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Esperienze parapsicologiche di C.G. Jung

Ultimo Aggiornamento: 20/11/2012 09:08
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19/11/2012 18:49
 
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Articolo di Francesco Paolo Ranzato
Fonte: www.centroitalianoparapsicologia.net/index.asp?id=5&ar...

Come è noto Jung, uno dei padri, assieme a Freud ed Adler, della psicoanalisi, presentò nella sua lunga e produttiva vita diversi fenomeni parapsicologici. Egli era un sensitivo: dote naturale, la sensitività che gli era stata tramandata dal nonno materno, tale Samuel Preiswerk che, si dice, vivesse con due mogli: una viva ed una defunta, il cui spirito "alloggiava" nello studio della sua casa.

A prescindere da tali doti innate, possiamo comunque affermare che Jung, come del resto qualsiasi sensitivo, aveva quel coraggio morale necessario per confrontarsi con l’occulto, con il "magico", con la morte stessa. Mentre infatti Freud definiva l’occultismo " la marea di fango" che sale dall’inconscio, Jung ebbe verso di esso ben altro atteggiamento. E tale apertura mentale, possiamo ben dirlo, fece sì che egli sperimentasse in prima persona i suddetti fenomeni parapsicologici , ai quali diede, nel corso della sua esistenza, varie interpretazioni.



Primo periodo

Ancora da studente Jung partecipò ad alcune sedute spiritiche con la cugina Helly Preiswerk, una ragazza che fungeva ivi da medium, e che doveva morire precocemente a trent’anni. In tali sedute spiritiche Jung assistette ai movimenti del tavolino, ai «colpi» sul tavolo stesso, alla scrittura automatica della medium. Egli diede tuttavia a tali esperienze un significato del tutto «scientifico». Jung frequentava, allora, ancora l’Università e, successivamente, fu anche presso la Clinica psichiatrica di Zurigo.

Ora, l’atmosfera venefica del positivismo scientista che si respirava in tali ambienti, fece si che lo stesso si pronunciasse(1) per «un movimento del tavolino dovuto a forze inconsce degli astanti alla seduta spiritica». La scrittura automatica della medium fu invece descritta come un fenomeno "misterico" di sdoppiamento della personalità. Come si vede spiegazioni banali, del tutto insoddisfacenti e intrise di materialismo e organicismo. Come noto, Jung doveva lasciare, successivamente, l’Università e la Clinica.

I fenomeni paranormali si evidenziarono allora in lui con una notevole frequenza. Ne cito alcuni:

- Una volta, mentre era in casa, un grosso tavolo di noce si spaccò in due. Un’altra volta, un coltello che stava nella credenza della cucina si spezzò in quattro. All’avvicinarsi della prima guerra mondiale Jung ebbe una visione in cui il mare diventava sangue. Anche la morte della madre gli fu annunziata da un sogno. Dopo un infarto Jung ebbe anche un fenomeno di bilocazione (1944): stava nel letto, ma anche fuori del letto, e si osservava.

E ancora:

- Una notte avverti un dolore acuto alla nuca; e il giorno dopo seppe della morte di un suo paziente che si era sparato e la cui pallottola era rimasta conficcata nella nuca.

E infine:

Mentre era in treno ebbe la visione di un bimbo che annegava. Giunto a destinazione seppe che il nipote era stato veramente sul punto di affogare.

Come si vede, si tratta per lo più di fenomeni che la parapsicologia definisce «telepatici», "psicocinetici", «paragnostici». In base a tali esperienze, Jung, sempre pervaso da uno spirito scientifico (ci troviamo adesso intorno agli anni ’20), formula il suo noto «principio della sincronicità»(2). Ora, la legge o principio della sincronicità stabilisce le «condizioni» sotto le quali tali fenomeni si manifestano. In base ai suoi studi ed alle sue osservazioni, Jung concluse che tali condizioni sono:

1) un particolare stato emotivo o di stress del "recettore" del fenomeno;

2) la scomparsa in esso della categoria temporo-spaziale (conseguenza, secondo me, della prima condizione);

3) la presenza "incombente" (in esso come nella realtà esterna) di un archetipo dell’inconscio collettivo.

Vale qui, ancora una volta, forse la pena di ricordare cosa sia un archetipo. Esso è un’immagine, o un evento immaginario, di particolare pregnanza e gravità. (Non può essere, per esempio, una sedia o un bicchiere). La stella cometa era un archetipo, un’immagine che annunziava all’umanità la nascita del Cristo Salvatore. Divinità, diavoli sono archetipi. Come sono archetipi eventi catastrofici come terremoti o allagamenti.

Tali immagini o eventi hanno spesso un significato simbolico, allegorico, e non diretto. Ciò non toglie che la gente capisca e che si allarmi, o, al contrario, si feliciti.

L’interesse puramente scientifico per tali fenomeni è anche testimoniato dal carteggio intercorso tra Jung e Rhine, il padre della parapsicologia moderna.

In una lettera inviata a Rhine(3), egli si compiace che anche lo scienziato di Durham abbia considerato come «soppresse», in coincidenza di tali fenomeni parapsicologici, le categorie spazio-tempo.

I Ching

Intanto Jung, avendo abbandonato definitivamente l’Università e la Clinica psichiatrica, si era dedicato esclusivamente alla libera professione e allo studio delle scienze occulte.

Lo spirito scientifico e positivista che aveva caratterizzato gli anni dell’Università, l’aveva abbandonato. Ora egli si apriva senza pregiudizi di sorta al mondo dell’inconoscibile, dell’occulto.

Già agli inizi degli anni ’20 aveva conosciuto un sinologo di chiara fama, Richard Wilhelm, noto per aver tradotto dal cinese in tedesco il libro de I Ching, un antichissimo calendario agricolo utilizzato in tempi più recenti come oracolo(4). Jung se ne appassionò e lo utilizzò più volte con i suoi pazienti.

Ad un paziente che si voleva sposare, Jung, in base all’oracolo, sconsigliò il matrimonio. Cosa che fece la gioia del paziente stesso.

Anche quando nel ’48, Jung si apprestò a scrivere la prefazione della traduzione inglese del libro che illustrava l’oracolo, lo consultò di nuovo. La risposta dell’oracolo fu incoraggiante.

Come ho già scritto(5), in tali casi si stabilisce come un fenomeno telepatico tra il consultante, l’oracolante e l’oracolo stesso.

Tale mantica, dunque, può essere anch’essa a buon diritto considerata alla stregua di un fenomeno parapsicologico, anche se un po’ complesso. D’altra parte tutte le mantiche: (cartomanzia, astrologia, chiromanzia, ecc.) hanno la stessa genesi.

L’interesse per tali argomenti, fino allora tabù nel mondo scientifico, lo allontanano vieppiù dai colleghi. Ma Jung non se ne cura.

Egli ha scelto di indagare l’animo umano. È assai più di un medico o di uno psichiatra.

Secondo periodo

Il secondo periodo in cui si evidenziarono le esperienze parapsicologiche di Jung, fu caratterizzato dall’interpretazione, potremmo dire «archetipologica» delle stesse.

In quel periodo (dopo il distacco da Freud e l’abbandono della clinica psichiatrica) Jung andò formulando, piano piano, il concetto di archetipo, partendo dal primitivo concetto freudiano di «complesso».

Ancora nel 1920, epoca in cui scrive il saggio I fondamenti psicologici della credenza negli spiriti(6), egli parla infatti di «complessi autonomi», ma anche di «immagini mitologiche», cioè di archetipi che sono infatti immagini dell’inconscio collettivo.

Questa convinzione, che cioè gli spiriti fossero come «proiezioni» all’esterno di immagini interiori, doveva durare molti anni. Del resto, cosa sarebbe Jung senza il suo concetto di archetipo e di inconscio collettivo? Tutti i fenomeni parapsicologici, anche quelli delle mantiche (v. I Ching), della visione dei fantasmi, vengono spiegati in questa chiave.

Intanto il dubbio comincia ad affacciarsi alla sua mente. Il volto della vecchia nella casa infestata dagli spiriti è una «proiezione», oppure il fantasma esisteva sul serio? si domanda angosciosamente Jung .

Quindi viene a sapere che il cottage «infestato» dovette essere demolito perché «invendibile». Evidentemente gli spiriti, i fantasmi, erano lì molto attivi, anche a prescindere dalla sua presenza! Non si poteva quindi parlare di una proiezione dell’inconscio.

Tuttavia la concezione dell’archetipo in lui ancora prevaleva.

Sempre nel saggio del 1920 egli parla quindi di «complessi autonomi» (archetipi), immagini interiori o mnemoniche che vengono proiettate all’esterno determinando la visione del defunto. E in tale contesto egli paragona tali «visioni» alle allucinazioni degli schizofrenici, alle visioni dei primitivi, alla visione, addirittura, del Cristo che S. Paolo ebbe sulla via di Damasco. Il Cristo era per S. Paolo, dice Jung, un suo «complesso», una sua immagine interna. Questo perché non era cristiano, per cui il Cristo era, come suol dirsi, «rimosso», «represso» nell’inconscio, dove viveva di vita propria (un «complesso autonomo», appunto).

In seguito tuttavia, con l’avvicinarsi della vecchiaia, questa visione, ancora in gran parte «scientifica», doveva ammorbidirsi. In parte contribuirono a questo cambiamento d’opinione le esperienze fatte con i pazienti (i sogni telepatici); in gran parte anche i lutti che nella sua lunga vita dovette patire; le esperienze strabilianti fatte contemporaneamente e in seguito a tali lutti, nonché un risveglio della fede religiosa, verso cui era stato scettico negli anni giovanili.

Tutto questo, come vedremo, doveva provocare in lui una vera e propria metanoia, un radicale cambiamento della sua Weltanschauung, della visione del mondo.

Terzo periodo

Come scrive nella sua famosa autobiografia, Jung sperimenta nel sogno, la «presenza» di alcuni trapassati che a lui sembrano «come vivi».

Inizialmente, in un sogno incontra un suo amico col quale in vita era rimasto su un piano di banale superficialità. Nel sogno l’amico gli appare intento a studiare psicologia con la figlia e gli fa segno di non disturbarlo. Successivamente Jung, poco prima della morte della madre sogna anche il padre. Il padre gli chiede di informarlo sulla psicologia del matrimonio», argomento sul quale, evidentemente, non era «ferrato». Il prossimo incontro con la moglie (che infatti morì improvvisamente poco dopo), senza le preziose istruzioni di Jung sarebbe stato irto di contrasti. Così del resto era stata la vita dei coniugi Jung; dice Jung, infatti «il matrimonio dei miei genitori non fu mai felice».

Ancora successivamente, dopo la morte quantomai dolorosa della moglie, egli la sogna in Provenza a fare ricerche sul mito del Graal. Jung nota nella sua autobiografia che questa era una ricerca della moglie in vita, interrotta dalla morte. Essa in pratica seguitava le ricerche cominciate in vita.

È questa, essenzialmente, la nuova visione junghiana della realtà metafisica e del significato dei sogni: si seguita nell’altra vita il compito iniziato in questa.

Senza ricorrere a concezioni «reincarnative» alle quali sostanzialmente non credeva (sebbene ammettesse che nell’ereditarietà esiste in pratica una certa sopravvivenza di vite anteriori) egli ammette che coloro che, per diversi motivi, non sono potuti arrivare a quel livello di coscienza che era alla loro portata, debbano nell’aldilà continuare il cammino coscienziale ed individuativo, per cui la conoscenza, la consapevolezza continua anche nella «quarta dimensione», nel cosiddetto «regno degli spiriti»(7).

È questo quindi il periodo «spiritualista» di Jung, in cui lo stesso rigetta le teorie scientiste degli anni precedenti. È questa la sua ultima e definitiva concezione.

Mi si consenta adesso una personale osservazione sui sogni dei defunti.

Come abbiamo visto, gli stessi sogni di Jung riportati sopra, parlavano di un caro amico, del padre, della moglie. Un altro amico, non in un sogno, ma addirittura come «presenza », gli si presenterà di notte, poco dopo la sua morte, e lo condurrà a casa sua a prendere un libro dallo scaffale della sua biblioteca: L’eredità dei morti di Émile Zola. Quindi un altro amico, un’altra persona cara che torna, come sembra, dall’aldilà per informarlo, per guidarlo...

Queste esperienze di Jung, e alcune esperienze oniriche personali, mi hanno convinto che la comunicazione col defunto avviene più facilmente se egli è stato una persona «cara».

Ciò mi ricorda tra l’altro ciò che succede nei cosiddetti sogni «telepatici» di cui già parlai in questa sede. I sogni «telepatici» che si verificano nel corso dell’analisi, sono in pratica sogni di transfert. Quando il transfert è intenso e si nutre un particolare affetto per l’analista, si possono sognare fatti ed episodi della vita intima dello stesso, per lo più drammatici, senza che quest’ultimo abbia comunicato nulla al suo paziente. Il paziente ha «captato» telepaticamente nel sogno le vicende del suo analista «perché è a lui particolarmente legato».

Ritengo di conseguenza che tale comunicazione tra il vivo e il defunto possa avvenire principalmente, se non esclusivamente, quando tra la persona vivente e quella trapassata ci sia stata in vita (ed anche quindi nel post-mortem) una corrente d’affetto, d’amore, di simpatia. In questi casi i defunti vengono «più volentieri», ed anche i vivi li accettano meglio. Non è pensabile che venga a noi in sogno un uomo «odioso». Nel caso, disgraziatamente, venisse, è meglio far finta di niente e non parlargli nemmeno.


Note:

(l) Jung C.G.: Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni oculti, in «Inconscio, occultismo e magia», Newton Compton, Roma 1971, pp. 39-139.

(2) Jung C.G.: La sincronicità come principio di nessi acausali, in «Opere», vol. 8, Boringhieri, Torino 1976, pp. 447-550.

(3) V. la lettera al Professor J. B. Rhine in Esperienza e mistero; 100 lettere di C.G. Jung, Boringhieri, Torino 1982, pp. 35-36.

(4) Cordiglia E,J.: I Ching, Edizioni Mediterranee, Roma 1983, 1991.

(5) Ranzato F.P.: Interpretazione psicologica di alcune mantiche, in «Verso la scienza dello spirito», Edizioni Mediterranee, Roma, 1991, pp. 129-136.

(6) Jung C.G.: I fondamenti psicologici della credenza negli spiriti, in Inconscio, occultismo e magia, Newton Compton, Roma, 1971, pp. 229-249.

(7) Bernhard E.: Mitobiografia, Ade1phi, Milano 1969, p. 28.
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20/11/2012 09:07
 
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Chissà perchè ma ricorda tanto l'Entanglement quantistico... [SM=g27988]
[Modificato da sgittario 20/11/2012 09:08]
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