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Dei, razze umane ed evoluzionismo

Ultimo Aggiornamento: 29/08/2012 11:33
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29/08/2012 11:31
 
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PARTE 2

UN CORAGGIOSO TENTATIVO DI RIFORMA
La risposta è in:

2° Re 18, 1/8. [1] Nell'anno terzo di Osea figlio di Ela, re di Israele, divenne re Ezechia
figlio di Acaz, re di Giuda. [2] Quando egli divenne re, aveva venticinque anni; regnò
ventinove anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abi, figlia di Zaccaria. [3]
Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, secondo quanto aveva fatto Davide suo
antenato. [4] Egli eliminò le alture e frantumò le stele, abbatté il palo sacro e fece a
pezzi il serpente di bronzo, eretto da Mosè; difatti fino a quel tempo gli Israeliti gli
bruciavano incenso e lo chiamavano Necustan. [5] Egli confidò nel Signore, Dio di
Israele. Fra tutti i re di Giuda nessuno fu simile a lui, né fra i suoi successori né fra i
suoi predecessori. [6] Attaccato al Signore, non se ne allontanò; osservò i decreti che il
Signore aveva dati a Mosè. [7] Il Signore fu con Ezechia e questi riuscì in tutte le
iniziative. Egli si ribellò al re d'Assiria e non gli fu sottomesso. [8] Sconfisse i Filistei fino
a Gaza e ai suoi confini, dal più piccolo villaggio fino alle fortezze.

In riferimento a tale brano è letteralmente illuminante la nota D), pag. 689 della Bibbia-
TOB:

Gli Israeliti vedevano in questo oggetto, in forma di serpente (in ebraico nahas), il
serpente eretto da Mosè e lo adoravano.

Se tali avvenimenti si fossero riferiti ad uno qualsiasi dei tanti popoli di quell'area del
vicino o medio oriente qualsiasi studioso avrebbe parlato di riforma religiosa, con
passaggio dal politeismo al monoteismo; ma in questo caso no!
Ma certo, lo sanno pure le pietre che l'ebraismo ed il (succedaneo) cristianesimo sono
monoteisti da sempre; che discorsi del piffero, direbbe il catechizzatore.
Ma analizziamo il suddetto brano e quindi scopriamo che, fino al regno di Ezechia (re
di Giuda dal 716 al 687 a. C.), gli ebrei hanno avuto:

1) santuari naturali, cioè le alture, classici luoghi di culto sciamanico-animisti, (ma non
vi ricorda qualcosa in riferimento al Monte Graham nel mio penultimo articolo?).

2) stele liriche probabilmente votive, cioè come i Maya, gli Aztechi, ecc.
14

3) Soprattutto palo-totem con serpente, che ha persino un nome proprio (Necustan),
nato dalla contrazione di nahas, cioè serpente, con shatan, cioè satana, che significa
avversario, nemico.

Abbiamo quindi sua maestà il Serpente Satana, (cfr. l'articolo del prof. Malanga Il Dio
Serpente) che si trova al di fuori del Santissimo (il luogo più interdetto di tutto il tempio
di Salomone, ove è conservata l'arca dell'alleanza) e niente di meno gli bruciano
incenso, cioè lo adorano (come è costretto ad ammettere il commentatore della Bibbia-
TOB). Ovverosia, i presunti monoteisti si sono tenuti per circa 6 secoli (a parte tutta
una pletora di luoghi di culto sacrileghi) una statua serpentiforme a portata di tutti,
proprio sul suolo più santo dell'intera Terra promessa (stando a molti autorevoli
commentatori della Bibbia, il tempio di Salomone fu eretto nel luogo dove Abramo
sacrificò l'ariete al posto del proprio figlio Isacco).
Amici miei, tale faccenda è di una portata enorme: dato che nel Santissimo solo il
sommo sacerdote poteva entrare una volta all'anno, vuol dire che il popolo ebraico
aveva familiarità indiscutibilmente solo con Necustan e quindi era dedito al culto del
Serpente!
Questa è la realtà che emerge da un rigoroso studio esegetico della Bibbia, piaccia o
no. Inoltre, a riprova di quanto Necustan sia importante nell'ambito della nostra
tradizione giudaico-cristiana, voglio segnalare che, nella basilica di sant'Ambrogio, a
Milano (la più antica dopo quella di san Nazaro in Brolo), c'è una statua (di epoca
rinascimentale, in bronzo) che raffigura proprio il suddetto. è sotto la navata di sinistra.

E ADESSO PARLIAMO DI ANGELI
I messaggeri della corte divina
II sostantivo ebraico per angelo è mal'ak (cioè messaggero, identico, quindi, al
significato del sostantivo greco anghelos) ed appare per la prima volta in Genesi 16, 7
(in occasione della fuga di Agar nel deserto insieme al figlioletto Ismaele, vero
primogenito di Abramo) che fa parte di un capitolo schiettamente iahvista, cioè della
tradizione più antica.
Ci viene insegnato da sempre che pure essi, come Yahvè, sono di puro spirito
(nonostante prendano sovente l'aspetto di uomini notevoli).
Daniele 10, 1/9 ce ne dà una pregnante visione:

[1] L'anno terzo di Ciro re dei Persiani, fu rivelata una parola a Daniele, chiamato
Baltazzàr. Vera è la parola e la lotta è grande. Egli comprese la parola e gli fu dato
d'intendere la visione. [2] In quel tempo io, Daniele, feci penitenza per tre settimane, [3]
non mangiai cibo prelibato, non mi entrò in bocca né carne né vino e non mi unsi
d'unguento finché non furono compiute tre settimane. [4] Il giorno ventiquattro del
primo mese, mentre stavo sulla sponda del gran fiume, cioè il Tigri, [5] alzai gli occhi e
guardai ed ecco un uomo vestito di lino, con ai fianchi una cintura d'oro di Ufàz; [6] il
suo corpo somigliava a topazio, la sua faccia aveva l'aspetto della folgore, i suoi occhi
erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e le gambe somigliavano a bronzo lucente
e il suono delle sue parole pareva il clamore di una moltitudine. [7] Soltanto io, Daniele,
vidi la visione, mentre gli uomini che erano con me non la videro, ma un gran terrore si
impadronì di loro e fuggirono a nascondersi. [8] Io rimasi solo a contemplare quella
grande visione, mentre mi sentivo senza forze; il mio colorito si fece smorto e mi
vennero meno le forze.

In questo brano della tradizione sacerdotale, più che di un puro spirito, che al massimo
dovrebbe avere i contorni sfocati di un alone di luce (come spesso viene raffigurato
nella filmografia di ispirazione cristiana) oppure non apparire per niente, abbiamo la
manifestazione di un essere antropomorfo, sulla cui pelle avvengono scariche
elettromagnetiche. Ma in Daniele 10, 13 c’è anche un episodio che mostra la
conflittualità esistente nei cieli:

Ma il principe del regno di Persia mi si è opposto per ventun giorni: però Michele, uno
dei primi principi, mi è venuto in aiuto e io l'ho lasciato là presso il principe del re di
Persia.

Qui compare per la prima volta l'angelo Michele (Pari a un dio, oppure Simile a dio; la
traduzione, di ambito cristiano, in Chi è simile a dio? è ridicola), definito come il
principe di Israele, che poi diventerà, nella tradizione cattolica, il primo degli arcangeli
(letteralmente: primi angeli), insieme a Gabriele (Forza di dio) e Raffaele (Cura di dio);
anche se Tobia 12, 15 fa riferimento ad un totale di sette, solo questi vengono
esplicitamente citati. Ma di inquietante c'è ben altro: mi riferisco ai serafini ed ai
cherubini.
Andiamo all'origine:

Isaia 6, 1/3. [1] Nell'anno in cui mori il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto
ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. [2] Attorno a lui stavano dei
serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e
con due volava. [3] Proclamavano l'uno all'altro: «Santo, santo, santo è il Signore degli
eserciti. Tutta la Terra è piena della sua gloria».

e quindi la nota F) in riferimento a tale brano, pag. 731:

II termine significa bruciante, designa in origine un temibile serpente del deserto (Num
21, 6/8; Dt 8, 15) raffigurato con ali (Is 14, 29; 30, 6) e la cui effige di bronzo era
venerata nel tempio di Gerusalemme fino ad Ezechia (2° Re 18, 4). Serve qui a
descrivere degli esseri ibridi (serpenti alati dal volto e dalle mani d'uomo, che si
possono immaginare con l'aiuto di alcune note raffigurazioni dell'iconografia orientale
antica) i quali sono al servizio di Dio e devono persino coprirsi la faccia davanti a lui.
Il loro aspetto bruciante ne fa forse dei simboli del lampo quando la manifestazione di
Dio somiglia ad un uragano, come nei caso presente, stando al verso 4.

E poi ci vogliono propinare la bubbola della fede in esseri spirituali! Prima
dell’Ellenizzazione a causa della conquista di Alessandro Magno (nel 332 a. C.), gli
israeliti si rapportavano ad esseri intelligenti non terrestri ben definiti e materialissimi;
tra questi alcuni avevano conclamate fattezze umane, ma distorte in grande (cioè
esseri simili a noi ma sovrumani); altri, invece, erano letteralmente serpentiformi!
Ad essi l'amanuense dà il nome di Serafini (Seraphim), dal verbo Seraf, che significa
bruciare, ardere: abbiamo quindi i Brucianti (come furono brucianti i serpenti mandati
da Yahvè contro il suo popolo quasi morente per la fame e le guerre, strana
coincidenza).
Il fatto che, giustamente, il commentatore della Bibbia-TOB li descriva, riferendosi
all'origine della tradizione, quali esseri ibridi, dimostra che tali esseri avevano una
struttura scheletrica vicina alla nostra, con due braccia e due gambe, tanto per capirci,
ma con la pelle da rettile!
Inoltre abbiamo visto, nel capitolo 32° dell’Esodo, che Aronne, fratello di Mosè, decide
di dare una forma ben precisa all’idolo reclamato con forza dagli Israeliti, disorientati
dal fatto che Mosè mancava dall'accampamento da ben 40 giorni (egli era sulla cima
del Sinai per scrivere le tavole della legge sotto dettatura di Dio stesso). Tra migliaia di
altre possibilità, viene scelta proprio l'immagine di un vitello, che in questo ambito deve
essere inteso come giovane toro. Se la vita del vitello d'oro è brevissima, non lo è
quella dei cherubini, i quali, però, sono strettamente correlati a quel feticcio. In ambito
cattolico, per cherubino si intende ciascuno di quegli angeli presenti nella seconda
gerarchia (mentre i serafini, vedi sopra, essendo quelli più vicini a Dio, sono nella
prima gerarchia). Pertanto, pure i cherubini ci vengono descritti come bei giovani
dall'aspetto efebico e come tali sono universalmente raffigurati sul Propiziatorio, che è
il coperchio dell'arca dell'alleanza.
Niente di più falso!
II termine cherubino deriva dall'assiro karub (che è, a sua volta, di origine sumera) e
significa essere possente (o potente) ed è raffigurato nella forma di un toro alato con la
testa umana. A parte che in tutto il mondo (e da sempre) il toro è il classico simbolo
della prorompente fisicità, nell'antica Terra di Sumer gli dei erano sempre raffigurati
con le corna. Quindi Yahvè dà le precisissime istruzioni per la costruzione dell’arca
facendo un chiaro riferimento a quelle divinità. Successivamente Salomone porrà a
guardia del grande tempio di Gerusalemme proprio due enormi cherubini lignei
ricoperti d'oro. Premettendo che i Sumeri sono stati i primi a mappare il cielo ed a
disegnare le costellazioni (in questo caso i Greci non fecero altro che continuare in una
tradizione ben tracciata), mi nascono due domande:

1) La costellazione del Drago ha preso tale nome perché ci furono degli esseri
serpentiformi (chiamati poi serafini) che sbarcarono sulla Terra provenendo da quelle
coordinate celesti? Sottolineo che 3000 anni prima di Cristo, periodo in cui nacque la
civiltà sumerica, la stella polare (cioè la stella allineata all'asse terrestre nel cielo
boreale) era proprio l'Alfa del Drago.

2) I cherubini sono forse correlati alla costellazione del toro? Utilizzando la griglia
interpretativa fornita dai lavori del prof. Corrado Malanga, mi viene da rispondere
proprio di sì.

A questo punto debbo parlare di un elemento fortemente stridente nell'ambito
dell'umanità contemporanea ai fatti dell'Antico Testamento. La Bibbia non è un libro
precisissimo sulle misure quantitative, ma in riferimento al tabernacolo ed all'arca
dell'Alleanza è di una puntigliosità estrema. L'unità di misura è il cubito egizio: esso
indica la distanza tra la punta del gomito e la punta del dito medio, però ne esistono
due versioni, quello normale (di 45 centimetri) ed il cubito reale (di 52 centimetri), usato
in riferimento almeno ai due suddetti manufatti.
In base agli antichi testi egizi, quest'ultima misura è stata presa sull'avambraccio di un
faraone egizio (non è chiaro se bisogna riferirsi al semi-mitico Nemes, l'unificatore di
quel paese). Ordunque, dato che in un tappo di 170 centimetri quale io sono io il cubito
è di 44 cm, quant’era alto il faraone sul quale è stato preso il cubito reale? Almeno 2 m.
Pertanto Yahvè, nel vero significato della Bibbia, non è l'unico dio, ma il super-dio, in
mezzo ad una moltitudine di dei a volte alleati tra loro ed altre volte nemici, ma anche,
addirittura e pure spesso, in lotta con lo stesso gran capo.
Con l'avvento delle truppe greche penetra nella chiusa Palestina anche il pensiero
aristotelico e soprattutto platonico. Da quest’ultimo si propaga la filosofia del mondo
delle idee: le anime sono le idee incarnate nell'uomo.
Al di fuori di esso formano la spiritualità perfetta nell’ultramondo iperuranico.
Quindi il mondo ebraico subisce quel processo che, in antropologia culturale, si chiama
acculturazione, nel quale un popolo subisce l'influsso di un altro maggiormente
avanzato e ne assimila molti elementi, pur rimanendone (almeno ideologicamente, in
questa fattispecie) staccato.
In tale ambito avviene la trasfigurazione di quelli che noi chiamiamo tradizionalmente
angeli, che nella realtà sono i Nefilim, i Figli degli Dei, i Brucianti, i Possenti, esseri
extra-terrestri immanenti, a volte con sembianze da incubo, sempre dotati di mezzi a
noi ancora sconosciuti, che i compilatori del Talmud (vera base del mondo giudaico
post-biblico e quindi anche di quello attuale) tentano di riciclare privandoli del corpo
fino a farli diventare i soggetti della angelologia cabalistica.
Ecco l'origine del concetto di spiritualità che pervade perfino le opposte correnti
politico-religiose del tempo di Cristo.
L'esilio a Babilonia, sotto il giogo di Nabucodonosor, fu un reale ritorno alle origini: i
Giudei rientravano in Mesopotamia, dove affondava la loro radice etnica più
importante. Gli antesignani dei rabbini ritrovarono i nomi degli esseri appartenenti ai
Mal’ak ed ai Karub (Mal'akim e Karubim nella corretta declinazione plurale ebraica) e si
iniziò la redazione del Talmud babilonese e quella del Libro degli Splendori.
Un esempio esaustivo di come venga codificata, in ambito cattolico, la stravolta natura
di quei personaggi, si ha nel seguente brano.

Dalle Omelie sui vangeli di san Gregorio Magno, papa (Om. 34, 8-9; PL 76, 1250-
1251). è da sapere che il termine «angelo» denota l'ufficio, non la natura. Infatti quei
santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare
sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un
annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che
annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli.

II termine Italiano dio deriva dal latino deus, che trova il suo antecedente nell'antico
aggettivo che significa niente di più e niente di meno che luminoso (così come il
termine indostano devo, il quale deriva dal sanscrito senza alcuna modifica
sostanziale); esso risale all'antichissima radice sanscrita ed indoariana deu.
Ecco perché, nella Bibbia, i termini strategici sono Yahvè (dal Tetragramma YHWH.
che significa Colui che è), Adonai (cioè Signore, il sostantivo di gran lunga più usato)
ed Elohim (vedi sopra). Questi termini indicano la differenza rispetto alle altre divinità,
che per lo più, ma non sempre, rimangono indistinte.
Ecco perché il cristianesimo ha sempre aggiunto al vaghissimo termine Dio gli aggettivi
onnipotente, misericordioso, onnisciente, onnipresente, ecc., ecc. (non si è ritenuto
sufficiente scriverlo con la d maiuscola): nella Bibbia compaiono molti dei, ma uno solo
è il premier.

YAHVè, IL CAPO DI TUTTI GLI DEI
A riprova di quanto detto riporto alcuni esempi biblici:

Deuteronomio 10, 17. […] perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dei, il Signore dei
signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali […]

Il Salmo di Asaf 82. [1] Dio si alza nell'assemblea divina, giudica in mezzo agli dèi [...]
[6] Io stesso ho detto: ‘Voi siete dèi. E voi tutti siete figli dell'Altissimo.

A rafforzare quanto detto qui sopra abbiamo Gesù stesso che rimbecca i farisei:

Giovanni 10, 34/36. Rispose loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: ‘Io ho
detto: voi siete dei?’ [35] Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la
parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), [36] a colui che il Padre ha
consacrato e mandato nel mondo, voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: ‘Sono
Figlio di Dio?’»

Insomma, Gesù vuole affermare che, come non c’è scandalo nel prendere atto che Dio
padre si rivolge ad un'assemblea di dei a lui sottoposti, così non ci può essere a causa
della sua affermazione di essere figlio di Dio: ambedue le proposizioni sono veritiere!
Altri esempi si trovano in:

Salmo 97, 7-9. Siano confusi tutti gli adoratori di statue e chi si gloria dei propri idoli. Si
prostrino a lui tutti gli dei! […] Perché tu sei, Signore, l'Altissimo su tutta la Terra, tu sei
eccelso sopra tutti gli dei.

Salmo 136, 2/3. Lodate il Dio degli dei: perché eterna è la sua misericordia. Lodate il
Signore dei signori: perché eterna è la sua misericordia.
In riferimento a questo Salmo, Origene, padre della chiesa, scrisse questo commento
definitivo:

Notate l'intendimento di "dèi". Dio, da parte sua, è il Vero Dio (l'Autotheos, il Dio da se
stesso); e così il Salvatore dice, nella sua preghiera al padre: "Possano essi conoscere
Te, il solo vero Dio." Ma tutto ciò che è oltre il vero Dio viene reso tale in
partecipazione con la sua divinità, e non deve essere semplicemente chiamato Dio
(che in questo caso è riferito a Yahvè - nda), ma piuttosto un Dio (uno degli esseri della
corte divina - nda). Cosi il primogenito di tutta la creazione, che è il primo ad essere
con Dio, attirando su di Sé la divinità, è una creatura di più elevato rango degli altri dèi
oltre lui, dei quali Dio è il Dio (cioè il capo - nda), come è scritto: "L'Iddio degli dèi, il
Signore [YHWH], ha parlato e ha chiamato la terra."
Fu grazie agli uffici del primogenito che essi divennero dèi, poiché essi attinsero da Dio
in generosa misura, cosi da poter esser resi dèi, ed Egli comunicò con loro secondo la
sua bontà. II vero Dio, quindi, è "Il Dio" e coloro che vengono formati dopo di Lui sono
dèi, ovvero immagini, di Lui, il prototipo.
Origene, Commento a Giovanni, in I Padri Ante-Nicea 10, Libro 2, p. 323.

Ebbene, qui un padre della chiesa parla in modo assolutamente esplicito dell'esistenza
di dei subordinati al padre ed al figlio.

Giobbe 2, 1. Quando un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, anche
Satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore.

Giobbe 38, 7. [...] mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di
Dio.

Inoltre Genesi 18 è un capitolo molto famoso e di un'evidenza lampante: in esso tre
individui si presentano ad Abramo, che si butta immediatamente a terra, chiaro
riconoscimento della loro divinità. Egli addirittura dice alla moglie Sarai di preparare
delle focacce da offrire ai viandanti. Quindi, uno di costoro si trattiene per annunziare la
prossima gravidanza di Sarai, mentre gli altri due proseguono verso Gomorra e
Sodoma, dando luogo ai drammatici fatti narrati in Genesi 19. In quest'ultima città i due
sono fatti oggetto delle brame omosessuali dei sodomiti, nonostante l'accorata difesa
da parte di Lot, che offre al loro posto le due sue figlie ancora vergini.
La reazione dei due (che in tale capitolo, si noti bene, vengono chiamati sia angeli che
uomini in distinti versetti!) è definitiva: città ed abitanti vengono eliminati dalla faccia
della Terra.
A chiunque mi spieghi come si possa dare da mangiare ed arrecare violenza carnale a
puri spiriti io offro pizza con birra. Né mi si tiri in ballo la pezza. buona per tutte le
occasioni. del magistero cattolico: lo scriba biblico sapeva bene quello che scriveva.
Non si peschino metafore dove non ce ne sono.
Ebbene, uno dei tre è Adonai in persona, proprio colui che annunzia la nascita di
Isacco alla sterile Sarai (come ammette anche il commento della TOB, nella nota e) a
pag. 70)! Ambedue i capitoli appartengono quasi integralmente alla tradizione iahvista,
tranne pochi versetti.
Anche il profeta Daniele appartiene al gruppo dei fortunati:

Daniele 7, 9/10. Io continuavo a guardare, quand'ecco furono collocati troni e un
vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo
erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come
fuoco ardente. Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e
diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti.

Sì, ci è stato ficcato nella testa che Yahvè è puro spirito, ma nella Bibbia si manifesta
in tanti modi strani (soprattutto quando vuole suscitare paura): colonna di fumo,
colonna di fuoco, roveto ardente, ma anche con comportamenti umani e soprattutto
con fattezze umane, ma sarebbe meglio definirle sovrumane.

QUANDO LA STORIA NASCOSTA… è DIFFICILE DA NASCONDERE
Anche il non meno famoso episodio della lotta di Giacobbe contro l'angelo (Genesi 32,
25/33) crea problemi di coscienza al traduttore di fede cristiana: riassumendo, a fronte
di una lotta che si protrae per tutta la notte sino all'aurora, un angelo dà un calcio al
femore di Giacobbe, ledendo per sempre il nervo sciatico. Che modo sleale ha di
lottare un tipo che dovrebbe essere, invece, un puro spirito!
è in questo episodio che compare per la prima volta il termine Israel, che viene dato a
Giacobbe dall'angelo come un'onorificenza per la sua valentia. Esso significa, a mio
avviso, Forte contro un dio (ed in questo caso non concordo affatto con la TOB, che
traduce Che Dio si mostri forte, mettendo ipocritamente, mi dispiace dirlo, il carro
avanti ai buoi), ove dio è da trovarsi, indubbiamente, nella sillaba el, che è di origine
aramaica, così come (alla fine del versetto 33°) nel termine Penuel (che significa
Faccia di dio). Ma Giacobbe continua a mettere nei guai chi vuole mantenere le cose
sul binario di una rigorosa traduzione cristiana: nel 32° capitolo, versetto 18, egli, di
fronte alla città di Paddan-Aram, erige e battezza un altare, chiamadolo El, il Dio di
Israele; cioè, a fronte di almeno due opzioni (Elohim ed Adonai), egli usa un termine di
un popolo nemico per indicare il suo dio! La cosa mette in fibrillazione il commentatore
TOB, il quale, non sapendo come cavarsela, scrive che El è la divinità suprema degli
Aramei e che, quindi, Giacobbe si appropria di quel nome per definire la propria divinità
suprema.
Ma come!? Giacobbe usa il nome di una divinità nemica per indicare Yahvè?!
Ma è rimbambito?! Dovrebbe sapere bene di commettere una bestemmia!
In precedenza, Genesi 31, 13, ci sono poche parole sibilline che pure creano parecchi
problemi, in quanto ci sono due possibilità di traduzione:
Io sono II Dio Betel
Oppure
lo sono il Dio di Betel.
A parte il solito guaio dell'assenza del termine Yahvè, ambedue le traduzioni sono
pericolose, in quanto Betel era una divinità pagana della Fenicia ed addirittura di
Elefantina, nell'antico Egitto (l’attuale Assuan), mentre la seconda opzione è davvero
più inquietante e compromettente, dato che la parola composita Betel, una volta
assimilata nella lingua ebraica, significa casa di dio.
Dunque, un'entità che si presenta come dio della casa di dio, o, meglio ancora, dio
della casa degli dei, può essere intesa prima di tutto come una divinità che custodisce
un luogo di transito per il cielo (nel pensiero alchemico, tale entità aveva le sembianze
di un drago).
Betel ha, qui, un significato molto simile a quello di Babel (cioè Babele) ed, in
riferimento a quest'ultimo termine, che di nuovo incorpora el, pure il commentatore
della Bibbia-TOB (nota f a Genesi 11, 9, pag. 61) si fa scappare la compromettente
ammissione che significa Porta degli dei, concordando l’aramaico el (dio) al plurale.
Tale è la scientifica traduzione di quella parola, senza tentare il minimo ipocrita
riferimento a Yahvè!
Ed allora ha ragione Sitchin, quando parla di quella città definendola un astroporto dei
Nefilim!
No, Giacobbe non era un rimbambito ed il termine el non si riferisce ad un unico dio
supremo, ma è un sostantivo che sta per divinità in senso generico.
II nome proprio lo troviamo in Giosuè, Mattatia, Giosia, Gesù, Isaia, Sedechia,
Malachia e nello stesso Giacobbe (solo per fare qualche esempio); tali nomi
contengono tutti, nella loro grafia originale, la forma contratta monosillabica Yah di
Yahvè.
Nomi quali Samuele, Gioele, Daniele, Nataniele (per esempio) recano, al loro interno, il
senso generico della divinità: el.
Un'altra prova è l'esclamazione alleluyah: questa sì che significa, letteralmente, Lode a
Yahvè.
Per chiudere, il nome di persona Elia è composto da ambedue i termini, ove el sta per
l'aggettivo qualificativo posto innanzi al nome proprio Yah.
Quell’episodio, iahvista con una manina elohista, ci dice che Giacobbe lottò non contro
un semplice uomo, ma contro un dio, cioè uno dei Vigilanti del Pentateuco Enochiano,
il quale si limitò a saggiare il valore del nuovo condottiero senza infierire ulteriormente,
mentre l'insieme della vicenda di Giacobbe ci mostra una pluralità di esseri non
terrestri.
è vero che, in Esodo 33, 18, Mosè chiede: “Mostrami la tua Gloria” e Dio risponde (nei
successivi 19-23) che non può mostrargli il volto, altrimenti Mosè ne morirebbe, ma
farà in modo che egli possa vedere... le sue spalle.
Questi versi sono stati chiaramente rimaneggiati dalla tradizione elohista per
edulcorare l'importanza dell'evento: eh no, la sua faccia non si può vedere, ma la
schiena sì (magari il fondoschiena, grande miglioramento!).
Eppure, Esodo 24, 9/11 un brano superstite della tradizione iahvista (la più antica) ci
dice:

[9] Poi Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele. [10] Essi
videro il Dio d'Israele: sotto i suo i piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro,
simile in purezza al cielo stesso. [11] Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la
mano: essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero.

Stavolta l'onnipotente si fa vedere (e sembra proprio in modo integrale) non solo dal
suo profeta, ma anche dai settanta anziani, e lo scriba biblico sottolinea che tutti
rimasero vivi. Altrettanto vero è che, in Isaia 44, 6; Isaia 45, 5-14-21; Isaia 46, 9 ed in
2Cronache 13, 9, il Signore afferma di essere l'unico dio e che non ci sono altri dei,
ma a fronte di quanto sopra esposto, tali ultime dichiarazioni si debbono intendere nel
senso che esclusivamente a lui deve essere riservata l'adorazione, in quanto egli è
unico ed impareggiabile nel suo primato: afferma di essere il solo creatore di tutto e di
tutti!
Tra l'altro uno dei suoi vanti è di essere al di sopra di qualsiasi raffigurazione: eh sì, il
nostro è un dio che ama vantarsi molto.
Mi ricorda tanto il grande Cassius Clay dei tempi d'oro: pure quello picchiava sodo.
Ma neanche nell'ambito della esclusività del culto tutto fila liscio, visto che Paolo mette
in guardia i Colossesi da ciò che chiama "la religione degli angeli" (Epistola ai
Colossesi 2, 18). Queste religione derivava dall'errore, secondo l'ottica dell'ultimo
apostolo, che consisteva nel voler porre gli angeli sullo stesso piano di Cristo.
Soprattutto nei primi due capitoli dell'Epistola agli Ebrei egli è preoccupatissimo di
separare la figura (e la dignità) di Gesù dagli altri esseri del mondo non terrestre.
Eh no, amici miei, nemmeno Paolo riesce nello scopo di descrivere gli angeli come
entità soffuse.
Nella Bibbia ci sono testimonianze di violazione dell'adorazione che doveva esser
riservata a Dio: l'angelo dell'Apocalisse rifiuta di ricevere la sottomissione di Giovanni
(Apocalisse 22, 9) ed anche l'angelo a cui Manoah aveva offerto i sacrificio un
capretto ribatte di offrirlo in olocausto al Signore (Giudici 13, 15-16).
Eppure sono molti gli onori che vengono resi agli angeli, in quanto membri della
gerarchia celeste, e le preghiere loro indirizzate non sono esempi di poco conto:
Giacobbe prega l'angelo che l'ha protetto (Genesi 48, 16; Osea 12, 4). Mosè (Esodo
3, 5) e Giosuè (Giosuè 5, 13-14) si tolgono le loro calzature per rispetto dell'angelo del
Signore e l'Apocalisse ci presenta gli angeli che offrono a Dio le preghiere dei santi (Ap
5, 8).
Ebbene, Paolo, il fondatore del cristianesimo, aveva tutti i motivi di essere
preoccupato, tanto più che Giovanni, Apocalisse 12, 7/10, rende testimonianza di
come la vita, lassù, non fosse tanto semplice:

[7] Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il
drago. II drago combatteva insieme con i suoi angeli, [8] ma non prevalsero e non ci fu
più posto per essi in cielo. [9] Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il
diavolo o satana e che seduce tutta la Terra, fu precipitato sulla Terra e con lui furono
precipitati anche i suoi angeli.

Su tale argomento bellico mi soffermerò in seguito, quando parlerò delle guerre tra gli
dei. Per adesso voglio far notare come l'elemento rettiliano rispunti anche in epoca
successiva a Cristo, ma voglio anche focalizzare l'attenzione su di un elemento: nella
nota o), a pag. 2888 della Bibbia-TOB, si legge, in riferimento alla traduzione de il
serpente antico quanto segue:

"Il serpente originale tradurrebbe meglio la sfumatura del testo greco, ma questa
espressione potrebbe essere compresa nel senso di un dualismo essenziale, che non
è biblico."

Vedete ancora ed ancora ciò che io intendo per storia nascosta, che si cerca di tacere,
o almeno di far passare in modo sommesso, ma che comunque, ed in più che in una
occasione, scappa, non volendo, come succede qui di nuovo al commentatore TOB.
Ecco un altro caso di falsa traduzione che, però, è opportuna, perché altrimenti si
darebbe l'impressione che il serpentone sia in piazza fin dall'origine dei tempi e quindi
(Per carità! Che orrore!) comparirebbe come avversario paritario del gran capo.
Vedete come il commentatore, che riesce anche ad essere traduttore ed esegeta
rigoroso, si trovi poi nei casini quando il suo lavoro lo porta a sbattere contro realtà che
sembrano i classici scheletri nell'armadio? Non riesce a tenere tutta l'acqua in bocca e
parte gliene cola giù dalle labbra serrate per l'imbarazzo! Inoltre, appare per ben due
volte la parola drago; ebbene sì, qui si vuole dare, senza mezzi termini, l'informazione
della presenza di un essere serpentiforme sì, ma dotato di arti ed in grado di incedere
anche in posizione eretta!
Ah, una precisazione veramente necessaria: se a qualcuno di voi lettori capiterà di
trovarsi in baruffa (a causa di questo mio scritto) con un prete, è possibile che
quest'ultimo (purché abbia un minimo di cultura biblica, cosa assai rara nel clero
attuale) controbatta le mie affermazioni citando l’episodio dell'angelo che, a casa di
Tobia, fa finta di mangiare del cibo convenzionale, per non arrecare soggezione nel
padrone di casa, dato che, in qualità di puro spirito, non ne ha bisogno (Tobia 12, 19).
Esorto l'amico lettore a rispondere “Palle!”: ebbene, l'autore scrive questo libro tra il
190 ed il 200 a. C. e cerca di dare dettagli in modo di collocarlo addirittura tra il VII e
l'VIII secolo a. C.
Insomma, è un manipolatore della tradizione sacerdotale, che ormai ha subito l'influsso
filosofico di quel colosso del pensiero umano che è Platone. Quindi l'intermediario tra il
mondo spirituale perfetto (per Platone è il mondo delle idee, posto in una dimensione
celeste che si chiama Iperurano; per lo scriba biblico è Yahvè) deve per forza essere, a
sua volta, un’entità puramente spirituale.

CONCLUSIONE DI QUESTA "INDAGINE"
Interpretando i fatti suddetti nell'ottica di una ricerca sull'intervento degli extraterrestri,
questo antico testo mostra un leader, auto-presentatosi come Yahvè, che conduce un
foltissimo gruppo di titanici extraterrestri di tipo antropomorfo. Tale razza aliena si
oppone ai Seraphim, un'altra stirpe, però molto dissimile: questi ultimi hanno la
struttura di un rettile dotato di arti e forse provengono dalla costellazione del Drago.
A causa della volontà di esclusivo dominio sull'uomo, tale confronto (che può avere
avuto anche una fase di cooperazione nell'ambito della manipolazione genetica
sull'essere umano) sfocia in una guerra e porta ad una scissione nel gruppo di Yahvè:
il Mal’ak Satana (Semeyaza, nel Pentateuco Bacchiano. Il suo vero nome è tagliato via
nella Bibbia), insieme a molti seguaci, lascia il proprio capo e si allea con i sauri. Infatti,
nella Bibbia Satana è un angelo che fa parte, a pieno titolo, della corte celeste, come
dimostra la storia narrata in Giobbe. Solo col passare del tempo egli viene identificato
col serpente tentatore, e cioè, nella mia interpretazione, proprio dopo il passaggio alla
opposta fazione.
All'inizio, più in disparte, c'è un altro gruppo che si allea con Yahvè nel momento in cui
egli entra in conflitto con i sauri: mi riferisco ai Karub (forse provenienti dalla
costellazione del Toro?), più simili ai Mal'ak. L’episodio del vitello d'oro può essere
interpretato come un tentativo fallito, da parte dei Karub, di imporsi autonomamente
sull'essere umano, mentre sul Propiziatorio (il coperchio dell'arca dell'alleanza)
vengono raffigurati col capo chino, palese segno di sottomissione. Inoltre, dopo la
cacciata di Adamo ed Eva, essi forniscono le truppe che occupano militarmente Eden
(cioè i cherubini con le spade fiammeggianti - Genesi 3, 24).
La maledizione (presente nella redazione iahvista) di Yahvè contro il serpente
tentatore nel paradiso terrestre rappresenta il momento dello scoppio del conflitto.
Ma nelle righe tracciate dai vari autori sedimenta anche un altro avvenimento: ad un
certo punto la guerra, che ha il suo momento più eclatante e decisivo nel Diluvio
universale, porta ad una situazione che sembra avere, come vincitore apparente,
Yahvè.
Prima di questo sconvolgimento catastrofico varie stirpi extraterrestri scendono per
vivere sulla Terra con gli esseri umani, ridotti ad una condizione servile: è il periodo dei
Nefilim.
Le antiche tavolette mesopotamiche, sino a quelle dei Sumeri, dimostrano la presenza
sulla Terra degli dei umanoidi recanti le corna, ma statuette fittili testimoniano
l'esistenza, altrettanto remota, dei sauri bipedi.
Con la fine della guerra si arriva ad una tregua tra Yahvè e Satana: la costruzione del
serpente di rame, l'adorazione di Necustan e la metafora dei serafini (appunto i sauri
bipedi) quali angeli della prima gerarchia celeste testimoniano una collaborazione per il
dominio congiunto sull'essere umano.
La Bibbia fa intravedere almeno due pesantissimi interventi invasivi su di un essere
primitivo:

1) Per Sitchin nella favola della manipolazione del fango vi è il tentativo di spiegare una
manipolazione genetica, allo scopo di creare la nuova specie Homo Sapiens (è il
periodo della poligenesi, coeva alla mitica coppia Adamo-Eva).
2) Un altro intervento è contemporaneo od immediatamente successivo al Diluvio
(rappresentato dalla storia di Noè, ma grandemente taciuta e manomessa dai
compilatori biblici ufficiali).

Almeno una piccola parte dell'umanità futura sarebbe stata formata da discendenti di
un'ibridazione tra Nefilim ed esseri umani. Nella tradizione cristiana Satana ed il
rettiliano vengono identificati in un solo personaggio nefasto, eppure lo stesso Gesù fa
degli strani riferimenti:

Giovanni 3, 14. Così come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell'Uomo.

Soprattutto in:

Matteo 10, 16. Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque prudenti
come i serpenti e semplici come le colombe.

In riferimento al primo verso il catechista cattolico cerca di cavarsela asserendo che
Gesù stabilisce un parallelo tra sé stesso ed il totem serpentiforme in quanto Mosè
(vorrei pure sapere se inconsciamente oppure no) fa una sorta di profezia,
prefigurando proprio il Cristo martire innalzato sulla croce.
Al che io rispondo:

“Scelta pessima: Mosè avrebbe fatto molto meglio a prendere come buon esempio un
giovane ariete (cioè il classico Agnello di Dio), dato che tale animale è assurto agli
onori della cronaca con Abramo stesso.”

Inoltre, in riferimento al secondo verso, lo stesso Gesù aveva un ampio bestiario al
quale attingere per trovare un compagno più idoneo alla colomba (istintivamente mi
viene da pensare che il serpente mangia le colombe).
Insomma, perché questa ossessione del serpente?
Adesso viviamo sotto l'egida della tregua in cagnesco tra gli antichi dei: le loro guerre
sono diventate le nostre.

UNA GRANDE MISTIFICAZIONE: IL POPOLAMENTO DELLE AMERICHE
ATTRAVERSO LO STRETTO DI BERING
Introduzione
Uno dei dogmi della scienza ortodossa è l’affermazione che il popolamento del Nuovo
Mondo avvenne in epoca glaciale attraverso lo stretto di Bering.
è tale la valenza di ovvietà di tale affermazione che essa non ha un autore al quale si
possa ascriverne la paternità: essa sembra nata dalla oggettività delle cose, dalla
ineluttabilità dei dati di fatto.
è semplice (secondo tale ottica): gli Amerindi sono indiscutibilmente di ceppo asiatico
e pertanto le popolazioni asiatiche loro antenate possono essere andate in America
solo passando sui ghiacci che univano, o quasi, i continenti, come una sorta di
immenso ponte di Brooklyn, durante l’ultima glaciazione.
Io non concordo assolutamente con questa millantata pacifica validità: tale dogma è
dovuto al fatto che gli studiosi ortodossi ed ufficiali non hanno, oppure non osano
trovare, una spiegazione che sia più plausibile rispetto all’immaginare l’immensa
calotta glaciale artica come una comoda pista di pattinaggio.
La realtà è che, tra i 40.000 ed i 10.000 anni a.C., cioè prima che finisse l’ultima era
glaciale, i due terzi del continente nordamericano erano un inferno bianco assai
peggiore di quello che trovarono, millenni dopo, le truppe di Napoleone e di Hitler nelle
steppe russe.
Affermare che i progenitori degli Amerindi arrivarono a tappe successive nell’attuale
Alaska migrando sopra, o attraverso, i ghiacci eterni è un’insensatezza necessitata dal
fatto che qualsiasi altra ipotesi porterebbe qualunque ricercatore a frantumare gli
schemi assodati della scienza ben pensante. Perfino uno studioso coraggioso (insigne
indologo prima di interessarsi delle civiltà precolombiane) come Angelo Morretta (che
citerò più volte nell’ambito di questo mio scritto) dà come ineffabilmente ovvia tale
pseudo-legge, arrivando ad affermare, pure lui, che fu la ricerca di cibo che spinse i
cacciatori-raccoglitori a questa drammatica scelta.
Infatti questo è il maggiore movente indicato dall’establishment scientifico e serio!
Purtroppo per quest’ultimo, il problema fondamentale è che non si può trovare cibo
dove non c’è: a quell’epoca nell’inferno bianco non potevano esistere esseri viventi (ad
esclusione di forme di vita microscopiche) né in forma vegetale né animale.
Inoltre, fare in modo di instillare nella mentalità comune l’immagine di una calotta di
epoca glaciale facile da transitare in epoca preistorica allo stesso modo di quanto
avviene in epoca contemporanea, in riferimento all’attuale circolo polare artico, è un
inganno surrettizio e subliminale bello e buono. Pertanto, sono convinto che tale
pensamento, nell’ambito della dotta comunità scientifica internazionale, sia più vicino
alla premeditazione conscia e programmata piuttosto che ad una bufala ascrivibile a
candore d’animo.

L'ULTIMO PERIODO GLACIALE: IL WURMIANO III
Un dogma forzato La teoria della grande migrazione attraverso lo stretto di Bering è
nient’altro che una deduzione imposta essenzialmente da tre fattori inoppugnabili:

1) Nei due continenti americani, sino ad oggi, non sono stati trovati reperti fossili umani
che si possano far risalire ad un qualsiasi periodo antecedente il Wurmiano III
(denominazione con la quale viene indicata la fase terminale dell’ultima era
glaciale).
2) I più antichi reperti umani trovati negli USA meridionali, nella Mesoamerica e nel
Sud America offrono una datazione coeva al Wurmiano III.
3) A ridosso della fine del Wurmiano III, l’essere umano non era assolutamente in
grado di costruire imbarcazione atte ad affrontare percorsi che non fossero brevi e
rigorosamente sotto costa.

Rectius, da questi dati di fatto gli studiosi ortodossi (che però non reputo in buona
fede) estraggono una serie di affermazioni, al fine di imbastire uno schema plausibile
per spiegare la scomoda presenza dell’homo sapiens in un habitat in cui non avrebbe
dovuto esserci.

UNA PASSERELLA DI SALVATAGGIO
Innanzitutto sostengono che, essendosi abbassato il livello del mare, a causa
dell’enorme immagazzinamento di acqua nei ghiacciai eterni, lo stretto di Bering, tra
Siberia ed Alaska, era asciutto: il fondale tra i due continenti avrebbe offerto una stretta
passerella per effettuare la migrazione.
Qui dobbiamo prenderci in giro da noi stessi per immaginare una comunità di excavernicoli
che arriva all’inizio della discesa verso il fondale asciutto (il quale
rasentava, almeno sul lato sinistro, cioè verso ovest, l’inizio della muraglia di ghiaccio
rappresentata dal pack glaciale) per dirigersi eroicamente verso il… Nulla Bianco.
Ma amici, Mosè, in paragone a costoro, non ha fatto niente di eccezionale quando ha
passato il Mar Rosso: eh sì, ai sensi della Bibbia quest’ultimo aveva dalla sua parte
niente di meno che Yahvè in persona, mentre quei poveracci tutt’al più avranno avuto
uno sciamano che saltellava come un ossesso! Inoltre, Mosè si dirigeva scientemente
verso la terra promessa, ma quei migranti verso cosa avrebbero dovuto spingersi, visto
che dall’attuale Alaska poteva spirare solo un tesissimo vento, quanto mai gelido?
Comunque, pur ammettendo, solo per celia, che ci fosse un itinerario sgombro dai
ghiacci, si sa molto bene che (in ogni epoca) in aderenza alle zone frigide esiste il
permafrost, cioè una brina quasi perenne che rende impossibile la crescita di alcun
pascolo (tanto per capirci: se non è zuppa è pan bagnato), quindi non avrebbero avuto
di fronte a sé niente che invitasse alla occupazione di nuovi territori di caccia. Inoltre, i
propugnatori di tale spiegazione omettono di far notare che il fondale dello stretto è
ricco di crepacci e creste rocciose, ostacoli quasi impossibili da superare per chiunque
a caccia di bisonti come Buffalo Bill.
Ma le forzature assurde non si fermano qui: il movente principale all’esodo è
identificato nell’inseguire la cacciagione e, più specificatamente, i grandi bisonti.
è davvero paradossale e grottesco: tutti i grandi film western ci hanno insegnato che i
Sioux aspettavano, d’estate, il ritorno dei bisonti nelle immense praterie, eppure i soliti
parrucconi vogliono imporci di credere che pure quei bestioni occuparono il Nuovo
Mondo, galoppando allegramente con i loro zoccoloni sullo sterile pack perenne.

ETOLOGIA
Davvero incomprensibile, visto che i loro attuali discendenti, quando arriva l’inverno,
abbandonano le grandi pianure centrali per recarsi in territori con nuovi pascoli (e non
si dirigono certo verso i ghiacciai). Perfino l’orso polare va in letargo (che consente al
suo metabolismo rallentato di vivere con le sole proprie riserve di grasso, a fronte della
mancanza di cibo nel mondo esterno invernale); pure le foche emigrano verso sud
(solo per fare qualche esempio), ma i bisonti, durante l’ultima glaciazione, erano
talmente speciali, indistruttibili e fessi da dirigersi verso un posto contro natura.
Eh no, i conti non tornano: evidentemente il popolamento animale del Nuovo Mondo
(ad esclusione dell’essere umano) è da collegare alla remotissima deriva dei continenti
e non a periodi successivi.
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