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“SÌ, IO LI HO VISTI” Baiata intervista Venditti !

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2014 15:47
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15/01/2014 15:47
 
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“SÌ, IO LI HO VISTI” – L’Incontro con gli UFO di Antonello Venditti
20 gennaio 2012 di Maurizio Baiata

“Una domenica mattina, a Roma, sul parco di Villa Paganini arrivò un disco volante. Lo vedemmo perfettamente, mia madre e io…”

Poi altre esperienze di contatto e la vita e la morte, i poteri forti, il papa, i servizi segreti…


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L’intervista che segue fu pubblicata nell’Aprile 2000 dalla rivista mensile “Stargate” da me diretta e alla quale dedicammo la copertina. Molti non l’avranno mai letta, ritengo quindi sia giusto riproporla, per la validità e l’attualià dei suoi contenuti, nella sua versione integrale.

Antonello Venditti, in questa occasione, decideva di mettere a fuoco – con un vecchio amico giornalista ed ex discografico che con lui aveva lavorato a lungo nei primi anni ’70 – tematiche per lui molto vicine, attraverso domande che quasi mai a un cantautore accade che vengano poste. Ne esce un ritratto straordinariamente inedito di Antonello, che ringrazio ancora oggi, 12 anni dopo la prima pubblicazione, per questa fantastica occasione che mi concesse.

La mia amicizia con Antonello Venditti è ripresa da poco tempo. Ci unì la musica, quando Antonello era al suo terzo album, “Le cosa della vita” e io mi occupavo del suo management per i concerti, per conto della casa discografica RCA. Percorrevamo insieme, nella sua Citroen GS, migliaia di chilometri verso serate sempre uguali e sempre diverse. Ne nacque une conoscenza profonda, una stima reciproca che non si è mai interrotta. Già allora parlavamo di musica “alle frontiere del Cosmo”, oggi queste frontiere sono più vicine e due vecchi amici si incontrano di nuovo.

Maurizio Baiata: Partiamo dal problema benzina. Il prezzo sale, vivere costa sempre di più, ma forse è in atto un processo di strangolamento della coscienza, oltre che del nostro vivere quotidiano.

Antonello Venditti: Il mondo è pressato dal mondo, cioè la Terra sta vivendo una specie di gravità eccezionale che pesa sui nostri cervelli e sulle nostre membra e sui nostri cuori veramente insopportabile per cui stiamo occupando tutte le zone del sapere, dello spirito, del nostro corpo, e le stiamo sfruttando tanto male, non nella direzione giusta.

M.B.: Questo viene imposto da qualcuno, evidentemente.

A.V.: Sì, perché stiamo procedendo alla globalizzazione, al potere mondiale che escluderà completamente quelli che non si adeguano alle nuove tecnologie, alla nuova politica globale.

M.B.: A Seattle c’è stata una critica di piazza molto aperta contro il sistema economico globale e in Italia abbiamo a che fare con un sistema di governo che sembra abbastanza acquiescente a tutto ciò…

A.V.: No, seguiamo l’ombra di Blair e di Clinton. Siamo una mutandina di Clinton.

M.B.: E della NATO. Abbiamo fatto da trampolino di lancio per la guerra in Kosovo. Non ci fosse stata l’Italia la guerra non si sarebbe fatta.

A.V.: No.

M.B.: Quindi, l’Italia sembra ben poco impegnata in una crescita evolutiva. E gli italiani?

A.V.: Una strada personale, una politica autonoma è troppo complicata. Noi siamo un paese fragile che industrialmente conta pochissimo, dove le nostre industrie vendono tutto quello che possono, non ultima la FIAT. Il mercato non sappiamo cosa sia perché creiamo fittiziamente due soggetti, al massimo tre, e diciamo che è il mercato e invece c’è un trust su tutto, perché le stesse tre società che si dovrebbero fare concorrenza invece entrano ognuna nell’altra, quindi è troppo semplice, non ci vogliamo complicare la vita. Il nostro dopoguerra è nato come colonizzati, e questo intendiamo fare, seguire questa strada per apparentemente avere dei risultati e stare bene, invece molte volte non è così perché alla fine il più forte li tratterà come colonia. C’è il treno vincente, quello del dollaro e quello del perdente, di “cancellate il debito”, di coloro che purtroppo non possono nemmeno aspirare a tendere verso lo sviluppo.

M.B.: I poveri, i diseredati, i senza casa, a New York qualcuno di loro ha una laurea, potrebbe lavorare, condurre una vita normale, ma lo fa per scelta, come antitesi al sistema…

A.V.: Qui è diverso. Non capita mai che un ingegnere, se non è impazzito, se ne stia sotto i ponti e viva in mezzo alla strada. Qui si va in strada per necessità. È pieno di extracomunitari, muoiono nelle baracche bruciate. Diciamo che l’Italia sta come l’America negli anno ’60, per cui non c’è una filosofia di vita dietro, una necessità. Il permesso di lavoro, la cittadinanza. In America, in tanti Stati questo è stato superato, e anche comunità come quella portoricana, quella italiana, cinese, si sono integrate, la vita è diversa. L’America schiude altri scenari e l’America, forte del suo dominio industriale, riuscirà a dare quella specie di giustizia sociale che adesso non ha, perché se non hai la carta di credito o la tessera sanitaria muori per strada. Qui l’interesse sociale per l’individuo è maggiore.

M.B.: Ricordi quando negli anni ’60 avevamo un piede da una parte e uno dall’altra?

A.V.: Allora c’era l’orso comunista che faceva paura al mondo occidentale… l’Unione Sovietica, non si poteva fare tutto quello che si voleva.

M.B.: La nostra generazione viveva una dicotomia, fra gli Stati Uniti con il Flower Power, la musica, Jimi Hendrix e quanto ne conseguiva, dall’altro il fatto che c’era il Vietnam con il napalm, uno stato di cose contro cui lottavamo. Oggi lottare, ogni ideale politico… niente.


A.V.: Sono rimasti in alcuni di noi, ma non c’è più la vocazione alla politica, alla piazza, al dibattito. C’è una vocazione all’interesse personale, all’egoismo, non essendoci più una società che fa da paracadute ai fallimenti che uno può avere, rimani da solo depresso e quindi presumibilmente vai verso il suicidio. Da solo, in mezzo alla vita piuttosto che con la speranza che tutti quelli che stanno come te possano avere un riscatto. Prendi i suicidi di massa delle sette, ieri 600 morti, questo vuol dire che si sta recuperando un tipo spiritualità negativa, che non vorrei mai, che si accoppia a religioni storiche, che cercano di dialogare tra loro, fenomeni di cancri personali che portano al rifiuto della vita e poi invece è l’affermazione di un altro tipo di vita. L’impotenza di una persona che nasce oggi in Africa, o in un paese sottosviluppato, è come quella di chi nasce in paese sviluppatissimo, ancor più privo di speranza, come l’America, il paese più progredito del mondo, con le possibilità più grandi del mondo… e si sta male. Che fare? L’unica cosa è la morte.

M.B.: Se questo pianeta è un essere biologico che fa parte di un sistema planetario molto piccolo relativamente già noto, noi dobbiamo fare i conti con due estremi, il primo che siamo inseriti in un Universo, il secondo che i dominanti su questa Terra sono i servizi segreti, Dopo la guerra fredda fra le super potenze, oggi c’è una trama fittissima di rapporti che cercano di creare una economia basata sulla guerra e sugli argomenti e il mercato della droga. È chiaro che l’individuo ne esce annientato.


A.V.: Questo si chiama capitalismo. Il capitalismo porta a questo. La ricerca spasmodica del profitto fa le vittime. L’economia è protagonista del pianeta. Gli esseri umani sono misere pedine di un gioco che porta al massacro.

M.B.: Non sono d’accordo su un punto. L’essere umano è un microcosmo uguale all’essere biologico che è la Terra, che è uguale a tutto l’Universo. Quindi se ci fosse più gente che pensa al bene, in positivo, muoverebbe qualche pedina, anche in termini di rapporto con gli altri, la famiglia e i figli. Partecipando a un gioco di trasformazione ed evoluzione potremmo superare il problema economico.

A.V.: Sì, anche l’amore è cultura. Se tu non hai il senso dell’amore, se non ti insegnano i sentimenti… la cosa strana è che l’uomo cambia, che qualcuno sta cambiando per farci cambiare i valori, per metterci altri valori in termini negativi. Dai servizi segreti a internet. Ormai è tutto telematico, cambia anche la nostra funzione fisiologica. Oggi, dopo l’esplosione del jogging anni ’70, che ti portava a correre a sviluppare il tuo fisico guardando la natura, è cambiato il rapporto con lo sport, del nostro fisico. Oggi ci si chiude nelle palestre a sviluppare una nostra coscienza fisica in solitaria.

M.B.: Tu lo fai?

A.V.: No. Sono nato nel 1949. Un ragazzino che nasce oggi ha una bella poltrona cosmica che lo metterà davanti a un video e dalla sua postazione farà tutto. Loro vorranno farci votare senza più le cabine elettorali, informaticamente attraverso Internet. La cosa più grave è che stiamo eliminando il paese fisico, la realtà. Ci svegliamo solo quando capiamo che la natura è ancora più forte di noi, ci meravigliamo quando ci sono i terremoti che portano via la terra, o i cataclismi naturali perché ci sentiamo superiori. L’uomo non si considera più un animale, si considera il padrone di questo mondo che poi invece esploderà. Gli equilibri si devono ripristinare.

M.B.: Senti, qualora arrivino “gli altri”? Cosa pensi accadrà?


A.V.: Non lo so. Gli altri, esistenti o non esistenti, hanno contato sempre di più nei periodi di grande crisi dell’umanità. Per esempio, i dischi volanti classici si vedevano nei momenti di guerra, quasi sempre. Era la nostra coscienza che aspetta gli angeli. Noi ci aspettiamo o i diavoli o gli angeli. È un discorso buono con noi stessi. È un problema di fede, di credere in qualcosa, come credere in Dio o nel diavolo, come aspetto negativo. Il problema è che oggi se ne vedono sempre meno.

M.B.: Non è vero, se ne vedono a iosa dovunque.

A.V.: È il bisogno di altro. Tutto il discorso sugli extraterrestri è stato basato su una morale qualche volta un po’ retriva, quella del bene, che dobbiamo mantenere il pianeta in ordine, che i buoni devono fare i buoni. Su una cosa universalistica e cosmogonica che molte volte è un po’ superficiale. La verità è che come per gli angeli, come per Dio, bisogna vedere se gli alieni possono intervenire nel nostro pianeta.

M.B.: Non credo. Perché ammesso ci sia una federazione galattica della quale noi facciamo parte…

A.V.: Allora noi saremmo colonia in questo modo…

M.B.: Loro sono all’esterno, non intervengono assolutamente, svolgono i loro ruoli, tra di loro si combattono in accordo o meno con le superpotenze o le potenze occulte che possono esistere sulla Terra.

A.V.: Ecco, appunto. Questo presupporrebbe comunque che ci sia un governo fantasma.

M.B.: Che ne pensi, esiste o no questo governo fantasma?

A.V.: Non lo so.

M.B.: Pensiamoci un attimo.

A.V.: La storia ci dice che ogni potere forte che resiste… come per esempio Fatima, la chiesa cattolica e i suoi misteri, ogni religione ha i suoi misteri, le sue profezie e quindi si presuppone che il capo della chiesa, il Papa sappia molte più cose di me e di te rispetto all’occulto e al mistero della fede e così io penso che il presidente degli Stati Uniti, o della Russia, sappia molto più di quel che appare su questa faccenda, e per un certo periodo di tempo, almeno 30 anni, si è pensato tutti che il mondo occidentale possedesse tecnologia, avesse contatti precisi abbastanza diretti, fisici anche con gli extraterrestri. Però da tempo mi sembra che si parli più di tecnologia che dialogo tra esseri.

M.B.: Può darsi che ci sia un cambiamento di paradigma nei rapporti: da una parte un dialogo tecnologico, che dura da molti anni, e dall’altra un dialogo legato alla coscienza e alla spiritualità. Non è detto che questi esseri esterni abbiano il nostro stesso livello di coscienza e spiritualità, ma oggi, più che in passato, anziché con i governi e i governi occulti, potrebbero voler interagire con gli individui, mediante gli avvistamenti, stabilendo con chi vede un UFO un contatto, e l’esperienza di coscienza è iniziata e rimane dentro per tutta la vita.

A.V.: Questo è vero. Io ho avuto un contatto visivo, più volte, e più volte anche a livello parapsicologico, che poi mi pare sostanzialmente più interessante. Ma non mi ha cambiato così tanto. Forse ha affermato quello che pensavo, ma non mi ha reso più sereno, non ha rafforzato la mia idea della vita. Le ha segnate da ulteriore mistero. Mentre l’essere umano ha bisogno di certezze il fatto di aver avvistato o sentito qualcosa, a me non ha apportato questa… pace.

M.B.: Potrebbe averti dato la forza di portare avanti determinate cose per la gente.


A.V.: Può darsi, io credo che uno ce l’ha dentro. Non vedo il rapporto diretto. Qualora ci fosse è del tutto inconscio. Oltretutto sono rari i casi in cui l’avvistamento di un UFO diventa un rapporto che continua nel tempo. Poi alla fine anche il ricordo si consuma lasciandoti qualcosa che, se non riesci a farlo produrre in modo forte, poi ti rimane così, un processo molto lento.

M.B.: Però tu ricordi perfettamente le prima volta. Vuoi parlarne?


A.V. Certo. Io ero ragazzino, avevo forse dodici anni. Doveva essere il ’58 o il ’59. Fu un grande avvistamento. Mia madre lo ricorda meglio di me. Eravamo insieme a Villa Paganini. Una domenica mattina verso le undici e mezzo in questo parco arrivò un disco volante a forma di… cactus, l’hanno visto in tanti, e quando dico un cactus era proprio un cactus, verde, con sotto una cupola gialla con tre soffietti per tenerlo collegato alla terra, tre protuberanze che dovevano essere dispositivi per atterrare, gialle. E questo oggetto era enorme, stava sopra di noi, enorme. Stava a 20, 30 metri sopra di noi. Era su di noi in modo lampante. E cadde del silicio, una specie di manna che poi mia madre mi disse essere silicio. L’oggetto ondeggiava facendo vedere anche la cupoletta e si muoveva, mostrando anche gli oblò per tanto tempo, almeno trenta secondi fino a che sparì in un attimo. Svanito senza alcun rumore. Tutta la gente nel parco ha visto questo oggetto, che poi mi dicono essere andato verso Firenze e si è fermato sullo stadio di Firenze facendo lo stesso giochetto che ha fatto a Roma. In seguito ho visto una palla di fuoco, anche se quelli possono essere fenomeni meteorologici. Ero a Olevano Romano e nella valle apparve questa palla di fuoco che tutta Roma vide, ma non aveva lo stesso valore di un disco volante sopra di te.

Ma la cosa che mi sta più dentro è un’esperienza parapsicologica vissuta insieme a un mio amico, Rino Gaetano. Eravamo in macchina, di notte, lui allora faceva teatro e io andavo spesso a vederlo e lo portavo a casa. Tornavamo da Fiuggi, nel bosco che la costeggia, tutti e due avemmo la sensazione che dentro a questo bosco ci fosse una presenza enorme, non propriamente felice, non buona. Assistemmo entrambi al fenomeno della… vecchietta, una cosa letta e riletta, ma che però abbiamo vissuto. Come spiegare? A un certo punto vedemmo una vecchietta sul bordo della strada e insieme questa sensazione, dopo una quarantina di chilometri verso Roma ritrovammo la stessa vecchietta davanti a noi, impossibile.

M.B.: Che fattezze aveva?

A.V.: Una donna piccolina, simile a quello che uno pensa sia la Befana. Mi sembrava così strana l’idea che in questo bosco ci fosse qualcosa di non buono, di enorme, non ti dico il diavolo, ma quasi. Poteva anche essere un disco enorme. Dopodiché, la visione di questa vecchietta incappucciata, e non era inverno. Dopo ritrovi la stessa entità dopo 40 km, ed era anche notte, andavi veloce, non ti hanno superato in 18, non puoi neppure dire che aveva fatto l’autostop.

M.B.: Quando hai visto per la prima volta “Incontri ravvicinati del III tipo”, cosa hai pensato?

A.V.: Che poteva essere completamente plausibile e che la cinematografia americana andava verso qualcosa che poi sarebbe diventato usuale, gli uomini bionici, “Alien”, la clonazione, cui il cinema ci ha abituato, rendendo normale qualcosa di assolutamente stravolgente. Quindi pensavo che dopo “Incontri ravvicinati” ed “ET”, dovesse accadere qualcosa velocemente, invece non è successo nulla, questa cosa si è persa.

M.B.: Si è persa perché in questo pianeta e nell’uomo che lo abita probabilmente la trasformazione sta avvenendo ora.

A.V.: Adesso, credo, è come sa questo mondo sia abbandonato da Dio, ho questa impressione. Malgrado il Papa provi a riportarlo alla storia dell’anima in qualche modo, ho l’impressione che questo mondo sia perso spiritualmente.

M.B.: Però nel disco non dici queste cose.


A.V.: No.

M.B.: Ci metti dentro molte speranze.


A.V.: Assolutamente. Proprio perché la speranza è qualcosa che mi appartiene fortemente. Però io vedo quanto sono diverso dagli altri. Quindi questo mondo non è fatto a mia immagine e somiglianza. Io non l’avrei fatto così.

M.B.: Come lo avresti fatto?


A.V.: Avrei fatto un mondo un po’ più lento, meno invadente. Oggi tutti pensano al proprio discorso, sono delle trasmittenti che ti buttano le loro cose.

M.B.: Sei mai stato in Egitto, hai visto le piramidi? Lì c’è ancora molto da scoprire, di noi stessi e dell’Universo.

A.V.: No, non ci sono ancora stato, ma ho letto tanto sulle piramidi, sulla nascita dell’Universo. La tradizione azteca. Il fatto che si dovrebbe fissare la data di costruzione delle piramidi molto prima di quanto dicono, che ognuna punta verso una costellazione e tutto il resto. Diciamo che è sicuro. La nostra capacità di ragionare in termini scientifici sull’uomo azzeccandoci sempre: vuol dire che l’uomo è qualcosa di costruito che somiglia… ho anche scritto una canzone che ne parla, “Figli del domani” nell’album “Quando verrà Natale”, noi siamo sicuramente cloni di qualcosa che c’è stato, forse un esperimento, quindi tutto il discorso del Paradiso e dell’Inferno e della vita, che sono tutte metafore, noi soffriamo, pensi che la Terra sia una colonia di pena, come in “Blade Runner”. Più si va avanti più è così. Il fatto che con il DNA riusciremo a creare altri di noi, i pezzi…

M.B.: Basta che tutti questi poteri non siano solo nelle mani di alcuni che li amministrano negativamente, i militari…

A.V.: Questo diventa meno interessante rispetto al chi siamo, dove andiamo e perché, somiglia molto alla teoria, alla robotica.

M.B.: Per andare fuori da questo sistema solare dobbiamo cambiare noi stessi dentro, anche meccanicamente, perché non funziona. Ogni volta che si cerca di arrivare su Marte, la gran parte delle missioni è finita misteriosamente.

A.V.: Però tu ragioni in termini biologici, io in termini diversi: probabilmente alla fine del proprio viaggio su noi stessi troveremo il computer che ci ha generato, il sistema. Quando risaliremo verso Dio sarà come risalire verso un cervello elettronico diverso che esiste da qualche parte, oppure è morto, come parlare di storia.

M.B.: Sei credente?

A.V.: Sì, però Dio ormai assume questi enormi contorni scientifici. Cioè, Dio ci ha creato a sua immagina e somiglianza, ma può darsi sia il frutto di un microchip… per cui cosa c’è dietro a Dio? Noi siamo la miniatura di qualcosa avvenuta a livello cosmico. Stiamo andando scientificamente verso Dio. Forse avremo qualche delusione, perché mentre troveremo la vita biologica, ancora non troveremo i sentimenti, a meno che un giorno o l’altro troveremo un gene, una composizione chimica che ci dirà perché uno è buon o cattivo. Una volta che nel nostro cervello appare il dolore, nell’emisfero del dolore, già lì puoi manomettere l’uomo. Il dolore è uno dei sintomi più forti di un malessere, una malattia, un disagio, se tu elimini il dolore all’80% elimini la tua sofferenza, ma è il dolore morale che ti porta a discernere il bene e il male, cioè l’anima. E l’anima fortunatamente, ancora non l’abbiamo trovata. Però la troveremo e allora saremo soli.

M.B: Cosa pensi per il futuro dei nostri bambini…


A.V.: Io ho un figlio, Francesco Saverio, e due nipoti, Alice e Tommaso, che è in arrivo. Il mio percorso l‘ho già fatto, l’aspetto della salvaguardia della specie l’ho espletato, quindi qualora avessi un figlio sarei in un discorso temporale un po’ contradditorio. Una nuova vita? La vita porta sempre alla morte, per cui è già un atto di crudeltà mettere al mondo un figlio, esporlo all’umanità, sapere che soffrirà o gioirà come te… il punto non è fargli passare una vita migliore o peggiore, quanto l’atto, che può essere di estremo egoismo o di estremo amore, di renderlo umano, di crearlo su questa Terra. Certo, possiamo dire che sarebbe più fortunato perché possiede certi mezzi che altri non hanno… però se questo mio figlio si ammala dentro, o ha qualcosa che non va, la sua vita è indipendente dalla mia. Insomma: muoiono i ricchi e muoiono i poveri. Il problema è la morte dell’uomo. Tutto quello che ci muove nella vita è l’idea di superare la morte. Questo ci porta anche al bene e al male. Perché se tu non avessi l’idea della fine o di un giudizio superiore, la Terra sarebbe una terra di banditi, non ci sarebbero leggi. Tu dici: devo passare sulla Terra una media di 74 anni, quindi mi prendo tutto quello che voglio, che m’importa di comportarmi bene? Tanto morirò!

M.B.: È probabile che tutto questo sia un passaggio verso qualcosa di superiore.

A.V.: Certo, e meno male che noi lo pensiamo, che ci sono diversi livelli di vita, perché se non fosse così noi ci scanneremmo del tutto. Ognuno per sé, per la famiglia, gli amici, cercherà di viverla.

M.B.: Hai seguito la vicenda della canzone “Arcobaleno” di Mogol?


A.V.: Sono cose che esistono, ma in questo caso non lo so. Le forze… i rapporti tra l’uomo e l’aldilà… Anche noi, ogni sera compiamo tutto questo con il sogno, che è libero, è una zona franca in cui noi non trasmettiamo ma siamo riceventi, in cui la mente tace. Tutte le grandi cose avvengono in sogno. Aspetti che qualcuno, non fisico, venga da te e ti parli. Non a caso poi c’è l’interpretazione dei sogni. Quello che è vero nei sogni poi a livello psicologico è tutta un’altra cosa. In sogno andiamo per mare e poi invece la vita è un’altra, ecco. Chiaro che può accadere. Se ti capita una cosa strana, hai l’opportunità di dirlo? Con una televisione basata sulle scempiaggini, va al telegiornale l’attore che fa amicizia con la cameriera e ci fanno un servizio, figurati se qualcuno vede un disco volante… ma non stiamo dimenticando qualcosa?

M.B.: Antonello, gli argomenti da dibattere sarebbero ancora molti…


A.V.: Stiamo dimenticando la musica. La musica è una delle cose che unisce gli esseri. Non a caso in “Incontri ravvicinati…” il primo incontro è attraverso la musica. La musica è razionalità e quindi scienza, ma anche intuito, intuizione, naturalezza, istinto. Se uno guarda la musica, la sente, vede come cambia l’uomo. È quanto di più libero possa esserci.

M.B.: Tu davanti a 50.000 persone, la musica la trasmetti, loro ricevono delle vibrazioni e te le ritrasmettono, ma in quel momento cosa accade?

A.V.: Accade qualcosa che vorremmo tanto, che si chiama armonia. Quindi la creazione di una specie di galassia, di bolla di sapone che per un momento è perfetta, dove tutti i partecipanti sono nello stesso momento in sintonia, un grande amplificatore. Ogni singolo trasmettitore di musica segue il suo viaggio. Ed è importante stabilire che genere di viaggio segue l’umanità attraverso la musica che ascolta, che è quella che aggrega. Oggi c’è una frammentazione, ma la musica è l’unica arte che si chiede sempre del pianeta, anche di come stanno gli altri, anche politicamente. Ha una possibilità di testimonianza fisica che nessun’altra arte può avere. Analizzando la musica occidentale si può capire anche dove va il mondo. La musica è un messaggio che viene dal cielo, o che viene dalla Terra e si propaga verso il cielo e ritorna. L’idea che la musica possa essere una delle armi del bene o del male per me è molto bella e affascinante.

M.B.: Lo è anche per me. Prima di chiudere, ti va di parlare di calcio? Antonello, cosa succede alla Roma?

A.V.: I giocatori hanno paura di sbagliare, di non farcela. Quando uno gioca senza il sorriso non si va da nessuna parte. Facce scure. Ne devono parlare fra loro. Qualcosa c’è all’interno, perché giocano tutti da soli. Credo che dipenda da Totti, Del Vecchio e Montella che trasmettono a tutta la squadra il nervosismo, il fatto di non riuscire a segnare.

M.B.: Non pensi che sia il calcio, non i giocatori a dover cambiare?

A.V.: Il calcio adesso è un moltiplicatore di capitali, il business totale, un enorme giro di denaro e di stress per tutti, il pubblico subisce tutto. Il pubblico pretende perché paga un biglietto tantissimo, tra Stream e Tele+ e la partita, e i giocatori lo subiscono perché spendono delle cifre anche psicologiche enormi per reggere l’impatto con la società, perché il calcio sta diventando una delle cose più importanti della nostra vita.

M.B.: Ma non dovrebbe esserlo.


A.V.: Non dovrebbe. Ma adesso le società sportive sono a fini di lucro. Prima c’erano i presidenti, ricchi e scemi, che spendevano i loro capitali per un ipotetico ritorno pubblicitario di se stessi. Ora, dalle associazioni sportive siamo passati a squadre di qualcuna è persino quotata in borsa. Quindi il prossimo passo sarà l’arrembaggio alla borsa del calcio.

Maurizio Baiata, Aprile 2000 – aggiornamento: 20 Gennaio 2012

Fonte dati: mauriziobaiata.net/2012/01/20/antonello-venditti-si-io-li-ho-visti-intervista-di-maurizio...

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