2011 AG5: Una pericolosa correzione di rotta

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Gabrjel
00sabato 31 marzo 2012 11:10
Da >>> www.ufoonline.it/2012/03/30/2011-ag5-una-pericolosa-correzione-...

Ci scrive il direttore di Astronomia Nova Rodolfo Calanca, fornendoci un articolo di Aldo Vitagliano apparso sul loro webmagazine ad aprile 2012, che chiarisce meglio gli aspetti di un caso da noi trattato. Pubblichiamo volentieri la ricerca. Potete anche scaricarla in PDF.

"Recentemente si è parlato molto sui media dell’asteroide 2011 AG5, stimato di circa 140 m di diametro, in seguito ad una sua non trascurabile probabilità di collisione con la Terra nel Febbraio 2040. La possibilità di questo evento è legata ad un avvicinamento alla Terra il 3 Febbraio 2023, ad una distanza di 1,86 +/- 0,24 milioni di km, che produrrà una lieve contrazione dell’orbita dell’asteroide. Se la effettiva distanza dell’avvicinamento cadesse entro una ristretta e ben finestra, larga 370 km e centrata a 1.838.260 km dalla Terra, allora l’orbita del corpo subirebbe la esatta “correzione” necessaria ad avere come bersaglio il nostro pianeta 17 anni (10 orbite) più tardi, il 5 Febbraio 2040. Poiché l’incertezza sulla effettiva posizione dell’asteroide si propaga in modo essenzialmente monodimensionale lungo la traiettoria, non solo è possibile stimare la probabilità di un impatto (circa 1/500), ma è anche possibile prevedere quale sia il “corridoio” geografico, relativamente ristretto, entro il quale un tale impatto potrebbe avvenire."

Una pericolosa correzione di rotta

Non si tratta di una nave, e il rischio non è che vada a finire sulle rocce, ma si tratta di una roccia, e il pericolo è che ci venga addosso … Mi riferisco all’asteroide denominato 2011 AG5, (http://en.wikipedia.org/wiki/2011_AG5), del quale recentemente si è parlato molto non solo sul web (in oltre 400.000 pagine), ma anche in televisione e sulla carta stampata, per un possibile impatto con la Terra nel 2040.

Scoperto l’ 8 gennaio 2011 dal telescopio di 1,5 m di Monte Lemmon, il piccolo asteroide, che ha un diametro stimato di 140 m, è stato osservato fino al 21 Settembre 2011, quando, a quasi 1 U.A. dalla Terra, è diventato un oggetto troppo debole per essere ancora seguito perfino dai grandi telescopi di Mauna Kea. Di recente sono state scovate alcune osservazioni precedenti alla scoperta, risalenti al Novembre-Dicembre del 2010, che hanno esteso l’arco complessivo delle osservazioni a 317 giorni, corrispondenti a metà del suo periodo orbitale.

La popolarità assunta da questo quasi insignificante pezzo di roccia è dovuta al fatto che i due maggiori centri che si occupano di NEO (Near Earth Objects), il Jet Propulsion laboratory (http://neo.jpl.nasa.gov/risk/) e il consorzio Neodys dell’Università di Pisa (http://newton.dm.unipi.it/neodys) , stimano ad 1/500 la sua probabilità di impatto con la Terra il 5 Febbraio 2040. In base alle dimensioni stimate dell’oggetto e a quella che sarebbe la sua velocità di collisione (15 km/s), si tratterebbe di un evento di proporzioni non apocalittiche, ma comunque devastanti nella regione dell’impatto, entro un raggio di molte decine di km.

Anche se si tratta di una eventualità alquanto improbabile, vale allora la pena di capire a fondo i termini della situazione, così come al momento sono valutabili.

Intanto, se si vanno a guardare i dati riportati dal JPL, si trova che la distanza “nominale” prevista per l’incontro ravvicinato del 2040 è di circa 1 milione di km, due volte e mezzo più distante della Luna; come mai allora è possibile una collisione e come si fa a stimarne la probabilità? Anche se si tratta di una questione abbastanza intricata, proverò a chiarirla in modo semplice, partendo però un po’ da lontano, e cioè dalla determinazione dell’orbita di un oggetto del Sistema Solare a partire dalle osservazioni che ne misurano le successive posizioni sulla volta celeste.

Di questo ho parlato nel numero di Marzo di Astronomia Nova, (www.eanweb.com/2012/avventure-nella-meccanica-celeste/) raccontando la storia dello sviluppo del Software SOLEX (http://chemistry.unina.it/~alvitagl/solex/) e del suo compagno EXORB, basati sulla integrazione numerica, dei quali naturalmente mi sono avvalso per lo studio dell’orbita del pericoloso oggetto di cui stiamo trattando.

Un solo asteroide reale, una nuvola di asteroidi possibili


Fig. 1. Una “nuvola” di 1000 cloni dell’asteroide 2011 AG5, rappresentante l’incertezza nella posizione dell’asteroide alla data 10 Marzo 2011, vista in proiezione sul piano dell’eclittica. A quella data, la Terra era distante 16,6 milioni di km.

Poiché le osservazioni sperimentali non sono mai “esatte”, ma, quando tutto va bene, contengono comunque un piccolo errore casuale, non è mai possibile una determinazione “esatta” dell’orbita. Lasciando perdere i dettagli, il metodo che si adotta è quello di Newton-Gauss dei minimi quadrati, che determina quali sono i parametri che, usati per calcolare l’orbita dell’asteroide (tenendo conto, attraverso l’integrazione numerica, anche di tutte le perturbazioni gravitazionali causate dai pianeti maggiori), rendono minima la somma dei quadrati degli scarti fra le posizioni osservate e quelle calcolate.

I parametri così calcolati forniscono l’orbita cosiddetta “nominale” che, in base ai dati disponibili e sempre che questi non siano affetti da errori sistematici, dovrebbe essere la più probabilmente vicina a quella “vera”, che comunque ci rimane sconosciuta.

Ciò significa che, fra le orbite possibili, vi è non solo quella “nominale”, ma ve ne sono una infinità di altre leggermente diverse, ciascuna delle quali si accorda con le osservazioni sperimentali appena un po’ meno di quella “nominale”, ma sempre in modo accettabile. Abbiamo quindi un fascio di orbite possibili, tanto più addensato attorno all’orbita nominale quanto più accurate sono le osservazioni sperimentali e quanto più esteso è l’arco di queste.

In altre parole, è come se avessimo non un solo asteroide possibile, ma una nuvola di migliaia di asteroidi “virtuali”, fra i quali uno ed uno solo è quello “vero”, ma noi ignoriamo quale sia. Nel caso ideale di un’orbita determinata con estrema precisione, questa nuvola sarà concentrata in una piccola regione di spazio e rimarrà ben addensata anche dopo numerose orbite, altrimenti la nuvola sarà progressivamente più dispersa, a seconda della (im)precisione della determinazione orbitale, e la dispersione naturalmente tenderà ad aumentare con il progredire delle orbite oltre l’arco temporale delle osservazioni.

Ora, per poter stimare la probabilità di una collisione con un pianeta, occorre avere una idea della forma, dimensione, e densità di questa nuvola al momento della supposta collisione, in modo da poter valutare se essa si troverà, se più piccola del pianeta, a colpirlo (e avremmo così la certezza di una collisione), oppure, se più estesa del pianeta, ad “avvolgerlo”.

In quest’ultimo caso la probabilità stimata di una collisione corrisponderà alla percentuale dei componenti della nuvola che andranno a colpire il pianeta. Ma come ricavare forma, dimensione e densità della “nuvola” ?

Questo si può fare in vari modi, ma il metodo al tempo stesso più affidabile e concettualmente più semplice (anche se richiede un bel po’ di lavoro da parte del computer) è quello (cosiddetto “Montecarlo”) di generare la nuvola di asteroidi virtuali nello stesso modo con il quale si è ottenuto quello nominale, cioè proprio attraverso il software di determinazione orbitale.

Solo che in questo caso non bisogna usare l’insieme delle osservazioni sperimentali autentiche, ma un corrispondente insieme di osservazioni “virtuali”, supposte essere state effettuate negli stessi istanti, ma distribuite casualmente attorno alle posizioni teoriche dell’asteroide nominale con lo stesso scarto medio delle osservazioni vere. In altre parole si crea di volta in volta un diverso insieme casuale di osservazioni fittizie che, anche se non sono le osservazioni reali, avrebbero potuto esserlo, e da questo insieme si determinano i parametri orbitali di un asteroide virtuale (detto anche “clone” di quello nominale).

Ripetendo la procedura un gran numero di volte, dopo aver “estratto a sorte” ciascuna volta un diverso insieme di osservazioni virtuali, ecco che salta fuori una intera nuvola di “cloni”, che rappresenta nel modo migliore possibile la distribuzione statistica dell’incertezza che noi abbiamo sui parametri orbitali dell’asteroide vero. Ed è questa nuvola di cloni che, propagata verso il futuro mediante un software di integrazione numerica come SOLEX, ci dirà fino a che punto e in che misura il futuro dell’asteroide sia prevedibile o incerto.

Più scia che nubbe

Ma la “nuvola” di cui si è parlato ha proprio l’aspetto di una nuvola o ha qualche peculiarità di forma? In realtà la peculiarità c’è, ma non tanto nella forma iniziale che si trova ad avere (Fig. 1), quanto nella sua evoluzione col tempo, man mano che l’asteroide e i suoi “cloni” virtuali procedono orbita dopo orbita. Infatti le orbite dei diversi cloni sono e rimangono praticamente identiche per quanto riguarda la loro geometria nello spazio: le leggi della dinamica (almenonell’approssimazione dei due corpi) impongono che le piccole, quasi impercettibili differenze negli elementi geometrici (semiasse maggiore, eccentricità, inclinazione sull’eclittica, longitudine del perielio e del nodo ascendente), restino costanti nel tempo, sempre che non vengano modificate da un brutale intervento perturbante quale l’avvicinamento ad un pianeta.

Quello che però cambia nel tempo è la loro posizione lungo l’orbita: infatti le piccole differenze nei semiassi maggiori si traducono in periodi orbitali leggermente differenti, e man mano che l’insieme dei cloni procede nel suo percorso, c’è chi anticipa e chi ritarda, e la iniziale nuvola si allunga sempre più, trasformandosi in una sottile scia che si sgrana lungo l’orbita come una collana di perline (Fig. 2).


Fig. 2. L’incontro con la Terra del 3 Febbraio 2023, visto in proiezione sul piano dell’eclittica. La “nuvola” dei cloni rappresentante l’incertezza nella posizione prevista dell’asteroide, si è convertita in una scia sottile

Correzione di rotta e allungamento della scia

Tornando al nostro pericoloso macigno, dove sta la “correzione di rotta” di cui parla il titolo? La troviamo come conseguenza di un avvicinamento che, il 3 Febbraio 2023, porterà l’asteroide 2011 AG5 ad una distanza minima di 1,870 milioni di chilometri dalla Terra. In quella occasione, l’asteroide passerà “davanti” alla Terra, e sarà così leggermente frenato, nella sua corsa attorno al Sole, dalla attrazione gravitazionale del nostro pianeta. Ne conseguirà una piccola contrazione dell’orbita e quindi un accorciamento del suo periodo orbitale, che da 625,1 giorni calerà a 620,9 giorni (1,700 anni). In assenza di questo accorciamento del periodo orbitale, l’asteroide non ci darebbe alcun fastidio almeno fino al prossimo secolo, ma in seguito a questa “correzione di rotta” dopo 17 anni (10 periodi di rivoluzione del corpo e 17 della Terra), e quindi all’inizio di Febbraio 2040, si ritroverà nuovamente a passarci vicino.

Ma "quanto" vicino e "quanto" esattamente?

Questo non possiamo dirlo, e non possiamo nemmeno restringere l’indeterminazione entro l’arco di un milione di km come distanza o di un giorno come tempo. Ciò soprattutto perché l’incontro del Febbraio 2023 ha anche l’effetto di espandere enormemente la “nuvola” (o meglio, di allungare la “collana”) di asteroidi virtuali che rappresenta la nostra incertezza, perché nell’avvicinamento ciascun asteroide virtuale si trova a passare ad una diversa distanza dalla Terra (Fig. 2), ricevendo così una correzione di rotta leggermente differente.

Succede allora che, arrivando dopo 10 orbite al 2040, questa “scia” o collana virtuale si prolunghi fino a circa 25 milioni di km (Fig. 3), contro una lunghezza di circa 1 milione di km che avrebbe in assenza del precedente incontro.


Fig. 3. L’incontro con la Terra del 5 Febbraio 2040. La scia dei cloni, allungata di oltre 20 milioni di km nella direzione del moto dell’asteroide, sta per intersecare la Terra, che si muove lungo una traiettoria convergente con la linea dei cloni

Probabilità di Collisione

Se al momento non possiamo dire dove passerà nel 2040 l’asteroide vero, possiamo tuttavia stimare la probabilità che riceva proprio la infausta correzione che lo porti nel 2040 a collidere con la Terra. E’ quello che ho fatto io con il software EXORB, generando col “metodo Montecarlo” di cui ho parlato più sopra, 140.000 “cloni” dell’asteroide 2011AG5, e andando a vedere con SOLEX quanti di questi finivano con l’impattare la Terra. Per il mio PC è stata una faticaccia durata complessivamente 48 ore, ma alla fine sono saltati fuori 259 “impattori virtuali”, corrispondenti quindi ad una probabilità di 259/100.000 = 1/540 e confermando così il risultato ottenuto, con metodi un po’ più rapidi del mio, dal JPL e dal consorzio Neodys.

Se poi si esamina la specifica traiettoria di questi impattori virtuali (la Fig. 4 mostra la loro ultima orbita prima del virtuale impatto), si trova che si troveranno tutti a passare, il 3 Febbraio 2023, ad una distanza minima (geocentrica) dalla Terra compresa fra 1.838.074 e 1.838.445 km, quindi in una “finestra” larga 371 km, più vicina alla Terra di circa 32.000 km rispetto al punto di passaggio previsto per l’asteroide “nominale”, e all’interno di un intervallo massimo possibile di circa 400.000 km (Fig. 2).


Fig. 4. L’orbita della Terra e l’ultima orbita di un impattore virtuale, passato nella “feritoia” indicata nella Figura 2

E’ probabile che quando, nel settembre del 2013 e poi dalla primavera all’autunno del 2015, sarà di nuovo possibile osservare l’asteroide, le nuove misure consentano di ridurre l’intervallo di incertezza attorno alla posizione “nominale”, magari anche spostandola un po’ più lontano, fino al punto di lasciare fuori dal “filare” delle possibilità la finestra pericolosa. Se al contrario la nuova posizione nominale prevista per il 2023 dovesse avvicinarsi alla finestra pericolosa, altre due occasioni di affinare le previsioni si avranno nel 2018 e nel 2020, dopodiché, nell’improbabile caso di dubbio persistente, non resterà che aspettare l’incontro del 2023 per avere una risposta certa.

Se proprio ci dovesse cogliere

E’ probabile che quando, nel settembre del 2013 e poi dalla primavera all’autunno del 2015, sarà di nuovo possibile osservare l’asteroide, le nuove misure consentano di ridurre l’intervallo di incertezza attorno alla posizione “nominale”, magari anche spostandola un po’ più lontano, fino al punto di lasciare fuori dal “filare” delle possibilità la finestra pericolosa. Se al contrario la nuova posizione nominale prevista per il 2023 dovesse avvicinarsi alla finestra pericolosa, altre due occasioni di affinare le previsioni si avranno nel 2018 e nel 2020, dopodiché, nell’improbabile caso di dubbio persistente, non resterà che aspettare l’incontro del 2023 per avere una risposta certa.

Se è possibile che non si abbia una risposta certa fino al 2023, una certezza la possiamo avere fin d’ora: anche se non possiamo dire se l’asteroide ci colpirà, possiamo invece dire dove ci potrebbe colpire, ovvero dove certamente non ci colpirà. Può sembrare un paradosso, ma non è che una necessaria conseguenza della distribuzione della nostra incertezza lungo un corridoio molto stretto, e non all’interno di una nuvola diffusa nelle tre dimensioni. In altre parole, i punti di impatto degli impattori virtuali non sono distribuiti sulla superficie della Terra come una rosa circolare di pallini da caccia, ma sono invece allineati lungo una curva, corrispondente alla intersezione della scia dei possibili impattori con la superficie terrestre. Perciò si può dire fin da ora che, nella malaugurata ipotesi che l’asteroide 2004 AG5 dovesse colpire la Terra nel 2040, ciò avverrebbe fra le 3:42 e le 4:07 TU del 5 Febbraio, in un “corridoio” geografico largo non più di un centinaio di km, che passa per metà nel Pacifico, a sud dell’Equatore, poi taglia il Sud-America, attraverso il Perù meridionale, la Bolivia e il Brasile meridionale (fra Rio de Janeiro e San Paolo), passa nell’Atlantico meridionale, lambisce la punta meridionale dell’Africa, terminando infine nell’Oceano Indiano (Fig. 5).


Fig. 5. Il corridoio geografico lungo il quale è possibile la collisione con la Terra il 5 Febbraio 2040. I dischetti neri rappresentano i punti di impatto degli impattori virtuali (259 cloni su 140.000 totali). La striscia gialla dà una stima per eccesso

In realtà la previsione di un “corridoio” così stretto è inficiata dal non aver tenuto conto di una forza non-gravitazionale che, sui corpi di piccole dimensioni, riesce a farsi sentire. Si tratta dell’effetto Yarkovsky (http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Yarkovsky), dovuto al fatto che l’asteroide si riscalda in superficie per l’irraggiamento solare, e, ruotando su se stesso, irradia poi calore in una direzione diversa da quella lungo la quale lo ha assorbito. Ne deriva una minuscola spinta tangenziale, il cui ordine di grandezza è di un cinquantamilionesimo della forza attrattiva dovuta al Sole. Questa altera lievemente quella che sarebbe l’orbita dell’oggetto, tendendo progressivamente ad allargarla o a restringerla a seconda che il suo moto di rotazione avvenga nello stesso senso di quello di rivoluzione (progrado) o in senso opposto (retrogrado). Non sto qui a descrivere il metodo, per la verità un po’ complicato, con il quale ho potuto stimare quanto l’effetto Yarkovsky possa influire sulla traiettoria del nostro asteroide, ma basterà dire che il risultato finale può essere solo quello di un moderato allargamento del corridoio dei possibili impatti, da poche decine di chilometri fino al massimo qualche centinaio, e dell’allungamento di qualche minuto del possibile arco temporale, lasciando sostanzialmente inalterato il percorso sulla superficie della Terra.

In ogni caso, con o senza Yarkovsky, circa un quinto degli “impattori virtuali” vanno a cadere sul Sud America, e parte di questi anche nelle zone più densamente popolate del Brasile, perciò c’è proprio da augurarsi di potere nel giro di pochi anni cancellare del tutto questa sia pur minima prospettiva…

Note sull'autore



ldo Vitagliano è nato a Napoli nel 1948. Laureato in Chimica nel 1971, è ordinario di Chimica Generale ed Inorganica presso l’Università di Napoli Federico II, dove svolge le sue ricerche nel campo della chimica dei composti organometallici. Da quasi due decenni si interessa anche di meccanica celeste, con particolare riguardo alle applicazioni della integrazione numerica nel calcolo di effemeridi e nella determinazione e studio di orbite, per le quali ha sviluppato il software SOLEX (http://chemistry.unina.it/~alvitagl/solex/). A riconoscimento di questo lavoro gli è dedicato l’asteroide 5168 Vitagliano.
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