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Un ponte tra due mondi

Ultimo Aggiornamento: 28/06/2012 11:13
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28/06/2012 11:13
 
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Fonte: www.altrogiornale.org/news.php?extend.7816

«Vita dopo la morte? Sarà, ma nessuno è mai tornato a raccontare cosa c’è dall’altra parte…». Quante volte abbiamo sentito ripetere questa battuta, quando in una conversazione volevamo dare un senso meno materialistico e prosaico alla vita e all’essere umano…
«Nessuno è mai tornato…» ma ne siamo proprio sicuri?
In realtà di testimonianze sull’esistenza umana oltre la soglia della morte ve ne sono state moltissime nel corso della storia, piú o meno attendibili e piú o meno articolate. Naturalmente, trattandosi di comunicazioni provenienti da un mondo profondamente diverso dal nostro – mancando il piano fisico – è evidente che il linguaggio non può essere il medesimo della terra. La persona che ha attraversato la soglia della morte tende a modificare molti dei punti di vista che aveva quando viveva incarnato in un corpo fisico, e questo in misura sempre maggiore quanto piú egli tende a distaccarsi dalla sua vita trascorsa; tuttavia, nei – sia pur rari – casi di comunicazioni serie, si può avere l’opportunità di ‘seguire’ per cosí dire, il cammino del defunto nel suo percorso post-mortem.
Tralasciando tutto l’ampio spettro delle testimonianze ‘medianiche’ in cui non è dato sapere chi sia realmente a comunicare, e anche la pur ricchissima letteratura sulla NDE (particolarmente interessanti ed approfonditi gli studi sulla Near-Death Experience di Raymond Moody), di persone, cioè, ritornate a vivere dopo essere morte per alcuni minuti o piú, e che hanno raccontato quanto hanno sperimentato in tale lasso di tempo, vi sono testimonianze attendibili e di lunga durata, tali da poter offrire una immagine dettagliata del percorso dell’anima umana dopo la morte fisica. Una di queste ci è stata lasciata da <-- Botho Sigwart, conte di Eulenburg, secondo figlio del diplomatico prussiano Philipp Graf zu Eulenburg e di Augusta, contessa di Sandels. Il padre Philipp, che aveva ricevuto il titolo di conte nel 1900, era molto dotato artisticamente, componeva, cantava ed era amico e consigliere dell’Imperatore Guglielmo II, il quale si recava spesso nella proprietà di famiglia a Liebenberg, a circa 50 chilometri da Berlino. Nato a Monaco il 10 gennaio 1884, Sigwart ereditò – insieme alla sorella piú piccola, Victoria, detta Tora, che divenne poi pianista – le disposizioni musicali paterne. Sigwart era talmente dotato che a soli 7 anni scriveva Lieder ad orecchio e a 8 anni componeva ed eseguiva Lieder e musica per pianoforte, spesso dinanzi all’Imperatore in visita a Liebenberg.


La famiglia riunita a Liebenberg (ca. 1900). Da sinistra in piedi:
Adine, il padre Philipp, il segretario Kistler, Friedrich-Wendt,
Sigwart. Sempre da sinistra seduti: la nonna Alexandine, Karl,
la madreAugusta, Lycki, la nonna Sandels e Tora


L’apprezzamento che Guglielmo II dimostrò al giovanissimo compositore fu tale che gli ordinò – Sigwart aveva allora 11 anni – delle variazioni su una marcia di Dessau, musica che fu successivamente eseguita e diretta da lui stesso a Vienna. Nel 1898 studiò organo al ginnasio di Bunzlau, in Slesia, e poi al ginnasio Luitpold, a Monaco, nel 1899, per trasferirsi infine a Berlino, al ginnasio umanistico Friedrich Wilhelm, dove conseguí la maturità nel 1902. Un anno prima, a soli 17 anni, aveva preso parte – su invito di Cosima Wagner, vedova di Richard e amica di famiglia – al Festival di Bayreuth, dove aveva avuto modo di dirigere l’orchestra, se pur durante le prove. Dal 1902 fece ritorno a Monaco dove studiò storia e filosofia fino al 1907, quando conseguí la laurea. Contemporaneamente al corso di laurea studiò musica con Ludwig Thuille e, successivamente, con Max Reger a Lipsia. Da allora iniziò a produrre composizioni musicali che sono ancora oggi disponibili.
Un viaggio di studio in Grecia risvegliò in lui una profonda passione per l’arte greca classica; in particolare la musica greca antica era per lui qualcosa di appassionante, tanto che musicò i Lieder di Euripide di Ernst von Wildenbruch, fino a farne una composizione operistica. Quest’opera – la cui esecuzione fu rimandata a causa dello scoppio della I Guerra mondiale – venne eseguita per la prima volta, con grande successo, a Stoccarda il 19 dicembre del 1915, cinque mesi dopo la morte di Sigwart. Nel 1909 sposò la cantante lirica Helene Staegemann, che gli diede un figlio, Friedrich, nato nel 1914, destinato anche lui ad una morte prematura; morirà, infatti, nel 1936, a soli 22 anni, nel corso di un’esercitazione militare. A Strasburgo ebbe occasione di conoscere Albert Schweitzer, anch’egli organista, con il quale terminò, nel 1911, i suoi studi musicali e cui dedicò un concerto per organo. Al circolo di giovani amici musicisti di Sigwart appartenevano anche Wilhelm Furtwängler e Artur Nikisch. La passione di Sigwart non era solo la musica ma anche la filosofia e l’esoterismo. Nella sua breve vita si interessò appassionatamente di religioni orientali, Buddhismo, Teosofia, sino a incontrare Rudolf Steiner nel 1906, seguendo da quel momento con trasporto l’Antroposofia.
Steiner era, infatti, amico dei conti di Eulenburg, ed era a volte ospite a Liebenberg; dal momento in cui lo conobbe, nella dimora di famiglia, Sigwart non perse occasione per seguirne le conferenze e per approfondirne l’opera. Condivise questo profondo interesse con i fratelli Lycki, Tora, Karl e con la cognata Marie. In tal modo vennero poste le basi per le comunicazioni che avrebbe iniziato a fare dopo la sua morte. Allo scoppio della I guerra mondiale Sigwart aveva 30 anni, e partí come volontario nell’esercito tedesco, con il profondo impulso di difendere la Patria in pericolo. Serví con il grado di sottotenente in un reggimento di cavalleria prima sul fronte occidentale e successivamente su quello orientale. Gravemente ferito ai polmoni il 9 maggio 1915, durante un attacco in trincea in Galizia, venne ricoverato in un ospedale militare a Jaslo dove morí il 2 giugno 1915. Nonostante le enormi difficoltà per la guerra in corso, secondo i suoi desideri, il suo corpo venne portato nel castello del padre a Liebenberg, dove fu sepolto sotto la grande quercia a lui molto cara. Il legame particolarmente profondo tra Sigwart e Marie fece sí che quest’ultima subisse un trauma profondo per la morte del cognato. Ad appena poche settimane dalla morte, Sigwart si mise in contatto con sua sorella Lycki, a lui molto legata, e successivamente anche con altre persone di famiglia.
Lycki cosí descrive ciò che provò quando iniziò a sentire che il fratello voleva mettersi in contatto con lei: «Nella solitudine e nel silenzio di questa giornata ho capito ciò che Sigwart si aspetta da me. Lui non vuole guidare la mia mano dall’esterno, ma sono io che devo aprire una porta dentro di me; allora sentirò le sue parole che poi devo trascrivere».
Le comunicazioni non avevano carattere medianico; Sigwart trasmetteva i suoi messaggi dall’Aldilà a persone non in trance ma perfettamente coscienti, che poi provvedevano a trascriverli. Lycki, poi Tora e piú tardi Marie, iniziarono allora a trascrivere i messaggi di Sigwart, che proseguirono per 35 anni. Dapprima la sorella nutriva chiaramente molti dubbi sulla autenticità dei messaggi che sentiva nascere dentro di sé e che man mano provvedeva a trascrivere. Ma le esortazioni del fratello e la straordinarietà di quelle comunicazioni, che le giungevano in piena coscienza e non tramite fenomeni di trance, la convinsero che si trattasse proprio dell’amato Sigwart che tentava di mettersi in contatto con lei. Sigwart le chiedeva di aprire la propria mente, lasciando penetrare quei messaggi, contrastando e superando ogni sorta di pur comprensibile afflizione per la sua scomparsa fisica. Consapevole dei giudizi negativi che il maestro di Sigwart, Rudolf Steiner, aveva sempre dato delle comunicazioni dall’Aldilà, e non ancora certa dell’autenticità dei messaggi, un giorno la famiglia mandò Marie da Steiner. Si recò dunque a Berlino – dove viveva in quegli anni Steiner – e, su richiesta dello stesso Steiner, gli lasciò i quaderni con i messaggi del cognato con l’accordo di rivedersi dopo un paio di settimane. Venne il giorno dell’appuntamento, e Marie era in ansiosa attesa di sapere cosa le avrebbe detto il Maestro su questa vicenda sicuramente poco ‘ortodossa’ rispetto alla Scienza dello Spirito, anzi, per certi versi contraria allo spirito dell’Antroposofia.
«Cosa dirà?» si domandava dunque Marie, in attesa di incontrare Steiner. «Questa domanda stava davanti a me a lettere cubitali, perché nel frattempo in me si era molto rafforzata la fiducia verso l’identità di Sigwart. Per un’ora e tre quarti il Dr. Steiner mi spiegò accuratamente, pagina per pagina, le comunicazioni [di Sigwart] mettendo nella giusta luce quelle che non avevo compreso, spiegando cosa aveva inteso Sigwart con questo o quello, e mi pose delle domande. Mentre leggeva, annuiva spesso con il capo, esclamando con approvazione: “Questo è descritto molto bene” – “Ben espresso” – “Definizione precisa” – “Sí, le esecuzioni musicali, quelle sono realtà”. Attesi inutilmente obiezioni a una qualche comunicazione; non ve ne furono! Accomiatandosi mi disse: “Sí, queste sono comunicazioni straordinariamente chiare e assolutamente autentiche dei Mondi spirituali. Non vedo ragione alcuna per sconsigliarLe di continuare ad ascoltarle…”. Nel salutarci, ancora una volta sottolineò che comunicazioni di questo genere erano molto rare. Io sentii che era veramente felice di questo e che avevamo condiviso questa gioia» (dal libro Brücke über den Strom: Sigwarts Mitteilungen aus dem Leben nach dem Tod – Il ponte sul fiume: comunicazioni di Sigwart sulla vita dopo la morte, Oratio Verlag, Sciaffusa 2008).
Le comunicazioni di Sigwart proseguirono per anni e vennero raccolte devotamente e riservatamente dalla famiglia. Fino a che, il 25 aprile 1932, arrivò questo messaggio: «è giunto il momento in cui i doni divini che abbiamo lasciato elargire da nostro fratello Sigwart devono diffondersi in circoli piú ampi. Quanto da lui vi è stato comunicato deve essere diffuso per donare benedizione, per alleviare sofferenze, per aiutare le persone ed indicare loro la via verso la Luce. Il momento è arrivato!». Da allora le comunicazioni di Sigwart sono state pubblicate in volume e tradotte in molte lingue del mondo. Nei messaggi dal Mondo spirituale Sigwart descrive alla sorella Lycki, e al circolo di amici – che ben presto si forma intorno a lei – ciò che accade all’anima nel momento della morte e nei periodi successivi. Il suo amore per i suoi familiari gli consente di stare loro vicino e di assisterli nel superamento del grande dolore per la perdita. Un dolore che però va superato, perché produce al defunto solo grande sofferenza e gli impedisce di comunicare con i suoi cari. La morte è qualcosa di meraviglioso – non si stanca di ripetere Sigwart – l’avvenimento piú bello della vita; quello che risveglia al Mondo spirituale, dunque perché dolersi per chi è ormai immerso nella Luce divina? Chi attraversa la soglia della morte è letteralmente assetato dei pensieri elevati che si possono formare solo nel corso dell’esistenza fisica, e per questo motivo Sigwart gioisce con la sorella quando lei e i suoi amici si incontrano e discutono di argomenti elevati o si dedicano alla meditazione. Sigwart racconta giorno per giorno – in una sorta di diario ultraterreno – il proprio percorso dal piano astrale a quello del Devachan. Il mondo fisico, quello astrale e quello spirituale, o Devachan, in realtà non sono separati, ma si compenetrano; solo la nostra limitazione nella percezione di ciò che non è fisico ci impedisce di vedere oltre i confini del nostro mondo. La pratica spirituale che egli ha coltivato già nel corso della vita terrena gli consente di procedere molto rapidamente nel percorso tra morte e nuova nascita, permettendogli altresí di conseguire delle conoscenze particolarmente elevate dei Mondi spirituali.
Racconta alla sorella, sin nei dettagli, la prosecuzione – sul piano spirituale – delle proprie creazioni musicali. La “musica celeste” destinata a trasformare l’atmosfera della Terra. «La musica è l’arte piú elevata, anche se può agire solo indirettamente sugli uomini. …Il suo compito è quello di trasformarne l’anima. …è il nostro mezzo piú efficace per influenzare l’umanità» (op.cit.). Il suo impegno nella realizzazione di sette sinfonie ‘celesti’ è qualcosa che lo occupa molto e lo entusiasma; tale opera – realizzata sul piano spirituale insieme ad altre anime – rappresenta la prosecuzione della sua missione sulla terra. Descrive con toni rapiti l’indescrivibile felicità delle anime che assistono alle esecuzioni di musica ‘celeste’ e narra di periodi d’intenso ma luminoso lavoro per creare le opere e successivamente per educare altre anime alla musica. Cosí dice Rudolf Steiner nella conferenza “Alle soglie della Scienza dello Spirito” tenuta a Berlino nell’agosto 1906 (O.O. N° 95): «L’attività e la beatitudine nel Devachan consistono specialmente nell’attività creatrice. I grandi mutamenti della Terra sono creati dall’essere umano sotto la direzione e la guida degli esseri superiori. I morti lavorano alla trasformazione della fauna e della flora. La trasformazione della Terra è dovuta all’operare dei morti. Anche nelle forze della natura dobbiamo vedere le azioni degli esseri disincarnati. Ciò che l’uomo non può fare qui sulla Terra lo compie nel periodo che vive tra la morte e una nuova nascita».
Ma i messaggi di Sigwart sono anche ricchi d’indicazioni per l’esistenza terrena, per la preparazione necessaria onde poter penetrare coscientemente nel mondo che ci aspetta oltre la soglia della morte, dove, se non siamo coscienti, viviamo a lungo in uno stato di doloroso sonno, senza poterci rendere conto di dove ci troviamo. Allora non ci rendiamo conto neppure di essere morti e non riusciamo a riconoscere le anime delle persone a noi legate che ci si avvicinano. L’uomo che attraversa la soglia della morte non è – come spesso si immagina – automaticamente consapevole di ciò che ha davanti; in realtà egli guarda al nuovo mondo in cui si trova ancora con i pensieri, le emozioni ed i giudizi che aveva da uomo terreno. Solo se nel corso della vita terrena si è lavorato spiritualmente, appropriandosi delle corrette descrizioni del Mondo spirituale, si può superare rapidamente il periodo di disorientamento che l’anima del defunto si trova ad attraversare. Come sottolinea Steiner: «Escludere il sapere sui Mondi spirituali durante la vita sulla Terra vuol dire rendersi cieco nel senso animico-spirituale per la propria vita dopo la morte» (Nessi cosmici nella formazione dell’organismo umano – O.O. N° 218).
Ciò fa comprendere – ove ve ne fosse la necessità – la straordinaria importanza di quanto Rudolf Steiner ha portato nella cultura attuale con la Scienza dello Spirito, che ha messo a disposizione dell’umanità un quadro esaustivo del Mondo e delle Entità spirituali, rendendo di fatto operativo il ponte tra il mondo terreno e quello dello Spirito. «Non importa – ci dice Sigwart - quali sono i sentieri che percorriamo nella nostra vita, quali lavori abbiamo fatto, tutto dipende da quello che l’uomo ha pensato, ha sentito e ha fatto nella sua ultima vita terrena. ...Io adesso so qualcosa in piú, vedo piú lontano di prima. Ma una volta che ci siamo liberati della materia del nostro corpo fisico, non si diventa improvvisamente onniscienti. Voi non ci crederete, ma io sono accanto a voi, sento tutto quello che dite. Io vivo!» (op.cit.). Man mano che il tempo passa e che il defunto si distacca dalla terra, il racconto di questo straordinario viaggio si arricchisce anche d’immaginazioni cosmiche, di esperienze spirituali elevatissime che si traducono in preghiere, meditazioni e indicazioni per le anime di coloro che ancora vivono incarnati. Seguendo il percorso di Sigwart, viene a crearsi dentro la nostra anima un ponte tra il nostro mondo e quello spirituale; cominciamo a guardare alla morte con un occhio diverso. Non piú “regno delle ombre” ma Regno di Luce e di Amore. Iniziamo a immaginarlo come una porta che si apre su una nuova realtà, nella quale riversare i frutti dell’evoluzione spirituale conseguiti nella nostra esistenza terrena. «Potete raffigurarvi l’essere incarnati con un viaggio sgradevole che si è costretti a intraprendere. All’arrivo a destinazione – vale a dire sulla terra – venite rinchiusi in un cortile circondato da alte mura. Vedete il cielo sopra di voi, ma siete convinti che sia irraggiungibile. Rimanete lí fino a quando vi si viene a prendere.

Alcuni di voi possono, con il loro sviluppo spirituale, attraversare quelle pareti. Per costoro la prigionia non significa piú nulla, perché essi hanno comunque la libertà dello Spirito» (op.cit.)
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