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I dubbi del "falso" caso Caponi

Ultimo Aggiornamento: 01/02/2013 20:51
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21/09/2012 11:51
 
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Articolo di Stefano Panizza
Fonte: falsimisteri.myblog.it/archive/2012/09/20/i-dubbi-del-falso-caso-cap...

Nella comunità ufologica è parere quasi unanime che il cosiddetto Caso Caponi sia solo una grande montatura creata ad arte dal medesimo. è pur vero che ci sono eccezioni a questa tesi, ma costituiscono la netta minoranza. In sostanza, si sostiene che le fotografie scattate da Caponi, ad una misteriosa e presunta creatura, siano in realtà le immagini di un manichino artefatto dal medesimo e che la sua testimonianza non abbia nessuna prova a sostegno.
Come sempre, e senza partire da tesi preconcette, ho cercato di analizzare il caso, contattando una parte di coloro che vissero, più o meno direttamente, i fatti di allora. Purtroppo non tutti hanno dato la loro disponibilità, né chi mi ha risposto ha chiarito compiutamente i dubbi che mi erano sono sorti.
Analogamente la mancanza di immagini della presunta creatura, non pubblicate perché coperte da copyright e per il quale Caponi chiede il pagamento dei relativi diritti, impedisce di cogliere appieno il significato di quanto scritto.
Inoltre, non tutto il materiale di cui sono venuto in possesso trova spazio nel presente articolo, sia per motivi di privacy che per l’impossibilità di verificare determinate informazioni.
Ad ogni buon conto, ritengo che la vicenda si presti a diversi ragionamenti interessanti.
Vediamo, ora, a dove ci portano, partendo, naturalmente, dall’inizio.

La vicenda
Filiberto Caponi ha sempre dichiarato di essere stato testimone, nel lontano 1993, di svariati incontri con una strana creature umanoide nei pressi di Pretare. Il paese è una frazione del Comune di Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. Di poche centinaia di abitanti, sorge ad una quota di 900 metri ed ai piedi del Monte Vettore.
L’essere mostrava le seguenti caratteristiche: testa liscia e sferica, occhi fissi e neri, pelle rugosa e con cicatrici, con alcune macchie bianche sul petto, unitamente a due specie di tubi. Le braccia erano piccole e con tre dita. Le gambe snelle presentavano piedi con una biforcazione. La schiena mostrava un rigonfiamento. Emetteva, poi, una sorta di lamento e sembrava attratto dalla luce.
Di questa creatura esistono sei foto polaroid “ufficiali” consultabili in internet, più una settima mai riconosciuta da Caponi.
Il caso venne indagato dal CUN (Roberto Pinotti, Gianfranco Lollino, Massimo Angelucci), CROVNI (Fabio Della Balda) e da Massimo Fratini dell’allora C.S.UFO. Solo in un secondo momento anche da Timothy Good.
Il CISU, stando a quanto riportato da quest’ultimo nel libro citato in bibliografia, si limitò a chiedere “… appunti, disegni e copie delle fotografie, spiegando che sarebbero stati usati per scopi scientifici …”.
Le frasi virgolettate riferite a Lollino sono estratte dai numeri 25 (ottobre 2001) e 23 (agosto 2012) della rivista Ufo Notiziario.

Le fotografie
Le fotografie che circolano in rete e pubblicate su riviste, come detto, sono sei. La settima è consultabile unicamente (per quanto di mia conoscenza) nella rivista n.25 sopra citata.
Vediamo di analizzare schematicamente il problema.
Gli incontri nei quali Caponi ha dichiarato di aver visto la creatura sono sei.
Il primo avvenne il 9 maggio 1993 attorno alle ore 23,30 e non scattò nessuna foto.
Il secondo ci fu nella stessa notte alle ore 4 ed anche di questo caso non ci sono immagini.
Il terzo si verificò il 24 maggio. Scattò due fotografie, gettate a terra prima che si asciugassero e raccolte successivamente. Queste costituiscono le foto n.1 e n.2.
Sono poco chiare, nel senso che non si capisce cosa sia l’immagine fotografata. Oltre a quanto, Caponi scrisse che subirono un misterioso danneggiamento all’interno della scatola nella quale erano custodite. Furono pubblicate dal Messaggero nell’edizione del 1 luglio 1993 e da Stop il 17 luglio.
Il quarto incontro avvenne il 10 agosto. La foto riprende un essere accucciato nell’erba e con le gambe fasciate da una sorta di benda. Questa costituisce la foto n.3.
Il quinto incontro ci fu il 19 agosto. Due fotografie riprendono un essere seduto da due angolazioni leggermente diverse. Dal suo torace sembrano uscire due tubi biancastri. Costituiscono le foto n.4 e n.5. La seconda di queste venne scattata dopo aver posato a terra la prima, in attesa che si asciugasse. Una delle due venne pubblicata da Visto del 28 ottobre 1993. Copie delle immagini furono analizzate dal CUN e le risultanze, dal punto di vista della credibilità, intesa come riproduzioni di una creature vivente, furono sconfortanti. In pratica, queste avrebbe mostrato la tipica rigidità di un manichino e le lieve discrepanze negli oggetti di scena delle fotografie 4 e 5 che sono consecutive, indicherebbe “… che nell’intervallo tra uno scatto e l’altro, chi ha realizzato le foto avvicinandosi al soggetto per apportare lieve modifiche alla scena, abbia inavvertitamente trasportato (o asportato) tali oggetti”.
Questi due aspetti, e cioè la “rigidità” e le “discrepanze”, mi sembrano, però, più figli di un’interpretazione, che di fatti concreti. Nel senso che ciò che è stato immortalato potrebbe essere stato semplicemente fermo. Poi, quanto è facile cogliere il cinetismo in una fotografia?
Una possibile obiezione potrebbe venire dalle parole di Good, che scrive, a proposito delle caratteristiche tecniche della Polaroid, che “Ogni singola fotografia comincia il processo di sviluppo appena estratta dalla macchina. Di solito l’immagine comincia ad apparire dopo due o tre minuti, ma lo sviluppo completo può richiedere dai quindici minuti un su, a seconda della temperatura ambientale (Dati forniti dalla Polaroid UK)”. Cioè, visto i lunghi tempi di sviluppo, la creatura non avrebbe certamente aspettato in posa la seconda fotografia. In realtà Caponi, come visto, giustifica la consecutività fra le due foto dicendo che la prima polaroid venne posata a terra e subito dopo scattata la seconda.
Sulla modifica degli oggetti di scena, l’analisi fa riferimento, in particolare, ad una confusa “macchietta” sul lato del piede destro. Non potrebbe, in realtà, essersi trattato di un insetto o un pezzo di un qualcosa spostato dal vento nel tempo fra le due immagini?
Il sesto ed ultimo incontro avvenne il 9 ottobre. La foto (n.6) ritrae un essere in piedi. Caponi dichiarò che a vederlo fu anche la nonna.
Visto pubblicò l’immagine nell’edizione del 28 ottobre 1993. Osservando visivamente le foto 3-4-5, e confrontandole con la 6, balzano all’occhio alcune differenze: in quest’ultima la creatura appare più magra, più rossiccia e più lucente. Quindi siamo di fronte a due “cose” diverse? Quando venne scattata la foto 6, Caponi scrive che pioveva. Questo potrebbe aver alterato, alla luce del flash, la riflettenza e il colore della figura. Più difficile spiegare il dimagrimento, salvo ipotizzare, come suggerisce Caponi stesso, che essa si fosse privata di un qualche involucro. Il fatto è che l’obiezione “prima grassa e poi magra” mossa dagli “scettici” è troppo palese perché l’ipotetico falsario non possa non averla considerata. E, quindi, perché prestare il “fianco” così’ facilmente?
Esisterebbe, poi, una foto n.8. Infatti nel nell’”Ordinanza di restituzione di cose sequestrate” datata 27 ottobre 1998 e con la quale la Pretura Circondariale di Ascoli Piceno restituì a Caponi quanto trattenuto, si legge chiaramente di “n.7 foto”. Copia dell’atto è consultabile a pagina 236 del libro di Timothy Good. La foto n.8 sarebbe quella scattata dai carabinieri in uno dei luoghi in cui Caponi dichiarò di aver visto la creatura. Quindi, gli vennero restituite le sue sei foto più quella scattata dai militi? Stando a Good si, che ne era entrato in possesso (come è evidente manca una foto, la 7, di cui parleremo dettagliatamente poi).
Timothy Good scrive: “Ho incaricato il professor Roger J.Green, perito riconosciuto dalla facoltà di giurisprudenza e professore di sistemi di comunicazione elettronica presso la Warwick University, di condurre un’analisi sugli originali delle Polaroid in mio possesso”. Questi avrebbe dichiarato: “è impossibile accertare dalle immagini l’origine di una creatura simile, se sia “opera dell’uomo” o meno … L’istinto suggerisce che la complessità delle prove confermi l’idea che si tratta di una creatura autentica, che non presenta alcuna reale affinità con un modello di terracotta realizzato da Caponi”.

La foto numero sette
La storia è talmente contorta da meritare un capitolo a se stante.
La faccenda delle foto, infatti, si complica ancora di più perché gli inquirenti del CUN–CROVNI avrebbero visto, in realtà, una settima foto (non considerando quella dei carabinieri). Questa venne giudicata identica alla n.6, con l’unica differenza di un punto bianco al di sotto dell’inguine della creatura. è consultabile a pagina 46 della rivista n.25 sopra citata.
Secondo Lollino, Caponi l’avrebbe mostrata agli inquirenti del CUN, poco propensi a credere alla storia, in mancanza delle altre sei foto depositate presso un’agenzia giornalistica di Roma che ne curava i diritti. Scrive, infatti,: “Filiberto disse che quella Polaroid la scattò due giorni dopo la precedente nelle stesse condizioni. Il che era semplicemente impossibile!”. In effetti non è credibile che due giorni dopo la creatura si sia posizionata esattamente nell’identico posto, al millimetro, compreso il medesimo rapporto dei fili d’erba nei confronti dei piedi. Se si confrontano bene le due immagini si nota, però, che sono proprio identiche (salvo il segno citato). Cioè ogni particolare di una foto è esattamente sovrapponibile all’altra. In altre parole, il fotografo dopo aver sistemato quanto Lollino definisce “… molto probabilmente un supporto che serviva a mantenere eretto e un po’ staccato “l’alieno” dalla parete”, si sarebbe riposizionato millimetricamente nella posizione della prima foto per fare un secondo scatto. Fatto che ritengo ugualmente poco credibile, salvo ipotizzare che la macchina polaroid fosse stata posizionata su un appoggio fisso.
In realtà la versione scritta da Good è diversa. “Ho chiesto a Filiberto di dire la sua, e lui nega di avere mai posseduto più di sei fotografie della creatura, che furono mostrate tutte a Pinotti e ai suoi colleghi del CUN durante la prima visita. Dopo quella visita, Filiberto prestò cinque delle foto a Renato Bianchi dell’ANSA, trattenendo la sesta come misura di sicurezza. … i ricercatori del CUN tornarono a casa di Caponi per la seconda volta … Filiberto andò a prendere la sesta foto e la mostrò di nuovo a Pinotti”.
Ed è diversa anche dalla versione di Caponi perché scrive che Pinotti non fu presente alla prima visita ed i suoi collaboratori videro solo delle copie perché gli originali erano già in mano all’agenzia giornalistica già al tempo della prima visita. Infatti scrive “Spiegai (n.d.a. a quelli del CUN) che le foto erano al sicuro da un mio amico giornalista che aveva fatto l’articolo su Visto …”.
In riferimento alla seconda visita Caponi, scrive di essere rientrato in possesso delle fotografie e che “… Roberto P. … passò ad esaminare le polaroid e, dopo averle osservate attentamente per qualche minuto, con aria molto serena, mi spiegò la straordinaria importanza di quelle fotografie”. Quindi il CUN vide gli originali di tutte le fotografie e non la sola foto “incriminata”, cioè quella con il punto bianco sotto l’inguine della creatura.
Che si tratti, si chiede Lollino di “un supporto per mantenere in equilibrio un pupazzo?”. In pratica, secondo questa ipotesi, come già accennato, l’artefatto sarebbe stato appoggiato alla parete di terra retrostante, come dimostrerebbe lo studio di ombre fatto dal CUN.
In realtà, mi chiedo, se siano distinguibili quelle prodotte da un qualcosa di appoggiato ad altro di semplicemente molto vicino.
Lollino, ad ogni modo, sconfessa Caponi e sembra dar ragione a Good quando scrive: “Fu un momento decisivo allorquando Fliberto, non ancora rientrato in possesso delle polaroid che si trovavano nelle mani dell’agenzia giornalistica di Roma che ne curava i diritti e messo alle strette da Pinotti che gli disse di non credere che si fosse separato da tutte le foto eseguite, ci mostrò una settima foto”.
E prosegue, a proposito del momento in cui Caponi mostro la foto n.7 così simile alla n.6: “Anche Caponi si accorse della gaff commessa …”.
La domanda è però: il CUN in base a cosa fece il confronto? Ce lo spiega Lollino quando scrive che “… fu immediato il riscontro con la sesta foto della serie, cioè la terza pubblicata sulla rivista Visto, che avevamo sotto gli occhi in quel momento”.
Caponi non ha mai parlato di questa foto nascosta e, ad una mia precisa domanda, ha risposto che non esiste.
Ma Good scrive che in una lettera che gli indirizzò Lollino “Rendendosi conto di quell’errore grossolano, Filiberto ha trattenuto per sé la foto …”.
Va ricordato che la riproduzione delle fotografie da parte del CUN fu possibile solo durante l’ultimo sopralluogo a Pretare.
Appare certamente curioso che Caponi si fosse dimenticato del fatto che la foto n.7 l’avesse creata appositamente per rimediare alla svista del sostegno, tanto da mostrarla tranquillamente e, anzi, permettendone addirittura una riproduzione. Allora, se prestiamo fede alla sua versione e dunque non gliela mostrò, da dove salta fuori la riproduzione della foto con il punto bianco?

Il modellino
Il fatto che potrebbe essere stato ritrovato nel laboratorio un pupazzo somigliante alla creatura non proverebbe nulla. Potrebbe essere stata la conseguenza degli incontri e non l’oggetto delle fotografie. Poi, perché non disfarsi di una prova così pericolosa?
Caponi nega decisamente la presenza di questo artefatto. I carabinieri avrebbero, cioè, sequestrato solo pezzi di argilla informe.
In effetti, la mancanza di una semplice fotografia, sicuramente da scattarsi in questi frangenti, rende poco plausibile la notizia.

Le testimonianze
Gianfranco Lollino del Centro Ufologico Nazionale, scrive: “Nessun testimone ha mai confermato direttamente o indirettamente le dichiarazioni che tendevano a chiamarli in causa nei fatti raccontati da Filiberto, durante tutta la durata dell’inchiesta, anzi, abbiamo raccolto per lo più smentite o dei “non so” …”.
In riferimento alla testimonianza della nonna precisa: “ … se pensiamo all’anziana nonna di Filiberto, svegliata di soprassalto più volte, costretta ad uscire in strada con la mano del nipote sulla bocca per impedirgli di gridare e portata al cospetto di questa creatura che ogni volta spariva dietro l’angolo, beh … lascio ad ognuno di voi una valutazione oltre che psicologica del contesto testimoniale”. E più avanti: “ … ha ammesso di vedere, una volta, quell’omino seduto a terra davanti il portone di casa, solo per qualche attimo …”
Riguardo al padre scrive: “… ha ammesso in una circostanza di vedere “qualcosa di bianco” scappare sotto un arco a poche decine di metri dalla casa …”.
Quindi, nessuno ha visto o sentito niente, gli stessi famigliari si limitarono a confuse ed inattendibili affermazioni.
Filiberto Caponi racconta la storia nei suoi libri “sE Torni fatti vivo” e “Il caso Caponi”.
Ed è di tutt’altro tenore, da questo punto di vista.
Parlando della nonna afferma: “… alla vista del piccolo essere smise di agitarsi e dopo qualche attimo di silenzio, con una certa esitazione e lo sguardo incredulo, iniziò a sorridergli esclamando: - Com’è piccolo, che carino! Cosa guarda? - … la creatura indietreggiò leggermente guardando mia nonna che, a bassa voce, mi ripeteva di tornare indietro e di limitarmi a guardarlo”. E prosegue: “… sentii la nonna rispondermi che si era infilato sotto il vecchio arco…”.
Nel corso della trasmissione “I fatti vostri” del 5 novembre 1993 la nonna “… con semplicità e candore rispose che in un primo momento quella creatura le era sembrata un folletto o uno spirito …”.
Nella prefazione del suo primo libro la ringrazia scrivendo: “… per avermi creduto dopo aver visto …”.
Dunque, la versione è diametralmente opposta: la nonna vide molto bene, e per un tempo non certo breve, la misteriosa creatura.
Del padre, invece, scrive: “… anche lui era stato svegliato da quell’urlo (n.d.a. della creatura) …”. E poi: “… la creatura, come una saetta, attraversò la strada, sparendo sotto il passaggio buio. Mi voltai e vidi mio padre dietro di me, lo sguardo fisso nella direzione in cui l’essere era svanito: anche lui era riuscito a vederlo anche se per un attimo soltanto”. Prosegue scrivendo che “… notammo qualcosa muoversi fra gli alberi e i cespugli” e “… una scia luminosa cadde tra gli alberi in direzione del fruscio, producendo un bagliore accecante. D’istinto ci riparammo sotto il davanzale portandoci le braccia sopra la testa”.
In questo caso le due versioni sono sostanzialmente coincidenti: il padre vide, si, qualcosa, ma di poco definito. Udì invece chiaramente qualcosa di anomalo.
Caponi prosegue: “… due donne del paese … chiacchieravano di strane urla udite nella notte e attribuite da una di loro allo spirito di una vecchia, morta poco tempo prima … non erano le sole ad aver udito quegli urli”. Anche amici avrebbero sentito “... l’urlo assordante che ormai conoscevo bene”.
E la sera del 19 agosto 1993 “… mia sorella … mi disse di aver sentito rumori di tonfi e di salti fuori dalla finestra del bagno”.
Vennero organizzati dei gruppi di ricerca per trovare l’essere. In una di queste “il silenzio della notte fu squarciato da quell’ormai inconfondibile urlo e tra noi calò il gelo. Il cane saltò la recinzione … venne violentemente scaraventato giù ”.
Una persona del paese ammise di aver notato una strana creatura simile a “… scimmia pelata che zoppicava…”. Purtroppo “… si rifiutò di rendere pubblico il suo incontro”.
Vi sarebbero stati anche avvistamenti a carattere ufologico: “… un ragazzo ed una ragazza … mi raccontarono di aver notato in un angolo del campo sportivo delle strane evoluzioni di sfere rosse e verdi che solcavano il cielo, sollevandosi dal basso verso l’alto molto rapidamente e facendo delle brusche virate ad angolo retto, per poi sparire velocemente con un sibilo simile a quello di un palloncino che si sgonfia”. E poi “Anche altre coppie appartate in quella zona, come seppi dopo, avevano notato lo stressi fenomeno”.
Quindi abbiamo due versioni dei fatti in totale, o quasi, contrapposizione.
Da una parte il CUN che minimizza l’apporto testimoniale, dall’altra Caponi che sembra mostrare evidenze significative.
Infatti, a suo dire, famigliari, parenti e amici sperimentarono fenomeni misteriosi (luci e suoni). Ma è, soprattutto, la vicenda della nonna che potrebbe evidenziare qualcosa di concreto a favore di Caponi perché le testimonianze citate, vaghe o anonime, non possono avere, a mio avviso, troppa considerazione. Ella vide, e chiaramente, l’essere, e lo vide in movimento. Ciò escluderebbe, nella sostanza, l’ipotesi di un fantoccio messo ad arte da Caponi.
Il punto, però, non è solo cosa “vide”, ma anche cosa “dichiarò”.
Perché se disse effettivamente quanto riportato dal nipote, questi avrebbe un importante alleato dalla sua parte. Non ho avuto modo di recuperare la trasmissione della RAI, però, presumo che abbia detto effettivamente le cose riportate nel libro, in quanto potenzialmente verificabili e smentibili in qualunque momento.

Avvenimenti correlati?
La mattina del 15 giugno 1983 i cinque componenti di un elicottero Agusta dei Vigili del Fuoco, ad un’altezza dal suolo di circa 600 metri ed in prossimità dell’aeroporto di Pescara, avvistarono uno strano oggetto in apparente rotta di collisione con il velivolo. Sembrava di forma antropomorfa, con un’altezza di circa 1,30 metri, con una calotta a mo’ di testa di circa 50 cm di diametro e due specie di grandi occhi. Apparivano, poi, due piccoli arti inferiori di colore giallo ocra e due superiori dalla forma sferica. Dietro la schiena, invece, era in bella vista una sorta di antenna trapezoidale.



Si muoveva contro vento e sembrava avesse interesse per l’elicottero. Dopo alcuni secondi si allontanò velocemente ad una velocità stimata in 300/400 km orari, non prima di essersi girato “… fissando l’equipaggio con i suoi grandi occhi …”, come riportato da Moreno Tambellini nel suo libro citato in bibliografia.



La torre di controllo dell’aeroporto di Pescara non registrò nulla sugli schermi radar.
Intorno alle h 17,30 del 20 giugno 1983 a Pettorano sul Gizio (AQ), comune confinante con Sulmona, un gruppo di persone dichiarò di aver visto a circa 100 metri di distanza una forma sferica, simile ad un pallone, sorvolare un filare di pioppi. Scesa a terra ed avvicinata fino ad una distanza di 10 metri da uno dei componenti, saltellò più volte prima di rialzarsi e scomparire verso la montagna “Catena del Morrone”.
“Il suo colore era marroncino con striature chiare, alto tra gli 80 e i 60 centimetri, aveva una “testa” circolare un po’ ellittica più grande di quella umana, due occhi neri e lucidi coperti da una sorta di “mascherine di plastica”, sulla testa portava un’antennina bianca lunga circa 10-15 centimetri, in basso sotto la “testa” aveva due “gambe” senza piedi con un’altezza dei ginocchi due segni o tasche a forma di V o U”. Frase citata dal libro di Tambellini. Il caso venne indagato anche da Angello Ferlicca e Claudio Zacchia del CISU e pubblicato sulla rivista UFO n.13 del dicembre 1993. Nella medesima rivista un lungo articolo mostra come l’estate del 1993 abbia mostrato una vera e propria ondata di segnalazioni di “umanoidi volanti”.
Ritornando ai due casi citati, Capone scrive: “… il vicepresidente (n.d.a. del CUN) individuava molte similitudini tra la mia esperienza e quelle, analoghe, esaminate dal CUN poco tempo prima su segnalazione di avvistamenti avvenuti a Pescara e a Sulmona. Dapprima stentai a dargli ragione, ma quando sovrappose le mie foto a un disegno del precedente avvistatore, io stesso notai che le immagini collimavano perfettamente. Solo lo scafandro dell’alieno, che doveva servirgli per volare, era posizionato in modo differente nei due casi. Ma a giudicare dal resto poteva benissimo trattarsi del medesimo EBE ”.
Personalmente, confrontando i disegni, che vennero realizzati in base alle testimonianze, con le fotografie di Caponi, le similitudini mi sembrano piuttosto forzate. La “testa”, infatti, è sproporzionata rispetto al corpo, nel primo caso, poi, l’insieme dell’essere appare piuttosto tozzo. Nel secondo, invece, è completamente assente il tronco. Caratteristiche che non si trovano nelle fotografie. L’unico punto di raccordo potrebbe essere il colore marrone – giallo ocra. Piuttosto poco, però, per affermare che le immagini ritraggano la stessa figura. E, poi, i due luoghi sono distanti molte decine di chilometri da Pretare.
Nel luglio del 1993 due missili terra – aria sparati da due caccia dell’Aviazione Italiana avrebbero, addirittura, abbattuto un Ufo nei presi del Monte Vettore, vicino a Pretare.
Dopo tre giorni iniziarono gli avvistamenti di Caponi.
Di quanto esisterebbe un documento top secret, la cui attendibilità è tutta da verificare.
Poi c’è la storia delle galline. Nel mese di agosto una strana moria di galline colpì il paese. Sembravano dissanguate ed alcune mutilate. La fantasia della gente corse con il pensiero alla creatura misteriosa. In realtà, il collegamento, ammesso che esista, è solo ipotetico e si basa, a mio avviso, sul niente.
Ed, infine, la testimonianza del cognato di Caponi, del 13 ottobre 1993. Avrebbe visto, tornando in macchina dal lavoro e dirigendosi verso Pretare, una luce gialla molto intensa in ascesa sul Monte Vettore. La stessa notte un bagliore intenso avrebbe illuminato la sua stanza.

La confessione
Caponi sottoscrisse davanti ai carabinieri un documento di ammissione della truffa. In pratica dichiarò di aver creato personalmente il fantoccio di creta, poi fotografato. A suo dire, furono i carabinieri a convincerlo che quella era la soluzione migliore per tutti: la quiete pubblica sarebbe tornata e lui avrebbe potuto sempre sostenere la realtà della testimonianza.
A conferma della confessione il quotidiano “Il Messaggero" (Edizione Marche) del 9.11.1993 riportò: "Io la creatura l'ho vista davvero. La gente però non avrebbe mai creduto al mio racconto se non l'avessi accompagnato con foto convincenti. E così ho costruito una statuina di creta sul modello di E.T. e l'ho fotografata...".



Tutto chiaro ed indiscutibile?
In realtà le cose non sono mai semplici, nel senso che una persona che confessa non necessariamente dice la verità.
Lo sa benissimo il nostro Codice Penale che all’art.369 Autocalunnia punisce chi “ … incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto …”.
E restando nel nostro ambito, cioè le tematiche “misteriose”, i casi non mancano.
Forse pochi conoscono la storia del campesino Basilio Uchuya che, dietro consiglio del dottor Javer Cabrera e messo alle strette dalla polizia peruviana, confessò di aver realizzato le Pietre di Ica (artefatti litici che dimostrerebbero la coesistenza fra uomini e dinosauri).
Lo avrebbe fatto per evitare di essere accusato di contrabbando di opere archeologiche.
Ritornando a Caponi, come si fa a capire quando ha mentito e quando no?
Le ammissioni di colpa sembrano caratterizzare solo i primi tempi, come a dire che andava confermata la versione dati ai carabinieri.
Poi, una volta scagionato dalle accuse, come sotto vedremo, tornò alle dichiarazioni originarie.

La denuncia
Caponi venne accusato dai Carabinieri di Arquata del Tronto per “diffusione di notizie false o esagerate tendenti a turbare l’ordine pubblico” ai sensi dell’articolo 656 del Codice Penale, con il conseguente ritiro del materiale fotografico.
Un provvedimento grave, non c’è dubbio.
E a quanto scrive Lollino più che giustificato, in quanto, con Fabio Della Balda ed una pattuglia di Carabinieri, raccolse la turbata testimonianza di due ragazzine del paese. Da queste si evinse “ … una serie di affermazioni e racconti sconclusionati e farneticanti …” addebitali al Caponi.
Nella memoria difensiva per l’archiviazione del caso si legge, invece, come “… la vicenda abbia esclusivamente creato divertimento e nessun turbamento dei singoli, tantomeno dell’ordine pubblico; neppure era potenzialmente idonea a realizzare questo risultato …”. Il testo è consultabile a pagina 15 della rivista Dossier Alieni n.4 dicembre 1996.
Quindi, ci fu o non ci fu il panico fra la gente? E quanta parte ha fatto la presenza di giornalisti fin troppo curiosi?
Ad ogni modo, nel maggio del 1994 Il GIP (Giudice per le indagini preliminari) archiviò il caso scagionando l’interessato dall’accusa e restituendogli le immagini.

Conclusioni
A mio avviso, questi sono i punti fermi della vicenda:

- la testimonianza di Caponi non è supportata da evidenze incontrovertibili

- le testimonianze correlate acquisiscono peso diverso a seconda della fonte che le riporta

- il comportamento di Caponi, nella ricostruzione dei fatti a lui sfavorevole, appare contraddittorio e, per certi versi, illogico

- i presunti avvenimenti correlati al caso sono incerti nell’esistenza o nei collegamenti con il medesimo

- le fotografie non dimostrano nulla, in particolare la settima suscita troppe domande per avere una valenza concreta

- risulta impossibile ricostruire la vicenda nel suo complesso al di là di ogni ragionevole dubbio in quanto molte affermazioni non sono verificabili

E quindi?

La verità di cosa sia successo in quel lontano 1993 la conosce solo Caponi.
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21/09/2012 17:35
 
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Riguardo le fotografie di Filiberto Caponi,Pablo Ayo nel 2011 escludeva la possibilità che fossero state ritoccate con programmi al pc,poichè nel 1993 i software di grafica al computer erano diffusi solo tra le aziende e non tra i privati.
Ma se sono delle Polaroid istantanee?!?!
Ringraziamo Ayo per la sua sagacia. [SM=g8800]
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27/12/2012 21:01
 
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Re:
Caponi confessò che si trattava di un falso, poi ha ritrattato.





---
http://www.sulletraccedelmistero.it/
01/02/2013 20:51
 
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Re: Re:
AssociazionePrisma, 27/12/2012 21:01:

Caponi confessò che si trattava di un falso, poi ha ritrattato.





Infatti.


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