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Il codice dei creatori e l'ordine dei serpenti

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2012 19:31
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14/12/2012 19:31
 
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Fonte: www.acam.it/il-codice-dei-creatori-e-lordine-del-serpente/

Il simbolo più antico del mondo è il serpente, animale affascinante e misterioso che popola i nostri sogni. La sua storia ha origini molto remote come il culto, tramandato nei millenni da un gruppo ristretto di iniziati. Ogni popolo venerava il rettile con riti complessi, legati a un sapere ancestrale confluito poi nell’arte sacra e nei miti, sorta di multiformi capsule temporali. Un raffronto a livello cronologico e antropologico tra lontane civiltà penetra in parte il messaggio che lasciarono, evidenziando numerose somiglianze e ricostruendo la genealogia di un simbolo immortale.

La Vibrazione dalle Sette Teste

Gli Scritti sacri e ispirati della civiltà Mu, fiorita oltre 50.000 anni prima nell’Oceano Pacifico, erano tavolette di argilla effigiate dalla stirpe dei Nacaal, i Santi Fratelli. James Churchward, ufficiale britannico di stanza in India nel 1868, entrò in contatto con un Rishi del monastero di Brahmaputra, in Tibet, che gli mostrò le numerose iscrizioni e il giovane dedicò la sua vita a decifrarne i caratteri, visitando il mondo alla ricerca di conferme archeologiche che avvalorassero l’esistenza di Mu.

La Genesi dei Nacaal tramanda che la Potenza Autoesistente, il Serpente dalle Sette Teste, modulò sette ordini per creare i mondi. I gas plasmarono la Terra nello spazio, l’atmosfera e le acque, infine la luce solare dardeggiò nelle liquide profondità e il fango partorì le uova cosmiche. Il glifo corrispondente mostra, infatti, il disco del Sole percorso da un piccolo serpente piumato sinuoso, che secondo Cotterell ne Le Profezie di Tutankhamon esprime l’attività delle macchie undecennali nella regione dell’equatore solare. Interessante la sua affermazione in proposito: “…la leggenda del serpente piumato raccontava la storia di come il Sole influenza la vita sulla Terra. Il serpente piumato era il Sole”. Questa rappresentazione, una costante nel nostro studio, assurgerà a fulcro della vita presso i Maya.

Il regno dei Naga

Nei miti cosmogonici indiani ricompare inalterato il medesimo credo. Vishnu riposa sul serpente dalle sette teste Sesha (“Durata”) o Ananda (“Infinito”) mentre sogna la creazione dell’Universo, e in un gesto di consapevolezza sparge il suo seme nelle acque cosmiche, che si muta in un uovo d’oro “uguale per splendore al Sole”, germe di ogni creatura vivente. Il sanscrito bija, seme, ha dato origine al termine egizio bja, di identico significato, che richiama il ferro meteorico incarnato dalla Fenice che torna ciclicamente sulla Terra per inumare il padre dentro un uovo. Anche Sesha incarna lo scorrere delle epoche e un suo sbadiglio provoca un fuoco rigeneratore che si abbatte sulla Terra, i meteoriti, serpenti delle profondità siderali. Allo stesso modo di Takasaka, uno dei naga, che incendia col solo respiro. I naga erano divinità serpentiformi, re–cobra detentori della supremazia celeste, dimoranti a Nagaloka. Come i Maya e gli Egizi, il pantheon indù prevede nove deità, definite i “Nove Cobra di Brahma”. L’origine dei naga si perde nel tempo, dato che i più antichi poemi epici indiani quali il Ramayana li collocano in un’epoca risalente a 870.000 anni fa e il libro tibetano Le stanze di Dzyan parla di loro come “I serpenti, che ridiscesero, che fecero pace con la quinta razza, che l’ammaestrarono e l’istruirono”. Un rilievo in pietra di Orissa, del X sec. d.C., ritrae le divinità Naga e Nagini con lunghe code intrecciate sotto la vita, come più tardi avverrà per Iside e Osiride tra i Frigi, scolpiti in forma di cobra.

È ad Angkor Wat che la simbologia del rettile è magistralmente rappresentata da innumerevoli sculture di cobra che sormontano il disco solare ed esprimono, secondo Hancock, la costellazione del Dragone, adagiata come un cobra in atto di sfida. La corta piramide Phimeanakas puntava verso il Draco e al suo interno avveniva “l’unione” del sovrano con una donna–serpente, rito iniziatico di carattere astronomico. Particolare rilievo assume, infine, la Frullatura dell’Oceano di Latte, istoriata sui muri dei templi, ove il naga Vasuki, tirato alle estremità, incarna il tragitto solare nella precessione degli equinozi entro le vastità della Via Lattea e la nascita di un nuovo mondo.

La serpe della vita

Il rettile richiama altresì le forze latenti nell’uomo. Un sigillo in terracotta di 3.000 anni fa ritrae un personaggio assiso in posizione yogica, con due cobra ai lati e due fedeli in adorazione. La dottrina dello yoga, diffusa nel globo intero, descrive numerosi centri vitali del corpo, i chakra, piccole ruote che corrispondono a precisi organi interni connessi a importantissime funzioni. Adeguatamente attivati, producono una frequenza elettromagnetica che interagisce con i condotti vitali e l’energia kundalini alla base della colonna vertebrale. Questa preme all’interno e sale sotto forma di serpente elettrico sino alla ghiandola pineale, donando una sensazione di completezza nell’uomo. Il caduceo di Thot/Hermes, derivazione del bastone brahmanico, è avvolto dai serpenti, il flusso energetico spiraliforme, mentre la sommità sferica rappresenta il cervello con i ventricoli, due ali, segno di purezza spirituale. Il Buddha, nona incarnazione di Vishnu, divenne l’illuminato quando il re–cobra a sette teste Mucalinda gli porse riparo durante una tempesta, metafora di elevatezza nel caos della vita. Ancor oggi, i monaci tibetani utilizzano trombe ricurve decorate da serpenti attorcigliati per i loro riti. Il vecchio serpente La Persia nel 588 a.C. vide fiorire la predicazione del profeta Zarathustra, che espose la sua dottrina enucleandola dal più antico culto dei Magi.

A capo del pantheon divino stava Ahura Mazda, la luce, con il figlio Mithra e una schiera di entità splendenti, i daeva. Alcuni di essi disobbedirono all’ordine cosmico influenzati da Angra Maynu, il principio oscuro, definito come “il vecchio serpente con due piedi”. Anche le tribù degli yezidi in Kurdistan credono in Lasifarus, angelo splendente che formò il mondo dall’uovo cosmico e il sepolcro dello sceicco Adi, a Lalish, presenta sulle pareti glifi stellari attorno a un serpente nero, oggetto di culto profondo. Alcuni yezidi, poi, sono in grado di addomesticare i serpenti e immuni dal loro veleno, al pari degli incantatori indiani. Un legame tra le due culture parve trovarlo E. S. Drower, che nel 1940 esplorò una grotta yezida ornata da statue con copricapi conici nella posizione meditativa del Buddha.

Il popolo yaresan, affine per molti versi agli yezidi, è devoto al sultano Azhi Dahâka, re–serpente della schiera di daeva vicini ad Angra Maynu. Gli iraniani definivano i sovrani Medi mâr, serpente, e Astiage di Media (584–550 a.C.) aveva anche l’appellativo di Rshti-vegâ Azhi Dahâka. In persiano moderno azdahâ è ancora il rettile, segno di una sopravvivenza duratura degli antichi miti. Gli Armeni, dal canto loro, ricordano la “dinastia dei draghi (vishap) di Media” – come in Cina –, adorati presso antichi megaliti. La discendenza si propagò sino al valoroso re Tigrane il Grande, vissuto nel secondo secolo a.C., fondatore della metropoli Tigranavand in Kurdistan, centro di adorazione di un serpente antropomorfo. Il culto quasi ossessivo personifica, in realtà, l’attenzione per la parte ombra insita nell’uomo che lo voterà gradualmente alla luce, concetto personificato dalla triade indissolubile Angra Maynu, Ahura Mazda e Mithra.

Le spire del Kosmokrator

Il dio Mithra compare nei Veda con il significato di “amico per mezzo del patto”, e invariato rimarrà in persiano antico. Le caratteristiche precipue dei misteri del dio emergono chiaramente dallo studio approfondito dei mitrei romani, in particolare quello delle Sette Sfere ad Ostia antica. Il rituale prevedeva sette gradi, strettamente legati ai pianeti ed espressi da simboli, che culminano in quello finale di Pater, rappresentato da Mithra stesso.

Il primo grado era sotto la tutela di Mercurio, effigiato con il caduceo in mano. Il secondo grado, invece, simboleggiato dal serpente – legato a Venere – che ringiovanisce con la muta stagionale delle pelle. Il rettile domina la componente architettonica mithraica, ne costituisce anzi il fulcro. La scena più diffusa è il dio che taglia la gola al toro bianco stellare, scaturigine della vita, mentre al di sotto appaiono vari animali, tra cui il serpente che si nutre del seme del toro. Il serpente assume l’identità della maestosa costellazione dell’Hydra sulla volta celeste attraversata da Mithra in veste di governatore delle stelle. Il rettile da solo compare lateralmente in un altare nella chiesa di San Clemente a Roma, come la stele di arenaria rossa nel Kalasasáya dedicata a Viracocha. Spunta, poi, da un albero, come nel racconto della Genesi; se Mithra nasce dalla roccia, che in persiano significa anche cielo, l’animale la circonda maestoso.

La raffigurazione più potente del dio è incarnata dal Kosmokrator (potere creatore e reggitore del Cosmo), statua alata a grandezza naturale dal volto di leone, avviluppata dalle spire di un serpente che si erge sopra l’uovo primigenio. Il quarto grado dei misteri era riservato al Leone, personificazione di Angra Maynu, mentre il rettile descrive il percorso spiraliforme del Sole intorno alla Terra nel corso dell’anno. Infatti, se assegniamo il corrispondente valore numerico alle lettere del nome greco di Mithra, Mei’qraV, sommandole avremo 365.

L’acciecante guerra di Ra

Riferimenti specifici al superbo animale, in Egitto, troviamo nei primevi miti della creazione, densi di profonde simbologie. Nei Testi delle Piramidi il dio Ra dà vita a “Gli Inerti” nell’Oceano Primordiale “, serpenti cosmici relati forse alle orbite di pianeti ancor privi di movimento, formati da gasinerti. In altri racconti lo stesso dio, nel pieno del suo fulgore, plasma un “primo universo” popolato da individui che si alleano contro di lui quando in seguito diventa vecchio. Indignato, decide di sterminarli con l’aiuto del suo Occhio, poi, stanco e deluso il sommo dio sale in alto nel cielo e nasce l’attuale mondo. Per garantire la vita sulla Terra, Ra e la sua progenie solcano la volta splendente della Galassia sulla “Barca dei Milioni di Anni”, costantemente in lotta con l’antico serpente Apep. Rivalità espressa nei combattimenti tra Horus e Seth, quest’ultimo associato variamente alla dissoluzione in forma di serpente. I testi del tempio di Horus a Edfu ricordano, infatti, un grande serpente fiammeggiante che visitò la Terra in epoca remota.

La scena della battaglia solare è illustrata in molte pitture parietali all’interno di tombe e templi egizi, mentre la formula 332 dei Testi delle Piramidi, un corpus di sapere esoterico, recita: “Sono colui che è fuggito dal serpente attorcigliato, sono asceso in un’esplosione di fuoco dopo essermi girato all’intorno. I due cieli vengono a me”.

L’intero mito di Ra andrebbe forse ascritto al confuso ricordo di una catastrofe cosmica di una stella centrale della Galassia, che ha interessato diversi pianeti. Murry Hope nota con acume che il processo di contrazione (la dipartita di Ra) da una stella gialla a una nana bianca prevede una spettacolare espansione in una rossa supergigante e l’eiezione dell’involucro in una nebulosa planetaria. L’effetto è simile a un enorme serpente che racchiude l’astro, l’Apep, destino che toccherà in sorte ai corpi celesti dopo svariati milioni di anni.

Rivivere tra le stelle

La stele del re serpente, della tomba di re Djet ad Abydos (3.100 a.C.), ricorda la suprema identificazione dell’uomo con il rettile. Gli Egizi descrivevano l’Universo come un serpente “Ouroboros” che si morde la coda, con scaglie simboleggianti gli innumerevoli astri. Il rettile era anche segno di rinascita, prezioso alleato che conduce alla comprensione di sé, come mostrano affreschi del Libro di ciò che è nel Duat, effigiati nelle tombe della Valle dei Re. Il Duat era un regione celeste che abbracciava Orione, il Leone e l’Orsa Maggiore, dimora imperitura cui aspiravano i monarchi egizi al termine della loro vita.

Le complesse cerimonie descritte sulle pareti riecheggiano l’antica lotta del Sole per risorgere di nuovo all’orizzonte nelle acque della vita e l’ascesa dell’anima verso i lontani pianeti. Il simbolico viaggio, di dodici ore, comincia nell’equinozio primaverile quando il cielo muta configurazione, con l’iniziato che prende posto nel medesimo vascello solare accompagnato dalle divinità. Interessante la I Ora che descrive l’invocazione a Ra: “…i serpenti cantano e ti esaltano. I divini serpenti illuminano le tenebre per te. Le tue due ‘figlie-serpenti’ ti trainano nella tua forma…Le dee serpenti dell’Uranos ti acclamano, le dee serpenti ti rendono lodi…”. Incontro al gruppo si para il Sigillatore della Terra, in veste di guida, che impugna una sorta di caduceo. Interessante, poi, il parallelo tra le serpi lucenti e i dispositivi dal complesso significato della cripta di Dendera. Il viaggio prosegue in regni sconosciuti, pieni di oscuri anfratti, dominati da serpi alate davanti alla croce della vita ankh e a stelle particolari, a rimarcare il loro carattere di rinascita siderale, oppure con il globo solare sul capo. Il candidato, salito alle sfere stellari, alla fine esclama: “Io prendo possesso del cielo, dei suoi pilastri e delle sue stelle… Io sono un serpente pieno di spire…”.

Lo sguardo del Cobra

Per gli Egizi, significative erano le costellazioni circumpolari. Sappiamo, infatti, che le piramidi a Giza rispecchiano gli astri della cintura di Orione, con il Nilo che striscia verso Nord a imitazione della Via Lattea, mentre il condotto settentrionale della Camera della Regina, nella piramide di Cheope, guarda la stella Thuban nel Draco. I riti astrali della rinascita in epoche remote prevedevano l’utilizzo di un oggetto di bronzo simile alla lingua biforcuta di un rettile per la cerimonia dell’apertura della bocca; copia è stata rinvenuta proprio nel canale nord della Grande Piramide dai fratelli Dixon, nel 1872.

A conferma di un culto per il serpente celeste spicca la magnifica piramide a gradini di Zoser, a Saqqara, che guarda una serie di strutture sacre contornate da file di cobra in pietra, animale che rispecchia la forma della dea-cobra Edjo. Osiride stesso, divenuto serpente nel Duat, aveva una dimora di “cobra vivi” nell’acqua. Ogni tempio egizio portava scolpito sul frontone il simbolo del disco solare alato vigilato da cobra ritti. In antico egizio, il segno per il cobra, ara, incorporava anche il significato di “dea” e il rettile, segno distintivo di molte divinità, andò ad ornare il magnifico copricapo del giovane Tutankhamen, accanto all’avvoltoio, con il nome di uraeus (femmina del cobra).

Posto sul copricapo di Osiride, dono di Ra, emanava strane radiazioni in base al Libro dei Morti e in veste di arma lanciava raggi infuocati (“il respiro del serpente divino”), al pari dell’Arca dell’Alleanza. Notevole, infine, il diadema di Tutankhamen con il cobra che si erge come linea divisoria fra gli emisferi cerebrali, mentre il secondo santuario del giovane faraone raffigura diversi uomini di fronte a un cobra gigante colpiti dai raggi promananti da luminosi astri…

Il popolo sumero conserva memorie ancestrali degli Anunnaki, che forgiarono l’uomo grazie al potere del serpente, lasciando nel nostro corpo una linea genetica che regna incontrastata da allora.

Il mito della creazione di Adamo ed Eva descritto nella Genesi prende le mosse dalle tavolette cuneiformi, eredi a loro volta di un sapere più antico.

Nel pantheon sumero ricettacolo di suprema conoscenza era EN.KI/E.A (“colui la cui casa è l’acqua”), che amava l’uomo e lo aiutò ad evolvere da semplice creatura ad essere senziente, contrastato dal fratello EN.LIL. L’effige del dio era una freccia stilizzata enucleante il termine BUZUR, “detentore dei segreti” e “detentore dei metalli”, con allusione alla segreta arte alchemica. Nella Bibbia il medesimo vocabolo è nahash, “serpente”, correlato alla progenitrice Eva, tradotta come “vita”, “serpente femmina”, “Signora del serpente” e “madre di tutti i viventi”. La lingua araba chiama il rettile al-ayyah, “il vivificante”, omofono ad Allah, suggerendo in tal modo che gli antichi contemplassero un’Energia Madre quale scaturigine della vita. Un testo ebraico sostiene che Eva generò Caino insieme ad Enki, mentre Abele nacque dall’unione con Adamo. Il segno posto su Caino, di dinastia regale, era la rosacroce simboleggiante la Coppa delle Acque, l’utero femminile.

Verso l’Albero della Vita

Enki si rivolge ad Eva nel giardino dell’Eden spingendola a gustare i frutti dall’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, istoriato allegoricamente nei sigilli cilindrici come deità con rami simili a sinuosi spermatozooi e alla vagina: con l’energia sessuale controllata l’uomo ascende al cielo. Il messaggio si completa in altri bassorilievi di epoca assira raffiguranti uomini di rango elevato che montano la guardia ad un apparato simile alla spina dorsale e reggono in mano una pigna, la pineale.

Nel racconto di Adapa, l’Adamo biblico, è scritto: “La conoscenza Enki gli diede, ma non l’immortalità”. Difatti Enlil, scoperto lo stratagemma del fratello, scaccia la coppia divina dall’Eden, negandogli l’accesso all’Albero della Vita. Secoli più tardi l’eroe Gilgamesh partirà verso mondi lontani per carpire agli dèi l’ultimo segreto. Quale? Gli adepti di Enki ritrassero il dio con due enormi serpenti in foggia di veste attraversata da bande orizzontali, la doppia elica del DNA e i suoi quattro composti organici. Sotto di lui l’ankh egizia, la vita eterna. Tradizioni sudamericane parlano di Tomapa, che prediceva il futuro con una croce ansata. Il suo nome significherebbe “colui che ha in sé l’Albero della Vita da cui si tagliano verghe magiche”. Clonazione deriva dal greco kloon, ramoscello. Troppe le coincidenze.

Il maestro della stella bianca

In nessuna parte del globo ha raggiunto tanta potenza come in Mesoamerica il culto del Serpente Piumato. Furono gli Olmechi a introdurlo con gli attributi suoi propri, il pettorale a sette punte a forma di conchiglia e il glifo di Venere, che si combinano per dar luogo ad un preciso simbolismo astronomico. L’animale rappresenta, nel contempo, il veicolo spaziale lucescente che emette fiamme e brilla velocissimo nella notte, secondo la descrizione che farà Sanconiatone di Berito nella sua Storia Fenicia.

Il dio Kukulkàn, Serpente Piumato dai colori dell’arcobaleno (Quetzalcòatl per gli Aztechi), era considerato dai Maya il creatore dell’uomo, colui che infuse l’impulso evolutivo ai nativi del Messico. Dalla pelle chiara con la barba, sua madre lo concepì dopo aver ingerito uno smeraldo, nascita tipica dei grandi avatàr. Promulgò leggi giuste e insegnò la scienza astronomica attraverso il sacro calendario dal ciclo di 52 anni legato a Venere e alle Pleiadi.

In vita si oppose al feroce Tezcatlipoca, il quale lo costrinse a partire definitivamente, con la promessa però di ritornare instaurando una nuova èra. Raggiunta la riva celeste dell’acqua divina e abbigliatosi sontuosamente, si immolò nel fuoco e disparve su una zattera di serpenti, per ricomparire otto giorni dopo sotto forma della stella Venere. Anche in Nepal si venera una divinità distesa sopra dei rettili dal soprannome di Narayan, “colui la cui casa è l’acqua”. La piramide–tempio di Quetzalcòatl a Teotihuacan presenta maschere serpentiformi del dio accanto a conchiglie di area caraibica.

Fuoco dalle Pleiadi

Andrew Collins ha visitato a Cuba, secondo lui l’antica Atlantide, la prima di sette caverne a Punta de l’Este, segnata con graffiti di una cometa serpentiforme che genera anelli concentrici. Il sito ha due fori per registrare sin da epoche arcaiche il transito di Venere, pianeta connesso alla costellazione delle Pleiadi, simboleggiata presso i Maya dal sonaglio del serpente. Tra gli abitanti locali è viva la memoria di un asteroide caduto migliaia di anni prima nel Mar dei Caraibi, descritto come un gigantesco rettile infuocato, e antiche tradizioni ebraiche sul Diluvio Universale narrano che “le acque superiori precipitarono nello spazio creatosi quando Dio rimosse due stelle dalla costellazione delle Pleiadi”. Gli Olmechi sostengono che l’umanità sia emersa dall’interno di grotte, a imitazione delle quali costruirono i loro osservatori stellari sotterranei. Sembra quasi che gli ignoti artisti vogliano attirare la nostra attenzione sui misteriosi pittogrammi, unico indizio che punta ai cieli. Che altro sappiamo di loro? Esiste un’eredità perduta di cui non abbiamo sentore? La risposta ai molti interrogativi giace nelle giungle tropicali.

La stirpe di Ahau Can

Nel Popol Vuh dei Maya si parla di numerose tribù madri fuggite nell’oscurità dalle sette caverne di Aztlàn, nel lontano est. Tutto fa pensare ai sopravvissuti di una catastrofe planetaria che ha coperto di tenebra il pianeta, effetto creatosi in seguito ad un impatto cometario. I sedici Libri di Chilam Balaam ricordano, invece, l’arrivo nello Yucatan in tempi remoti di uomini biondi barbuti dalla carnagione bianca e gli occhi azzurri, giunti a bordo di zattere che scintillavano come le squame di un rettile. Erano guidati da Itzamna, che guariva con l’imposizione delle mani e donava la vita ai defunti. I sacerdoti si facevano chiamare chanes, “serpenti”, o ah-tzai, “popolo del serpente a sonagli”. Gli stranieri tributavano un’importanza enorme al rettile, il Crotalus durissus durissus, conosciuto come Ahau Can, il “Gran Signore Serpente” e venerato parimenti nell’intera America.

Fu il motivo geometrico della sua pelle, rombi attraversati da una croce, a ispirare l’architettura sacra (come nei fregi di Uxmal) e l’orientamento ai quattro punti cardinali delle strutture maya. Il simbolo vivente è il tempio di Kukulkàn a Chichén Itzà, ove la luce solare ai due equinozi crea sulla scalinata nord un suggestivo serpente formato da sette triangoli splendenti, il dorso del crotalo. L’animale compie la muta della pelle una volta l’anno quando il Sole nello Yucatan è allo zenit a metà luglio, acquisendo nel contempo un nuovo sonaglio. Cambia poi i denti ogni venti giorni, associabili a un particolare computo temporale maya. Come controparte delle brillanti Pleiadi, ricordava il nuovo ciclo ad opera della costellazione sorta prima di Venere nel 3.114 a.C., data di inizio del calendario mesoamericano. Cerimonia solennizzata dall’accensione di un fuoco sacro sopra la statua di Chac Mool a Chichén Itzà, fiancheggiata da statue di rettili giganti con la coda a sonagli disposti ad L. Anche il sito di Tiahuanaco, in Bolivia, era progettato come un grandioso orologio stellare e il fregio sulla Porta del Sole identifica una camera segreta sotto la piramide Akapana dominata dal serpente, simbolo della conoscenza suprema.

Un rito sconcertante introdotto dai chanes è la deformazione del capo dei bambini nobili, per conferir loro inusitate doti intellettive e l’aspetto degli dèi serpente. Significativi i crani allungati rinvenuti pressochè in tutto il globo, dall’America all’Egitto. Anche Pacal, il sovrano maya di Palenque, presentava le medesime caratteristiche e la maschera di giada che copriva il suo volto nella cripta sotterranea è incisa con squame serpentine, mentre sui pilastri del Tempio delle Iscrizioni compaiono donne con un bambino in braccio la cui spina dorsale si prolunga in un rettile. Inoltre, combinando le figure della lastra di Palenque, Cotterell ha individuato la sequenza mitologica del serpente piumato nelle sue manifestazioni.

La schiera dei Vigilanti

L’eco degli dèi serpente giunge sino i compilatori dell’Antico Testamento. Il Libro di Enoch e il Libro dei Giganti (apocrifi derivanti dal Libro di Noè) descrivono l’arrivo sul pianeta di duecento Vigilanti capeggiati da Semyaza che si uniscono alle donne terrestri generando esseri semidivini. Rivelano agli uomini i misteri celesti quali la metallurgia e la scrittura, nonché l’immunità ai veleni dei rettili. L’aspetto dei Vigilanti viene chiarito da un’altra opera apocrifa, Il Testo di Amran, ove il padre di Mosè s’imbatte in creature dal volto di vipera, riprodotte anche nelle statuine della cultura Ubaid in Mesopotamia. La Genesi definisce gli strani esseri “figli Dio” e non correttamente “figli delle dee”, e la loro prole nephilim, giganti, in realtà i discendenti del serpente. Un’altra variante del mito di Kukulkàn è Votan, dei Guardiani della razza di Can. Se questi ultimi fossero i Vigilanti, non è casuale l’accostamento tra chan, Can e Caino.

Il Figlio dell’Universo

Il sapere giunto dal cielo si trasmise alle scuole iniziatiche del Medio Oriente, cui era affiliato Mosè. Celebre l’episodio del patriarca che forgia un serpente di rame nel deserto contro un’epidemia di serpenti ai danni degli Israeliti. Chiunque avesse posato lo sguardo sull’amuleto sarebbe guarito all’istante. Da qualificate ricerche mediche è emerso che il radionucleide rame – 62 è un “emettitore di positroni” benefico per il sangue e gli altri composti del metallo potenziano le cellule viventi. L’immagine del rettile che salva dalle infermità verrà ripresa secoli più tardi dal Vangelo di Giovanni che fa dire a Gesù: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così dev’essere innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chi crede in lui avrà la vita eterna”. Al tempo di Erode circolava la leggenda che una vergine giudea, identificata in Maria, fosse stata visitata da un serpente. Come Quetzalcòatl, Gesù si definiva la stella del mattino, compiva miracoli e possedeva l’arte di incantare i rettili appresa nei suoi viaggi in India. Accostarlo alla famiglia dei chanes sarebbe azzardato, ma è quanto ha fatto Le Plongeon, il quale sostiene che siano di origine maya le parole del Maestro sulla croce: “Hele hele Lama, zabac tani”, cioè “Ora, ora sto svenendo, le tenebre coprono il mio volto”.

La gnosi cristiana è fermamente convinta che ognuno di noi nasca come un serpente destinato a strisciare sulla Terra per raggiungere alfine le stelle. La setta degli Ofiti (dal greco ojiV, serpente) affermava che l’uomo, nato da un uovo e da un serpente, replica l’Universo mentre il nostro intestino richiama la forma dell’animale. Da qui il significato simbolico del labirinto e l’osservazione delle viscere a scopo divinatorio. I Sethiani chiamavano “serpente” il potere creatore, che plasma sibilando tramite la vibrazione sonora, il Logos.

La tredicesima costellazione

I culti orfici, sviluppatisi in Grecia nel V–IV sec. a.C., propugnano la stessa dottrina asserendo che in principio esisteva soltanto la Notte scura da cui prese forma un grande vento nelle sembianze del serpente Ofione, che unitosi all’oscurità generò l’Uovo primordiale. Secondo eminenti studiosi dei princìpi pitagorici, il rettile è “il fluido vitale della procreazione, il midollo spinale che si credeva assumesse forma di serpente”. Ancora al filosofo greco si deve la credenza che la colonna vertebrale dell’uomo si tramutasse alla morte in un serpente.

Gli Ofiogeni, antica popolazione dell’Ellesponto, facevano risalire la loro discendenza ad un rettile unitosi con la regina Alia. Lo stesso accadde per gli Ateniesi, che inizialmente si definivano Cecropidi, attribuendo la nascita della polis al fondatore serpente Cecrope e al figlio Erittonio. La civiltà minoica, di stampo matriarcale, adorava una dea che stringe due serpenti, assimilata più tardi dalla bellicosa Atena, che subentrò a Cecrope nella protezione della capitale ateniese.

La divinità intimamente legata al serpente è il dio della medicina Asclepio, che riportò in vita il figlio di Minosse strofinandovi sopra un’erba medicamentosa rivelatagli da un rettile. Nel santuario di Kos, in Asia minore, veniva costantemente nutrito e adorato in suo onore l’animale sacro. I Romani credevano nel genius loci in forma di serpente che accompagnava l’individuo in vita e tracciavano dei serpenti in un luogo per renderlo puro. Alla sua morte, Asclepio viene assunto in cielo trasformandosi in Ofiuco, che appare nel firmamento come un uomo con il caduceo che stringe un serpente, l’omonimo gruppo stellare. Il mito personifica la tredicesima costellazione originaria dello Zodiaco, destinata a ricomporre il destino astrologico dell’essere umano nella faticosa esplorazione della Galassia ove regna la quiete assoluta.

Riti delle origini

Il culto del serpente è al giorno d’oggi più vivo che mai. In Tanzania, il zoologo Fred Carnochan è stato iniziato alla misteriosa casta dei guaritori immuni al morso del rettile grazie alla profonda conoscenza dei sieri vegetali ancor oggi sconosciuti ai medici ortodossi, mentre in Mali la popolazione dogon compie cerimonie rituali millenarie in onore degli esseri serpente provenienti da Sirio. Nel Volta, invece, le donne gravide visitano la casa decorata da rettili.

Gli indiani Moki del New Mexico eseguon la danza della pioggia indossando sonagli rumorosi e tenendo serpenti vivi tra i denti, custoditi per diversi giorni in camere sotterranee e immersi, come gli iniziati, nell’acqua consacrata. Nel sito maya di Copán, la scultura di un dio è scolpita nella stessa posa. Anche in Italia, a Coccullo (Abruzzo), si svolge la processione della statua di San Domenico avviluppata da serpenti vivi, cerimonia tributata all’antica dea Angizia. E l’elenco potrebbe continuare.

Siate furbi come serpenti

Il viaggio termina qui. L’intento primario era mostrare il fascino segreto che il serpente ha esercitato sui nostri predecessori, consci del ruolo che ogni creatura ricopre all’interno del Macrocosmo grazie alla vita che si manifesta nella sua totalità. La nostra ricerca, lungi dall’essere completa per l’incredibile vastità del materiale, è suscettibile di cambiamenti ed apre il campo a numerosi e interessanti sviluppi. Centro d’interesse rimane sempre l’uomo, erede della sapienza universale che, ignaro, possiede le chiavi del cambiamento nella struttura biologica del suo stesso corpo. Il nostro cervello consta di tre strati sovrapposti il primo dei quali collegato al midollo, era prerogativa dei rettili primordiali apparsi sul pianeta Terra milioni di anni fa. Potenziando il suo pensiero, l’uomo pone in essere il grande cambiamento che gli antichi misteri insegnavano tramite i Maestri. Gesù lascia un messaggio importante nel Quinto Vangelo di Tommaso: “I farisei e gli scribi hanno preso le chiavi della conoscenza e le hanno nascoste. Essi non sono entrati e non hanno lasciato entrare quelli che lo volevano. Voi però siate furbi come serpenti e semplici come colombe”.
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