È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

RICHIEDI L'ISCRIZIONE AL FORUM PER POTER PARTECIPARE ED ACCEDERE A TUTTE LE DISCUSSIONI
CLICCA QUI PER LA RICHIESTA DI ISCRIZIONE !!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

L'esperienza di pre morte di Maurizio Baiata

Ultimo Aggiornamento: 13/11/2012 19:55
Autore
Stampa | Notifica email    
13/11/2012 19:55
 
Quota

Articolo di Maurizio Baiata
Fonte: mauriziobaiata.net/2012/11/05/la-mia-esperienza-di-pre-morte-il-primo-capitolo-de-gli-alieni-mi-hanno-salvato-la-vita-ora-i...

Ricordare esattamente la data è impossibile, ma era certamente la seconda settimana dell’Aprile 1971. All’epoca avevo quasi vent’anni e scrivevo per il settimanale musicale Ciao 2001 diretto da Saverio Rotondi, un direttore burbero ma buono che mi diceva sempre che avevo un certo stile, ma dovevo imparare a scrivere in dieci righe quello che avevo scritto in una cartella di trenta, l’arte della sintesi non era il mio forte. Andavo di getto, spesso privo di punteggiatura, sospinto dai suoni stralunato e visionario come le musiche che mi piacevano. Ero fra i collaboratori esterni, con Enzo Caffarelli, Manuel Insolera, Marco Ferranti e diversi altri, il fotografo Piero Togni, mentre in redazione c’erano Tonino Scaroni, Luigi Cozzi e Fabrizio Cerqua. I nostri corrispondenti sarebbero divenuti famosi, anni dopo entrando nella famiglia Arbore: da Londra scriveva Michel Pergolani, Armando Gallo, fotoreporter, andava e veniva da Los Angeles.



La rivista vendeva decine di migliaia di copie la settimana e non aveva concorrenza, si era imposta sul mercato editoriale/musicale italiano come fonte di informazioni provenienti soprattutto dall’Inghilterra, che all’epoca viveva ancora dei fervori post anni Sessanta ed era all’avanguardia nel campo del Progressive Rock. La fantasia e la ricerca della perfezione nel suono, che in realtà fluiva dalle vene del Blues/Rock bianco, costituivano la matrice di molti gruppi elettrici, ma le radici scendevano sino al folklore rurale e alle leggende e ai salterelli dell’antica terra d’Albione e i Jethro Tull ne erano commercialmente la punta di diamante. Aqualung, il loro album di maggior successo, era uscito per la Island Records in Gran Bretagna un mese prima e me ne ero procurato una copia, con copertina in rilievo, un’opera d’arte in ogni senso, che penso se l’avessi oggi varrebbe centinaia di euro, anche perché me l’aveva autografata Ian Anderson, il leader del gruppo, incantatore di serpenti flautista sublime dalla voce possente e dai modi eleganti, che avevo intervistato grazie a Luigi Mantovani, allora manager International della Ricordi. Andavo in moto. Da poco mi avevano rubato una Lambretta 150 modificata e in quel periodo mio fratello Claudio mi aveva prestato il suo Gilera 5V. Era tarda sera. Alle 21.15 – l’ora è rimasta impressa nella memoria – percorrevo Via Filippo Turati nei pressi della Centrale del Latte, a ridosso della Stazione Termini, a Roma. Ero stanco. Con la mano destra manovravo il gas, la sinistra reggeva sul serbatoio della moto l’album dei Jethro. Una cunetta e un sobbalzo. Il disco cade in mezzo alla strada. Fermo la moto accanto al marciapiede, la metto sul cavalletto centrale. La mia unica preoccupazione era recuperare il 33 giri che giaceva sull’asfalto a pochi metri da me. La memoria è lucida. In un attimo avviene. All’improvviso a fari spenti un’auto a forte velocità, una Volkswagen Maggiolino scuro, blu o verde. Vedo nell’abitacolo una ragazza che alza le mani verso il viso a coprire gli occhi, lancia un urlo che non sento. La macchina mi investe in pieno. Urto violentissimo. Volo per alcuni metri, forse una decina. Scaraventato a terra. Cerco di rialzarmi, mentre il Maggiolino non si ferma e sparisce in un istante. Non ci riesco, sono piegato sullo stomaco, ho il viso insanguinato. Mi accascio sul bordo della strada sopraffatto dal dolore allo stomaco. Passano pochi secondi e sento lo stridio delle gomme in frenata di una vettura, piccola, una Fiat 600. Ha le portiere controvento. Vedo uscire un ragazzo, un militare che mi si avvicina. Mi dice “Hey, ti sei fatto male, ti porto in ospedale”. Mi aiuta a rialzarmi, mi sostiene premuroso, cingendomi la vita e le spalle, braccia forti. Mi depone sul sedile davanti. Il ragazzo spinge sull’acceleratore, per quanto possibile su una scatoletta simile e non siamo distanti dal Policlinico Umberto Primo. Mi rassicura. Mi dice che andrà tutto bene. Non è di Roma, dall’accento mi sembra del Sud. Arriviamo al Pronto Soccorso penso in meno di cinque minuti. Ferma la macchina, scende, apre lo sportello e mi solleva dal sedile. Di nuovo con gentilezza mi sorregge. Le luci dell’ospedale sono diafane, quella dell’ingresso del Pronto Soccorso è più luminosa. Arriva un portantino. Il militare gli dice qualcosa, che ha visto l’incidente da poca distanza. Ma deve scappare via, deve rientrare in caserma. Il portantino gli chiede di restare e firmare un verbale, lui risponde di no, che non può e che si occupino di me perché gli sembro piuttosto grave. Non faccio neppure in tempo a ringraziarlo. Mi mettono su una lettiga lungo il corridoio del Pronto Soccorso. Trascorrono alcuni minuti. Arriva un medico di turno. Mi puliscono e medicano il viso. Le abrasioni sono estese, ma superficiali, nessuna lacerazione. Dico che mi fa molto male la pancia, che ho crampi fortissimi. Il medico mi tasta l’addome e non riscontra alcunché e le ossa sono a posto. Mi piazzano in una camerata molto ampia, dove giacciono tanti poveretti ricoverati. Sul letto. Ho l’impressione che le cose non vadano per il verso giusto, i dolori addominali sono troppo forti e cerco di non lamentarmi per non disturbare gli altri. Un vecchio nel letto accanto al mio ha gli occhi fissati nel vuoto, rantola penosamente. Io provo a controllare il respiro lentamente. Inspiro ed espiro, ma ho un singulto e un fiotto di sangue scuro mi esce dalla bocca, cerco di non sporcare le lenzuola, mi rannicchio su un fianco e il sangue smette di uscire. è stato solo un attimo, ora andrà meglio, mi dico. Non va così. Un altro singulto e ancora sangue dalla bocca. Passano due portantini e uno mi dice “Ehhh, hai bevuto tanto vino rosso, bravo!” Ridacchiano e si allontanano. Vorrei saltargli addosso, ma non riesco a muovermi e neppure a rispondere, ho il sangue in gola, gorgoglia e invade la trachea, mi sento soffocare. Cerco di non pensare. Mi dico che devo riuscire a dormire un po’ e che passerà. Chiudo gli occhi e mi lascio andare. Ho la sensazione di addormentarmi. E accade qualcosa. Il dolore cessa all’istante. Sento un’onda diffusa di strano torpore caldo provenire dall’addome. Sale verso il torace, rapidamente, mi riempie i polmoni, il cuore batte forte… una luce fioca, biancastra mi appare davanti agli occhi, devo per forza riaprirli, per vedere meglio e il dolore lancinante torna immediatamente, mi contorco nel letto. Sono come spinte di una lama affilata che penetra nelle viscere. Il silenzio della sala è rotto dalle mie grida che provo ad attutire e nessuno sembra sentire. Chiudo gli occhi e… la sensazione di calore sale ancora dal ventre più forte ora. Vedo di nuovo quella luce che è come alla fine di un imbuto scuro, un punto chiaro nell’oscurità. Mi attrae. Sento il mio corpo che si muove verso la luce, distendo le braccia a toccare le pareti invisibili che diventano multicolore. Il dolore non c’è più, sono sovrastato da una sensazione di benessere totale e di calore che mi pervade ovunque, a ondate sempre più aggressive… Ma riapro gli occhi e torno alla mia agghiacciante realtà. Mi volto verso il vecchio nel letto accanto al mio. Boccheggia, il suo respiro si fa più affannoso, poi con un singulto cessa del tutto. Oddio! è morto così, a due metri da me. è la prima (e sola) volta che vedo una persona morire. Chiudo gli occhi. E di nuovo succede, stavolta la luce alla fine del tunnel è vivida e in fondo una sagoma indistinta, esile, scura sembra pulsare di luce propria, i contorni si delineano e distinguo una figura umana. E sento una voce dapprima flebile che si fa parole: “Vieni da me…”, “Vieni qui”… Mi muovo nel tunnel con i lati multicolori che diventano come nella sequenza finale del film 2001 Odissea nello Spazio, dove l’astronauta David Bowman compie il viaggio ultimo verso il mondo nuovo, l’eternità della nuova vita che sorge all’orizzonte cosmico. Strisce luminose lampeggianti, flash continui che aumentano di intensità a ogni secondo… Ohhhhhh… sono pronto. La forza dolce mi sospinge verso la figura che resta lì, immobile.

è la mia meta ed è bello andare con i brividi caldi che nascono dal mio ventre e ormai mi hanno preso completamente… mi stupisce non sentire le musiche che adoro, i suoni astrali dei quali scrivo già da tempo, i brividi diventano maestosi ed è amore allo stato puro, lo sento: “Apri le tue braccia e accoglimi, oh morte. Tu sei la vita. Vengo da te”. In realtà, sono fermo. Il tempo e lo spazio scorrono insieme davanti ai miei occhi. Vedo sulle pareti del tunnel multicolore scene che non ho mai visto, il passato e il futuro all’unisono. Scene di vite lontane. Sogni veloci, passaggi ultraluminali… allora ecco questo è il presente che sto vivendo. Sto morendo. Ho vent’anni. E sto morendo. Come l’uomo vicino a me. Non voglio morire ora. Amo da impazzire la mia ragazza, non posso lasciarla, ha solo sedici anni. Ma la voce mi dice di andare, ancora e la sensazione di benessere è diventata abbandono totale che mi risucchia verso la fine del tunnel e mi avvolge come il più tenero e focoso degli amplessi. Un orgasmo mistico. Irresistibile. Fra l’amore per lei e l’amore che provo per la fine della mia vita, scelgo di riaprire gli occhi. Il dolore insorge di nuovo e mi riporta in coscienza. Sento il sapore del sangue in bocca, aspro e dolce. E ora inizio a urlare con tutta la forza che mi resta: “Aiuto!!! Per favore”. Si avvicina una suora, piccolina. Le afferro il polso, glielo contorco e non mollo la presa. Le dico che voglio vedere la mia faccia e d’incanto nelle sue mani si materializza un piccolo specchio, che mette davanti al mio viso. Inorridisco. è verdastro. Le dico che mi sento morire. Lascio il suo polso e si dilegua. Dopo un paio di minuti torna, insieme a un dottore. Giovane, incredibile, osserva la cartella clinica, appoggia le mani sul mio ventre e ordina: “In sala operatoria, immediatamente!” e va via. La suora resta. Ancora pochi minuti e appaiono due portantini. Mi sollevano e mi adagiano su una lettiga. Percorriamo un corridoio e arriviamo davanti alla porta di un ascensore, che si apre, entriamo, un portantino mi dice che ora mi operano. La sala è già pronta. L’anestesista mi dice: “Ora farai un bel sogno, ragazzo” e la mistura di ossigeno e narcotico fa effetto in tre, quattro secondi. Bello scivolare nel mondo dei sogni.

Quando riapro gli occhi, mi vedo nel letto in una stanza d’ospedale, con mia madre e mio fratello accanto. Osservo la scena dall’alto, sospeso in un angolo del soffitto e vedo tutto.

Vedevo la stanza e la parete sulla destra del letto, trasparente, dietro la quale c’erano persone che sembravano in attesa. Erano miei amici. Non so, non ricordo e sinceramente non voglio sapere chi avesse avvisato la mia famiglia.

Ma erano tutti lì e io fluttuavo morbidamente nell’aria. Vedevo persino le cannule nelle mie narici. Brusio di voci, sospiri, volti preoccupati. Lacrime sul mio viso che, in fondo, non sembrava così deturpato dall’incidente e d’altronde stavo benissimo nel mio angoletto di mondo che mi riportava alla vita. Come rientrai dal corpo astrale al corpo fisico non sono mai riuscito a capirlo. Ripresi conoscenza e la prima cosa che dissi a mia madre fu se era stata avvertita Diletta, mio primo grande amore adolescenziale. Mi disse di sì e la fece subito entrare. Eccola. Graziosa davvero. Non disse una parola, rimase solo un paio di minuti. E presero a entrare anche gli altri, uno a uno, in fila indiana. Poi un’infermiera intimò a tutti di uscire. Restai solo e mi accorsi che avevo una seconda cannula infilata nello stomaco. Drenava liquidi. Ormai ero rientrato completamente nel mio corpo, senza accorgermene. E sentivo una forte pressione allo stomaco, la linea verticale di una ventina di punti esterni bruciava un po’. Entrò un dottore. Mi disse che era stato lui a operarmi e che in un paio di settimane sarei stato di nuovo in piedi. Con un filo di voce chiesi: “Ma potrò tornare a giocare a pallacanestro?” Rispose: “Sì certo, torni in palestra al San Leone Magno presto, non preoccuparti”. Come poteva sapere che giocavo nella squadra del San Leone? E aggiunse: “Sono il fratello di Massimo, il tuo compagno di banco al liceo” – “Cosa?” – “Sì, sono Maurizio Moretti, ti ho operato io. Ora continuo il mio giro, ma ti rimetteremo presto in piedi. Passo di nuovo domani”. Cosa fu, un miracolo? Non l’ho mai capito. Aveva ragione il dottor Moretti, perché mi dimisero dall’ospedale una settimana dopo e iniziai a riprendermi velocemente. A quell’età il fisico reagisce bene anche a un trauma simile. Mi cadde però una tremenda tegola sulla testa. La mia ragazza, Rita, quella per la quale mi ero aggrappato alla vita, per alcuni giorni non si era fatta viva. Un pomeriggio mi telefonò e mi disse: “Vedi Maurizio, io ti voglio bene, ma tu sei troppo… impegnativo. Scusami, non possiamo stare insieme”. Capii all’istante che aveva ragione, perché era ancora troppo piccola e quell’incidente che mi aveva quasi ammazzato era stato troppo per lei. Il mondo si fermò. Erano anni belli, ma difficili per la mia generazione. Per le strade c’era aria di rivoluzione. Dopo la morte di mio padre, nel Novembre del 1960, ero stato in collegio per cinque anni, con mio fratello e solo l’amore per il basket e per la musica – Radio Luxembourg ascoltata di nascosto la notte con l’auricolare di una radiolina a transistor – mi aveva aiutato a uscire da un’educazione cattolica che ora rifiutavo completamente. Un sistema oppressivo e tetro che imponeva ai bambini di pregare dalla mattina alla sera, di salmodiare il messalino nell’austera cappella del Collegio San Giuseppe Istituto De Merode di Piazza di Spagna. Di imparare a pensare alla salvezza della tua anima invocando tutti i santi del paradiso e ad avere terrore della morte che portava alla corruzione della carne.

Ripresi gli allenamenti con la squadra di basket del liceo San Leone Magno impegnata nel torneo di Promozione (anticamera della serie D), due settimane dopo essere stato dimesso, come aveva predetto il dottor Moretti. Nel giro di un mese me la cavavo piuttosto bene, ma il tono muscolare era calato. Considerando la mia scarsa altezza, mi stava bene il ruolo di playmaker, avevo un buon tiro da fuori e discreta visione di gioco, ma prendevo troppe botte, gomitate sul viso appena cercavo di infilarmi nell’area degli avversari e andare al rimbalzo in mezzo a marcantoni di quasi due metri era una tortura. Decisi allora che il Karate era la mia via. L’esempio di un amico di destra (io no) e cintura nera fu importante. Mi spiegò che non si diventava come Bruce Lee e che mi sarebbe costato molti sacrifici, ma la mia situazione psicologica ancora piuttosto scossa e il forte desiderio di apprendere un’arte marziale mi avrebbero aiutato ad affrontare meglio anche la vita di tutti i giorni. Non certo per menare le mani, ero allora e sono tuttora un pacifista. Il Karate mi prese nel profondo. I contatti, sia al viso sia in ogni altra parte del corpo, erano continui. Avevo paura che il ricevere colpi all’addome potesse causare problemi allo stomaco e ci andavo cauto. Invece, i colpi arrivavano e gli addominali reggevano bene. Mi ero ristabilito dall’incidente e l’operazione aveva avuto effetti positivi, avevo perso una decina di chili, mi sentivo in forma e andavo di nuovo in motocicletta. Scrivevo per Ciao 2001. La redazione e soprattutto il direttore, Saverio Rotondi, mi tenevano in considerazione. Erano i tempi dei grandi concerti. Degli sfondamenti delle transenne fuori dai palasport e delle battaglie all’università. Esistevano i “collettivi” e la musica si diceva non si pagava. Scrivevo, scrivevo e gli articoli portavano anche qualche soddisfazione economica, pagati 40.000 lire l’uno, un paio di recensioni e un pezzo a settimana rappresentavano un gruzzoletto che peraltro dissipavo continuamente comprando dischi di importazione alla discoteca “Città 2000” di Viale Parioli e da Consorti. Insomma cercavo di sostentarmi come giornalista musicale. Le grosse case discografiche mi rifornivano in continuazione. La musica che mi interessava era psichedelica. Volevo scoprire, attraverso la Musica, come arrivare alle porte del cosmo. Non capivo che alle porte del cosmo ero già arrivato durante il coma, sia nella prima fase di NDE (Near Death Experience, esperienza di pre-morte) durante la notte del ricovero in ospedale, sia nella seconda di OBE (Out of Body Experience, esperienza fuori dal corpo) e vivendo la successiva in “astrale” al mio risveglio. La ragione per la quale non me ne rendevo conto e non me ne sarei reso conto per altri vent’anni fu che l’intera esperienza dell’incidente era stata cancellata, insieme alla sindrome post traumatica, dalla mia memoria cosciente.

Non ne ricordavo assolutamente nulla e quindi non ne avevo mai parlato con nessuno, parenti o amici, nonostante spendessimo lunghe ore a conversare, ad ascoltare musica e a sperimentare con l’aiuto di derivati dalla cannabis, mai droghe pesanti, sia ben chiaro. Inoltre, praticavo Karate agonistico e il mio Maestro, Paolo Ciotoli (che adoro come un padre ancora oggi) ci voleva vigili e pronti a lottare per il bene della nostra squadra, il KIAI di Roma, fortissima e fra le prime in Italia. Ciotoli basava i nostri intensissimi allenamenti sulle tecniche tradizionali del Karate stile Wado Ryu, eseguivamo i kata (forme di combattimento figurato contro avversari immaginari) cercando la concentrazione e la distensione dell’energia, il segreto del Ki (Chi in Cinese), la forza interiore alla base del Karate. Inoltre, con il saluto cerimoniale all’inizio e alla fine di ogni allenamento restavamo a lungo in ginocchio, una forma di meditazione Zazen, con la quale ottenere il vuoto mentale. Se tutto questo non era bastato a riportare alla luce il mio viaggio verso la Morte/Vita doveva esserci una ragione.

Ora so qual è questa ragione. Ora ho quasi 60 anni, vivo negli Stati Uniti, a Phoenix, in Arizona. E da oltre 20 anni studio il fenomeno UFO in tutte le sue sfaccettature. Scrivo e scrivo, ancora. E solo pochi mesi fa ho realizzato che tutto avvenne per colpa di Aqualung – che per la cronaca non fu recuperato dopo l’incidente – ma anche, probabilmente, della mia avventatezza. Con troppa foga mi ero slanciato nel mezzo della strada e quel Maggiolino guidato da un pregiudicato che sarebbe stato ucciso in uno scontro a fuoco con dei finanzieri nella zona di Ardea alcuni anni dopo, era la macchina che avrebbe cambiato per sempre il mio destino. è l’amore che provi, che uguaglia il dolore che ti attraversa dentro, nella vita di ogni giorno a farti andare avanti. E intanto Altri osservano. Vengono da lontano, scavano nel profondo della tua psiche, invisibili. Non sai chi siano, continuerai a non saperlo, sin quando gli occhi ti si schiuderanno alla realtà della Quarta Dimensione.
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Questo forum non rappresenta una testata giornalistica poiché viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62/2001. Le immagini pubblicate sono quasi tutte tratte da Internet e quindi valutate di pubblico dominio (è consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro). L’autore dichiara di non essere responsabile per i commenti inseriti nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di persone terze non sono da attribuirsi all’autore, nemmeno se il commento viene espresso in forma anonima o criptata.



<!script type="text/javascript" src="http://codice.shinystat.com/cgi-bin/getcod.cgi?USER=ufologando"> <!noscript> <!a href="http://www.shinystat.com/it" target="_top"> <!img src="http://www.shinystat.com/cgi-bin/shinystat.cgi?USER=ufologando" alt="Contatore visite gratuito" border="0" /> <!/noscript> Eman Engine Stats Directory www.Siti-Web-Bologna.it

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 17:23. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com