nello specifico, molti dubbi (e non fu la sola "occasione persa").
Vi è poi il mistero del Monte Fasce (l'idea originaria era di visitare anche quello e la via che porta verso Genova, ma, le decine di chilometri di tornanti che avrei dovuto aggiungere ai tanti già fatti, sono stati più che scoraggianti).
Veniamo ai fatti.
In pratica Zanfretta, in giro d'ispezione con una Vespa "tra i quartieri di Quarto , Sturla, Quinto e Nervi" posti nella parte est della città, ad un certo punto, sparì (esattamente "qualche minuto dopo la mezzanotte").
Visto che era in costante contatto radio, immediatamente scattò l'allarme e tutte le strade che portano alle alture vennero accuratamente controllate. La motocicletta fu ritrovata "soltanto oltre due ore dopo" in cima al Monte Fasce (832 slm) e con "il motore freddo, non più tardi di 10 minuti dopo, al massimo un quarto d'ora, che lui era arrivato ", quest'ultima affermazione da parte del tecnico Giuliano Buonamici.
Zanfretta, invece, due km più lontano verso la località di Uscio.
Come può essere sfuggito ai controlli, considerando che, a quanto si legge, esiste una sola strada, Via Apparizione, che porta su quel monte e, quindi, messa sotto controllo (ma anche altre strade furono pattugliate)?
In più, come mai il motore venne trovato freddo, nonostante fossimo in piena estate e la salita è piuttosto impegnativa?
La spiegazione più semplice, ancorchè indimostrabile, è che il "blocco" in Via Apparizione venne messo quando Zanfretta era ormai passato e che la zona da controllare in modo mobile fosse troppo vasta.
Poi, osservando i percorsi stradali, mi vengono dei dubbi.
Di "Via Apparizione" ce ne sono due, oltre alle "Salita Poggio di Apparizione" e "Via Canneto di Apparizione".
Una collega Via Posalunga e Via Tanini, e direi che non c'entra.
L'altra, invece, Via Visconte Maggiolo a Via Monte Fasce. Ed è quella che fa al nostro caso (sembra stretta come si legge nelle cronache del tempo).
Il problema è che, in realtà, alla strada Via Monte Fasce (in giallo nell'immagine più sotto), la cosiddetta SP67 e che è quella che porta in cima, ci si può accedere, oltre che da Via Apparizione, anche da altre due vie. Dipende da quale parte di Genova si provenga. Ora, Zanfretta stava controllando una zona piuttosto ampia, e cioè i quartieri di Quarto, Sturla, Quinto e Nervi, che occupa diversi km quadrati. Come si fa, dunque, a capire da quale parte abbia imboccato la via per il monte, che esiste dalla fine degli anni Sessanta, una volta arrivato in zona? Potrebbe, ad esempio, aver scelto Salita Carrupola, che è una parallela di Via Apparizione, o più a sinistra Salita Staiato.



Curioso è anche il discorso del motore caldo, riguardo al quale si possono fare alcuni interessanti ragionamenti.
Ad oltre 800 metri di quota, dopo la mezzanotte, si possano avere, anche in luglio, temperature di 17-18 gradi.
Difficile calcolare la strada percorsa dalla Vespa, non conoscendo l'esatto punto di partenza e di arrivo, ma, guardando la cartina della città, credo si possano ipotizzare un 10-12 km (in ogni caso qualche km avanti e indietro non fa cambiare il significato del ragionamento). Anche la velocità della motoretta potrebbe essere valutata in 40-50 km/h, considerando che la strada è in salita e piena di curve. Di conseguenza il tempo impiegato per salire si aggirerebbe sui 15-20 min.
Di Stefano scrive, come visto, che la Vespa venne ritrovata "soltanto oltre due ore dopo", Buonamici, invece, "10 minuti dopo, al massimo un quarto d'ora che lui (nd.r. Zanfretta) era arrivato".
Come interpretare quanto?
Buonamici è arrivato prima degli altri, cioè ben prima delle due ore, visto che Zanfretta non può averci messo più di 15-20 minuti?
Oppure che Zanfretta ha impiegato molto più tempo del previsto e quando sono arrivati i suoi colleghi, cioè dopo oltre due ore, era solo 10 minuti che era arrivato?
Oppure c'è una discrepanza nelle due versioni?
Magari la verità sta in un'ipotesi mista, e cioè che "Zanfretta era arrivato dopo pochi minuti, i suoi colleghi dopo 2 ore e il motore della Vespa era freddo"?
Se le ricerche iniziarono subito dopo che l'operatore radio capì che c'era qualcosa che non andava nelle parole di Zanfretta, togliendo il tempo percorso dalla Vespa per salire sul Monte Fasce, si può ipotizzare, allora, che il suo motore sia rimasto spento dall'una e mezza alle due ore.
Il motore non potrebbe essersi raffreddato nel frattempo e che quindi fosse normale trovarlo freddo?
Ho posto la domanda ad alcuni conoscenti che possiedono una Vespa degli anni Ottanta.
Tenendo conto delle informazioni presunte che ho loro fornito (distanza percorsa, tipologia di tragitto, velocità, condizioni climatiche) mi han spiegato, senza eccezione di sorta, che il motore di una Vespa, grazie anche ad un raffreddamento forzato ad aria dovuto ad una ventola, perde calore in meno di un'ora.
Quindi, ritrovarlo privo di calore dopo oltre due ore è assolutamente normale.
Io credo che, in ogni caso, prima di avventurarci nello spiegare tutte le possibili ipotesi, sarebbe importante conoscere quale siano i dati certi su cui ragionare.
E poi, in base a questi, fare una simulazione per rivivere i fatti vissuti da Zanfretta e vedere quali risultati escano.
Non credo, però, che quanto sia stato fatto.
E, rimanendo in tema, altrettanto interessante mi sembra il discorso temperatura applicato ad un'altra situazione.
L’interno dell'auto del metronotte registrò una temperatura di 43° (vi sono precise testimonianze sulle quali non è lecito dubitare). Lo stesso Zanfretta venne più volte trovato “caldo” in pieno inverno.
Nel secondo caso uno stato di grande stress (indipendentemente dal fatto che la causa sia reale o meno) può produrre febbre alta (ed in alcune fonti si scrive che Zanfretta avesse davvero la febbre in quelle occasioni). Ciò può far apparire caldo il corpo. Ricordo, comunque, che la stessa attestazione di calore è soggettiva. Naturalmente si tratta di semplici, ma doverose ipotesi. Nel primo, invece, non ci sarebbe (apparentemente) spiegazione attendibile.
In realtà la faccenda potrebbe essere più complicata di quanto sembri.
Pur non contestando la veridicità delle testimonianze, mi sono sempre chiesto come mai manchi almeno una fotografia che attesti un fatto così clamoroso (mentre esiste per i cavetti). Potrebbe, trattarsi, naturalmente di una semplice dimenticanza.
Non sono, poi, riuscito a comprendere esattamente il funzionamento dello strumento di registrazione. Si legge, infatti, di " ... un termometro a memoria che registrava la temperatura massima a cui era sottoposto".
Sembra, quindi, che vi si potesse leggere un solo dato, cioè quello con il valore maggiore.
Da indagini che ho fatto, oggigiorno almeno, esistono essenzialmente due tipi di apparecchi. Quelli che registrano la temperatura corrente ed hanno memoria di quella minima e massima, ma senza un'indicazione temporale. Oppure altri in cui è possibile impostare il tempo di lettura e, di conseguenza, si ha un abbinamento di orario-temperatura, ma si perde quanto succede fra gli intervalli di tempo.
Entrambi i tipi, però, non sembrano corrispondere al modello usato per Zanfretta, limitato ad un solo dato, la temperatura massima e senza nessuna inducazione cronologica.
Naturalmente è possibile che esistono altri tipi di modelli, ma, in fondo, il problema non è questo, ma come funzionava il tipo usato per il metronotte.
Allora, se l'ipotesi formulata è corretta, come sembra dal testo e considerando che alla fine degli anni Settanta la tecnologia era molto inferiore a quella odierna, si può essere sicuri che il dato registrato coincida temporalmente con l’avvenimento dichiarato da Zanfretta?
Ricordo, infatti, che il controllo dell'apparecchio avvenne alcune ore dopo i fatti terminati alle ore 3, e cioè alla mattina successiva, ed il libro di Di Stefano non cita orari di lettura.
Ed in quelle ore, il termometro è rimasto incustodito?
Purtroppo qualcuno avrebbe potuto sfruttare la storia per fini commerciali. Magari per un film (non quello poi realizzato in dialetto genovese).
Nella storia c'è, poi, un particolare che non mi quadra.
Si legge, infatti, ed in riferimento a quando il metronotte venne ritrovato, che "Zanfretta giaceva seduto e ormai mezzo assiderato". Questo dopo che i soccorsi erano giunti velocemente "da non più di un quarto d'ora dopo Zanfretta, per cui non poteva esserci un grosso vantaggio da parte sua".
Quindi, come ha fatto la guardia giurata ad essere mezza congelata solo dopo pochi minuti aver ricevuto una "scaldata" di 43° all'interno della sua auto? Che Loro se la siano presi con questa solo dopo che Zanfretta era sceso? Se così fosse, il fatto sarebbe dovuto, allora, accadere a ridosso dell'arrivo delle persone accorse, che però non notarono nulla di strano.
Peccato non aver controllato immediatamente l'auto.
Purtroppo un'altra occasione persa.
Trovo, poi, significative le dichiarazioni che fece a suo tempo Luigi Cereda, titolare della licenza d'esercizio dell’istituto di vigilanza Val Bisagno, cioè il n°1 dell’azienda.
Naturalmente le dichiarazioni "pro" mistero furono tante, ma sostanzialmente non aggiungono nulla ai fatti riportati. Quindi, mi è sembrato interessante riportare una voce "fuori dal coro".
Egli seguì il metronotte nel suo ultimo appuntamento (siamo negli anni Ottanta). Disse “Non successe nulla … non c’erano segni di surriscaldamento del veicolo … era tutto in termini assolutamente normali … Zanfretta, invece, denunciava sintomi di non completa presenza … accusava forti dolori alla testa”.
Sarà stato solamente sfortunato?
Perchè questa dichiarazione evidenzia un particolare curioso che si coglie leggendo tutta la casistica: nei casi in cui Zanfretta e la sua auto vennnero ritrovate "calde" sul posto, cioè a fatto appena accaduto, erano presenti unicamente i suoi colleghi. Similmente per gli "spari nella nuvola" e la "vespa bollente" del Monte Fasce. Nei casi in cui, al contrario, c'erano il giornalista Di Stefano, il capo della "Val Bisagno" e le forze dell'ordine, non successe nulla.
Come interpretare questo fatto?
A proposito di dichiarazioni conflittuali, Zanfretta riferì, in riferimento alla villa “Casa Nostra”, di aver trovato il cancello aperto e la porta spalancata.
Al contrario quando arrivarono i colleghi in suo aiuto, trovarono il cancello e la porta chiusi. Non credo che si possa pensare che Loro, prima di andarsene, siano stati così cortesi da chiudere la porta.
A dire il vero alla pagina misterobufo.corriere.it/2011/05/24/ufo_xifiles_ovni_incontri_ravvicinati_et_alieni_ab... il curatore Flavio Vanetti scrive: "L’ingresso, oggi con una porta a vetrata, era stato completamente divelto".
E quindi?
E prosegue: "L’orto e il giardino (una parte adesso è stata modificata, con la creazione di alcuni terrapieni) erano devastati, come se fosse passato un tornado (esistono foto e documenti agli atti). E pur essendo praticamente inverno, c’erano ampie zone di erba bruciata. (...) Su tutte (n.d.r. le bruciature) ne spiccava una a ferro di cavallo e dal diametro di almeno una dozzina di metri". Sinceramente non so quale possa essere la fonte di queste informazioni nè dove rintracciare le fotografie citate.
Altro presunto fatto misterioso, l’anticipazione di Zanfretta che Essi avessero appena fatto un po’ di “casino” in Spagna. Fatto riportato il giorno seguente da diversi quotidiani.



Il problema, però, sta in questi termini: quanti avvenimenti ufologici ci furono in quel periodo? Tantissimi, ricordo ancora che eravamo nel grande flap di fine anni Settanta.
In Australia, infatti, il pilota Valentich scomparve mentre inseguiva un ufo, così come tante furono le segnalazioni in tutto il resto del mondo, dagli Stati Uniti ai Paesi Arabi (e nel 1977 uscì il film Incontri ravvicinati del terzo tipo …).
Basta, allora, scegliere la notizia ad hoc ed il gioco è fatto. Se Zanfretta avesse detto “Francia”, anziché "Spagna", ci sarebbe stato un avvistamento che avrebbe calzato ugualmente a pennello. Perchè non tutto quello che succede può essere riportato dai giornali, per ovvi motivi di spazio. In quegli anni furono migliaia le segnalazioni raccolte dagli ufologici, ma non altrettante quelle riportate dai giornali. Questi fanno delle scelte, seguendo determinate logiche.
E, poi, bisogna sempre porsi la domanda giusta: quante volte Zanfretta ha fatto previsioni e non ci ha “beccato”? Da quando, poi, è uscita la storia della scatola extraterrestre che va periodicamente ad azionare, mi sembra che la “cilecca” sia regola (vado a memoria, il 2010 doveva essere, a suo dire, l’anno del “contatto” o quasi).
Parliamo, ora, dei capelli bianchi, divenuti tali nel giro di pochi mesi. Se da una parte possono essere causati da un forte stress (le cui cause sono infinite, non necessariamente “aliene”, come ad esempio relazioni famigliari tormentate), dall’altra il motivo può essere dovuto a malattie, come l'anemia perniciosa e i disturbi alla tiroide. Sarebbe stato interessante conoscere se nella sua famiglia questo “inbianchimento” precoce fosse già stato presente. Ma, poi, è vera questa storia che circola sui “capelli bianchi”? Ho provato a far passare le varie foto che riprendono Zanfretta in tutte le “salse”, ma i capelli sono sempre inesorabilmente neri.
I colleghi hanno, poi, dichiarato che, in fase di inseguimento del metronotte, si spensero le luci ed il motore della loro auto. Sarebbe interessante porre la domanda in questi termini: quante altre volte si spensero senza inseguire Zanfretta? Perché la mente ha la tendenza a fare una selezione della memoria. Proviamo a riflettere sulla storia “penso una persona, suona il telefono”. Nessuno si chiede mai quante volte si sia pensato a determinate persone ed il telefono sia rimasto muto.
Si legge, inoltre, che il metronotte parlò in ipnosi con una lingua sconosciuta. Ma se è sconosciuta come si fa a capire che è una lingua strutturata e non un’insieme di involontarie farneticazioni? Inoltre la trascrizione venne fatta da Di Stefano sulla base di quanto udibile dal nastro registrato. Ciò pone due problemi: la corretta interpretazione della mente (pur nel massimo della buona fede) filtrata da quanto proveniente da un organo di senso, l'udito, e la qualità della registrazione effettuata su un registratore analogico, quindi con nastro magnetico. Giustamente il già citato Artori si chiede come mai a volte quanto venga udito come "c" venga scritto come "K", o sia inserito il termine "the" all'inglese. Ed in riferimento al linguaggio scrive di "un lessico estremamente ridotto" che certamente fa a pugni con il concetto che noi abbiamo di una civiltà evoluta.
C’è anche la storia dell’urina scura, espulsa alla fine di ogni rapimento. Se è vero che le cause possono essere diverse (come ad esempio un intenso sforzo muscolare), è sospetto il fatto che non l’abbia mai fatta analizzare, nonostante gli fosse stato espressamente suggerito. Per la cronaca non gli furono rioscontrate patologie tali da esserne la causa.
Poc’anzi si parlava della buona fede di Zanfretta. Lo conobbi diversi anni fa durante un convegno a Seregno al quale eravamo stati entrambi invitati.



I pochi minuti del colloquio mi convinsero di avere di fronte una persona sincera. Seppi, successivamente, che nell'istituto religioso, dove credo ancora lavori, si distinse per un atto di encomiabile coraggio salvando un gruppo di anziani da un incendio che li era scoppiato.
Il fatto, però, di non aver portato uno straccio di prova nonostante i ripetuti contatti con i suoi presunti rapitori, non depone sicuramente in questo senso. La stessa vicenda giudiziaria in cui venne coinvolto non può che gettare ombre sulla sua figura. Sotto un estratto della notizia apparsa sui quotidiani del tempo.


(13.10.1993) LaStampa - numero 279
Il metronotte che ha visto i marziani è accusato di aver rubato alla Coop
Fortunato Zanfretta, il metronotte che nel 1978 disse di avere avuto ben tre incontri ravvicinati del «terzo tipo» con i marziani, ora è finito nei guai con la giustizia. E' indagato di peculato perché si sarebbe impossessato, nel maggio scorso, di tre milioni presi dalla cassa continua della Coop di Sestri Ponente dove aveva prelevato l'incasso della giornata assieme a due suoi colleghi. Ieri pomeriggio il metronotte, difeso dall'avvocato Paolo Scovazzi, è stato interrogato dal sostituto procuratore della Repubblica Francesca Nanni che sta conducendo l'inchiesta sugli ammanchi. Era stata la stessa società di vigilanza «Valbisagno» da cui dipende Zanfretta a denunciare la vicenda. Il magistrato sta indagando su altri ammanchi, per un centinaio di milioni che si erano verificati nell'anno precedente al maggio scorso sempre dalle casse continue dei supermercati.
Non fu in grado di discolparsi e perse la licenza di guardia giurata. Comunque si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda.
E a proposito di “ombre”, va ricordata quella che ha recentemente interessato il dottor Mario Moretti, accusato di aver avuto come socio una persona priva della laurea specifica per esercitare la professione medica.



Si scrive, spesso, che Zanfretta non ha guadagnato nulla da quanto è successo e che, anzi, come conseguenza, abbia perso il lavoro e rovinato la famiglia. In realtà il lavoro non lo ha mai perso, nel senso che disoccupato non lo è mai stato (era finito, poi, con il ritornare alla “Val Bisagno”). Sul discorso “famiglia rovinata” come si fa ad essere sicuri che la causa sia l’affaire alieno oppure non la si debba cercare nelle normali dinamiche di coppia? Sul fatto che non ci abbia lucrato sopra ne sono convinto, ma non tutto quello che uno fa trova nel denaro la propria molla. A volte è il piacere di essere al centro dell’attenzione, di essere continuamente cercato. È un modo anche per migliorare la propria autostima. Questo, naturalmente, non significa che Zanfretta abbia imbrogliato, ma solamente che non si possono usare determinati ragionamenti per dimostrare che non lo abbia fatto.
Quindi, che conclusioni tirare?
Prima di quanto, invito a considerare due particolari che trovo particolarmente significativi e che invece sono stati sostanzialmente trascurati da chi si è occupato della vicenda.
Io credo che le uniche vere ed incontrovertibili dichiarazioni di Zanfretta siano quelle che precedettero il tutto, e cioè che si riferiscono all’approccio ed ingresso nell’abitazione “Casa Nostra”. Quindi prima dell’incontro con gli Esseri. Perché, da li in poi, più o meno involontariamente, ci sono state tutta una serie di interferenze che ne hanno annacquato l’attendibilità.
Ad esempio, la sera stessa e subito dopo l'incontro con il mostro, dichiarò, non in ipnosi, di aver notato un velivolo triangolare molto appiattito, addirittura più grande della stessa villa. Ma, al contempo, che la luce era talmente accecante da doversi riparare gli occhi con il braccio. Ora, come fece a descrivere così bene l'oggetto se la vista era offuscata dal bagliore che emanava?
Perchè, in fondo, si dimentica come funzioni la memoria. Un ricordo non è una fotografia conservata in un cassetto da tirar fuori all'occorenza come un fatto oggettivo. Recuperare un ricordo significa innescare un processo di ricostruzione, come se si assemblasse un puzzle, attingendo i singoli dati delle informazioni sparsi nella mente. E gli incastri non sempre vengono bene, specialmente se la tranquillità viene a mancare, e si fa fatica a distinguere il vero dal possibile. Rammento che Zanfretta alla fine dei suoi incontri era talmente "fuori" da non rinoscere i propri colleghi di lavoro. Ed era in quei momenti che la sua mente cercava di fissare l'esperienza vissuta.
Detto questo, torniamo alle dichiarazioni di Zanfretta.
Ebbene, affermò testualmente “ho visto allora quattro luci che si muovevano nel prato circostante la villa”.
In Notiziario Ufo del marzo 1979 Luciano Boccone scrisse che "il guardiano scorge quattro luci bianche, quattro "luci di pila" (le ulteriori virgolette indicano che dovrebbe trattarsi delle parole di Zanfretta) disposte a triangolo, che si muovono orizzontalmente avanti e indietro a circa un metro da terra, davanti alla facciata sued-est della casa".
Del caso Zanfretta ne parlò anche nel suo libro citato in bibliografia, anche se, ad onor del vero, certe sue convinzioni lasciano perplessi, come l'idea che "l'Umanità sarebbe succube, a sua insaputa, di entità eteriche aliene".
Ora, proviamo a ragionare un attimo. Alieni che hanno superato gli abissi dello spazio-tempo avrebbero avuto bisogno di luci per vedere o semplicemente per muoversi? Già noi terrestri abbiamo superato da tempo questo limite, ad esempio grazie ai visori notturni.
Poi, affermò “mi sono sentito spingere e mi sono voltato di botto”.
Ci vedete alieni supertecnologici che gli danno una spinta per richiamare la sua attenzione come a dire “Ehi, ma dove guardi, siamo qui”.
Non credo sia ragionevole.
Il che mi fa pensare che chi incontrò Zanfretta non avesse nulla di extraterrestre e non fosse neppure un ladro.
In questo filone "terrestre" qualcuno ha formulato l'ipotesi che quanto visto dal metronotte fosse stato un cavallo con la criniera ricoperta di brina (interessante il fatto che il giorno dopo il giornalista Di Stefano abbia parlato di "brina gelata" presente sul posto).



Se immaginiamo il contesto ambientale (buio, freddo, foschia) e le possibili condizioni di Zanfretta (stanchezza per il duro lavoro da metronotte spesso svolto in condizioni difficili, tensione per il sospetto della presenza di ladri), l'idea è molto meno balzana di quanto possa sembrare. Insomma, quanto capitato a lui avrebbe potuto succedere a chiunque.
In più, la spinta che ricevette da dietro, potrebbe essere il classico richiamo del muso del cavallo. Rimane da spiegare, in ogni caso, da dove sarebbe spuntato fuori questo ipotetico quadrupede, mentre le luci viste avrebbero potute benissimo essere quelle di ladri, disturbati dal cavallo stesso. L'ipotesi rimane, naturalmente, indimostrabile, anche se la presenza di cavalli in zona non sarebbe così inconsueta, almeno facendo scorrere le offerte immobiliari e da quanto raccontato più sopra dalla signora di Marzano.
C'è stato anche chi ha avanzato l'ipotesi che Zanfretta abbia male interpretato una semplice pianta, ricoperta di brina e ondeggiante sotto i venti invernali. L'albero in questione e quello che si vede sotto, ed è posto nello stesso campo della traccia a ferro di cavallo.



Sicuramente allora era molto più piccolo, diciamo che avrebbe avuto le giuste dimensioni, considerando quanto dichiarato da Zanfretta. Personalmente mi sembra un po' una forzatura, considerando che la teoria non spiega la spinta da dietro che il metronotte ricevette in quei momenti.
Prima di passare alla parte finale, "due parole" su Torriglia, il comune al cui interno si trova Marzano, da cui, in fondo, tutto nacque.
Sull'abitato dominano i resti di un castello dell'Anno Mille, purtroppo in ristrutturazione e visibile solo dall'esterno. Invitante, però, la stradina di accesso che fiancheggia un piccolo bosco.
Ma tornando al "mistero", si direbbe che in questi giorni sia scoppiata una sorta di "ufo-mania".
L'unica libreria che ho trovato aveva in bella mostra il libro di Di Stefano (e forse questo non è un fatto estemporaneo).



Sono le vetrine dei negozi o dei punti di ristoro, invece, che colpiscono, dando il massimo risalto ad un convegno ufologico che si terrà nel prossimo mese di settembre (e che parlerà soprattutto di Zanfretta). Sotto alcuni esempi.







Ritornando ai fatti, preferisco, a questo punto, fermarmi qui perchè credo che più si approfondisca più escano domande senza risposte, anche se la mia personale impressione è che gli avvenimenti furono molto meno misteriosi di quanto siano comunemente presentati. Non avvenne, cioè, nulla che non possa avere una spiegazione verosimile, il che, naturalmente, non significa vera.
Ritengo, in altre parole, che siamo di fronte più che a fatti "inspiegabili", cioè privi di una spiegazione ordinaria, a fatti "inspiegati" (e questo nella migliore delle ipotesi), ossia senza una giustificazione, ma solo per l'impossibilità di analizzarli approfonditamente. E la mancanza di informazioni verificabili non può essere usata per provare qualcosa.
Comunque ritengo sia arbitrario tratte conclusioni definitive, ma al contempo doveroso cercare di andare oltre alla letteratura sui fatti, pur non avendoli vissuti in prima persona.
Il tutto al semplice scopo di capire.
Sul tavolo ci sono, ora, distesi tutti i tasselli del puzzle. Ognuno li incastri secondo la propria sensibilità.
In ogni caso, sono convinto che il mistero del caso Zanfretta sarà destinato a non tramontare mai.
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