Gli enigmi della vita primordiale

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Gabrjel
00lunedì 5 marzo 2012 07:50
Da: centroufologicoionico.blogspot.com/2012/03/gli-enigmi-della-vita-primordi...

Quando si parla genericamente di “preistoria” e più specificamente di Paleontologia, il pensiero per molti va subito ai grandi rettili terrestri (dinosauri), rettili marini e volanti, i quali sono stati, assieme ad altre specie, dominatori incontrastati per circa 200 milioni di anni del pianeta Terra. Come se i mastodontici rettili (ma anche quelli minuscoli) fossero per davvero il simbolo dell’evoluzione estrema della vita animale. Di questi bellissimi esseri si è comunque troppo spettacolarizzato e c’è chi insinua, a sproposito, che dinosauri ed esseri umani abbiano convissuto assieme. Chi afferma ciò pecca di ignoranza basilare dal punto di vista paleontologico.
Al momento, nonostante le numerose analisi scientifiche e i numerosi studi accademici, non esiste prova che gli esseri umani abbiano convissuto all’epoca dei dinosauri, o viceversa. Questa “certezza” è solo appannaggio dei cosiddetti creazionisti o di coloro che, pur di vendere qualche libercolo e arricchirsi economicamente, sfrutta la credulità popolare per simili storie. Anche se il passato biologico terrestre è colmo di innumerevoli misteri, è comunque pressocchè assodato (fino a quando non esca qualche prova schiacciante) che l’Homo Sapiens non abbia mai incontrato nessun Tirannosaurus Rex.
Questa premessa iniziale è stata dovuta visto che qui non parleremo di dinosauri, ma di un periodo ancora più sconosciuto, ignoto, che risale agli albori del nostro pianeta, un periodo che ha portato alla nascita prima di forme di vita semplici (unicellulari) e che poi ha aperto la strada a quella complessità e specializzazione pluricellulare, le quali sin dalla loro comparsa, nel giro di circa 1 miliardo di anni, hanno inserito forme di vita sempre più differenziate, che hanno portato a quella invenzione della natura, che ha intrapreso la strada più degli scempi che quella dei benefici, ossia Homo Sapiens Sapiens.
Dicevamo periodo degli albori della vita nebuloso, che ha portato però, circa 600 milioni di anni fa, all’apparizione “improvvisa” di forme di vita multicellulari, che sembrano fuoriscite da un romanzo di Lovercraft o da un mondo extraterrestre. Ora usando un briciolo di fantasia ci rechiamo alla nostra “macchina del tempo”, entriamo dentro ed azioniamo il nostro cronografo temporale. Ed eccoci in viaggio a ritroso nel tempo, in un tempo molto antico, in un periodo dove la Terra era ai primi vagiti di vita (o quasi). Ci rechiamo indietro nel tempo di circa 4 miliardi di anni.

I primi segni di vita biologica
Per la precisione "partiamo" e arriviamo in un periodo di tre miliardi e 900 milioni di anni fa per la precisione, epoca determinante della comparsa di qualcosa di biologico. Eppure come era la Terra delle origini, nessuno avrebbe scommesso che la vita prendesse piede. Era un pianeta da “girone Dantesco”, colmo di sconvolgimenti tettonici, eruzioni vulcaniche, fulmini e impatti asteroidali e cometari. Ma anche la temperatura degli “albori” non era l’ideale, la media era di circa 70° e 80° centigradi e l’aria era irrespirabile (per i nostri canoni attuali).
Infatti l’atmosfera era colma di ammoniaca, idrogeno, metano e vapore acqueo. Per di più mancava lo strato d’ozono, che protegge attualmente dai raggi ultravioletti provenienti dal Sole, ma soprattutto mancava l’ossigeno. Eppure, nonostante tutte le avversità, apparvero le prime molecole di vita. Si formarono i primi legami chimici tra atomi, che diedero l’input alla comparsa di aminoacidi, nucleotidi e zuccheri. In altre parole erano comparsi l’RNA e il DNA, le impalcature di ogni essere vivente. Ma come ci arrivarono? Le ipotesi sono varie e passano da quella conservatrice a quella esogena, ossia che la vita abbia origini non terrestri.

Ipotesi sull’origine della vita sulla Terra
Uno dei primi scienziati che si pose la domanda su come si sia creata la vita sul nostro pianeta fu il biochimico sovietico Alexander Ivanovich Oparin. Nel sul libro “Origine della vita sulla Terra”, pubblicato nel 1936, elaborò la teoria della comparsa dei cosiddetti “coacervati”, aggregati molecolari, che nacquero nel cosiddetto “brodo primordiale”. Ipotesi quest’ultima che causò molto polemiche accademiche. Oparin ipotizzò che la comparsa dei coacervati fu il prodotto dell’atmosfera primordiale riducente, che entrando in soluzione con gli oceani primitivi, avrebbe portato alla formazione di “macromolecole”, in grado di aggregarsi grazie all’energia luminosa e a presenza di catalizzatori inorganici, come fanghi e argille.



Diciassette anni dopo, un giovane biochimico americano che portava il nome di Stanley Lloyd Miller, asserì di aver confermato la teoria di Oparin, attraverso il suo famoso esperimento di laboratorio, che aveva ricreato le condizioni primordiali del nostro pianeta. Miller e il suo docente, professor Harold Urey (premio Nobel per la chimica nel 1934 per la scoperta del deuterio), basandosi sulle idee di Oparin, crearono un apparato formato da un tubo di vetro. Questo largo tubo fu posizionato in maniera arrotolata, una posizione che ricordava un rettangolo. Dopo aver fatto ciò Miller fece scendere nel tubo dell’acqua e una miscela di gas, che si riteneva fossero gli elementi predominati della “zuppa primordiale”. Furono così immessi ammoniaca, idrogeno e metano. Fatto ciò Miller collegò degli elettrodi, in modo da creare all’interno del tubo delle scintille. Lasciò tutto così per una settimana. Una volta rientrato in laboratorio, l’esterefatto Miller, notò che si era creata una sorta di “patina”.
Analisi successive dimostrarono che quella patina era composta, tra l’altro, di due semplici aminoacidi, l’analina e la glicina. Miller non solo aveva confermato l’ipotesi di Oparin, ma aveva (a quanto pare) risolto il mistero dell’origine della vita. Ma non fu cosi.
Miller fu criticato per non aver portato nessuna evidenza scientifica su come gli aminoacidi formati si sarebbero dovuti replicare. Senza un’auto replica, la vita non sarebbe potuto esistere. Fu quindi una scarica elettrica che avrebbe creato la vita? Può darsi. E portando ciò in grandi scale, i fulmini dell’atmosfera primordiale avrebbero potuto creare i primi aminoacidi? Ipotesi scientifica plausibile, ma oggi, come nel 1953, ridimensionata. E fu così che con il passare degli anni le ipotesi divennero più intriganti, dall’RNA replicatore di Orgel alle “microsfere” di Fox, per poi arrivare, negli anni ’80 del secolo scorso, alla teoria di Graham Cairns Smith. Il ricercatore scozzese ipotizzò che i primi organismi viventi terrestri fossero composti, anzichè di una struttura ad atomi di carbonio, di atomi al silicio, o meglio una specie di essere composto da cristalli di biossido di silicio. Ma non mancarono le ipotesi più estreme, ossia che la vita sulla Terra è di origini extraterrestri.
Nel XX° secolo il primo ricercatore ad aver ipotizzato una strada del genere fu Svante August Arrhenius. Il chimico e fisico svedese, premio Nobel per la chimica nel 1903 per la teorie sul trasferimento di ioni, visti come responsabili del passaggio di elettricità. Ma anche il primo precursore credibile della cosiddetta “panspermia”. Arrhenius ipotizzò che la vita sulla Terra fosse arrivata attraverso delle spore, che avrebbero inseminato l’universo attraverso la pressione della radiazione stellare. Poi ci furono Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe che ipotizzarono che il codice della vita (DNA) fosse stato portato sulla Terra e su altri corpi celesti tramite comete ed asteroidi. E infine Francis Crick (premio Nobel per la scoperta dell’elica del DNA) e Leslie Orgel ipotizzarono la cosiddetta ipotesi della “panspermia teleguidata”, ossia pensarono che una distante civiltà, sviluppatasi all’esterno del nostro Sistema Solare, in via d’estinzione, mandò forme di vita primitive in ogni direzione dell’universo, nella speranza che esse raggiungessero altri pianeti adatti alla vita. Qualunque cosa sia successo nei primordi della Terra, resta il fatto che la vita un bel giorno arrivò. Portando, col passare dei milioni di anni, a forme di vita sempre più complesse, come quella che apparve circa 600 milioni di anni fa.

Gli animali “extraterrestri” dei primordi
In questo periodo temporale denominato Cambriano (primo periodo dell’era Paleozoica) avvenne una misteriosa “esplosione” di vita animale complessa. Nessuno riesce ancora a spiegare questa improvvisa apparizione, ma avvenne.
Questa “esplosione” segnò l’avvento di tutti i gruppi principali (i cosiddetti “Phyla”) di animali moderni in un tempo geologicamente minimo, non ancora compreso. Sembrerebbe una sorta di “miracolo”, ma qui si parla di avvento certo e non “metafisico”. La stragrande maggioranza di queste prove si trovano nei cosiddetti “Argilloscisti di Burgess”.
Questo luogo, che si trova sopra il Mount Burgess, è denominato in questo modo a causa di un enorme giacimento di argillite scura, che costituisce un giacimento fossilifero sulle cime delle Montagne Rocciose del Canada (Columbia Britannica). La cosiddetta “Argillite di Burgess” fu scoperta per la prima volta da Charles Dolittle Walkott nel 1909. Furono ritrovati fossili unici nel loro genere, fossili anche di “sole” parti molli, senza esoscheletri o corazze varie. Questo rende unico il sito.
Ma la scoperta iniziale non fu capita, ma fu compresa molti decenni dopo, quando negli anni 80 del secolo scorso una reinvestigazione fatta da scienziati dell’Università di Cambridge concluse che gli animali era cosi complessi e differenziati e che molti di questi non si sono più ripetuti. E questi ultimi erano degli esseri che, visti con gli occhi di oggi, sembrano animali arrivati da altri pianeti. Tra i più strani ne cito due, Opabinia ed Hallucigenia.



Il primo era composto da 5 occhi che ricordano la forma di piccoli funghi. Il suo corpo era segmentato e terminava con due timoni verticali. Ma l’aspetto più sconvolgente di questo essere era quello che fu in possesso di un lungo tentacolo, che partendo dalla testa terminava con una bocca irta di zanne, simile ad una tagliola. Un animale che neanche i più fervidi romanzieri di fantascienza avrebberero mai immaginato. L’altro animale era ancora più strano. Quando fu trovato per la prima volta il suo resto fossile, fu coniato il nome di Hallucigenia per il suo aspetto da “allucinazione”. Un essere così strano non si era mai visto. Era composto da quattordici trampoli (a mò di stecchino) e delle piccole proboscidi, disposte a fila. Il corpo ricordava una specie di salsicciotto. Ancora oggi esiste una diatriba su come questo essere potesse camminare.



E ora spostiamoci, con la fantasia, oltre la Terra. Queste specie viventi, cosi strane, possono teoricamente vivere in altri corpi celesti? Tutto è possibile. Se qui non si sono più ripetuti, non è detto che su altri pianeti la sorte sia stata identica. Ricordiamoci il caso, di qualche anni fa, della presunta scoperta di un ipotetico fossile, trovato su Marte e che ricordava un “crinoide”. Notizia che fu approfondiata anche in Italia dalla rivista “Newton”, grazie al prezioso supporto dell’esobiologa Sabrina Munoz. Quindi se un bel giorno trovassimo prove incontrovertibili di vita vivente e passata su altri corpi celesti, oltre ad essere la scoperta più importante di tutta l’umanità, sarebbe anche la prova che l’evoluzione biologica è un dato di fatto scientifico, che con innumerevoli differenziazioni fisiche è riuscita ad adattarsi a quel tipo di ambiente. E se sulla Terra, Opabinia ed Hallucigenia (ma anche altri) non ce l’hanno fatta, non è detto che in un ambiente più favorevole non sia potuto accadere.

Per concludere, se un bel giorno trovassimo su un pianeta un fossile del genere, non gridiamo subito all’extraterrestre davvero tale. Basta pensare che quell’essere, 600 milioni di anni fa circa, era qui da noi. Allora sorge l’annosa domanda: gli alieni sono tra già noi? Misteri ancora nebulosi, come quelli affascinanti della vita primordiale delle origini.
sgittario
00lunedì 5 marzo 2012 10:25
Re:
Gabrjel, 05/03/2012 07.50:

Da: centroufologicoionico.blogspot.com/2012/03/gli-enigmi-della-vita-primordi...

Quando si parla genericamente di “preistoria” e più specificamente di Paleontologia, il pensiero per molti va subito ai grandi rettili terrestri (dinosauri), rettili marini e volanti, i quali sono stati, assieme ad altre specie, dominatori incontrastati per circa 200 milioni di anni del pianeta Terra. Come se i mastodontici rettili (ma anche quelli minuscoli) fossero per davvero il simbolo dell’evoluzione estrema della vita animale. Di questi bellissimi esseri si è comunque troppo spettacolarizzato e c’è chi insinua, a sproposito, che dinosauri ed esseri umani abbiano convissuto assieme. Chi afferma ciò pecca di ignoranza basilare dal punto di vista paleontologico.
Al momento, nonostante le numerose analisi scientifiche e i numerosi studi accademici, non esiste prova che gli esseri umani abbiano convissuto all’epoca dei dinosauri, o viceversa. Questa “certezza” è solo appannaggio dei cosiddetti creazionisti o di coloro che, pur di vendere qualche libercolo e arricchirsi economicamente, sfrutta la credulità popolare per simili storie. Anche se il passato biologico terrestre è colmo di innumerevoli misteri, è comunque pressocchè assodato (fino a quando non esca qualche prova schiacciante) che l’Homo Sapiens non abbia mai incontrato nessun Tirannosaurus Rex.
Questa premessa iniziale è stata dovuta visto che qui non parleremo di dinosauri, ma di un periodo ancora più sconosciuto, ignoto, che risale agli albori del nostro pianeta, un periodo che ha portato alla nascita prima di forme di vita semplici (unicellulari) e che poi ha aperto la strada a quella complessità e specializzazione pluricellulare, le quali sin dalla loro comparsa, nel giro di circa 1 miliardo di anni, hanno inserito forme di vita sempre più differenziate, che hanno portato a quella invenzione della natura, che ha intrapreso la strada più degli scempi che quella dei benefici, ossia Homo Sapiens Sapiens.
Dicevamo periodo degli albori della vita nebuloso, che ha portato però, circa 600 milioni di anni fa, all’apparizione “improvvisa” di forme di vita multicellulari, che sembrano fuoriscite da un romanzo di Lovercraft o da un mondo extraterrestre. Ora usando un briciolo di fantasia ci rechiamo alla nostra “macchina del tempo”, entriamo dentro ed azioniamo il nostro cronografo temporale. Ed eccoci in viaggio a ritroso nel tempo, in un tempo molto antico, in un periodo dove la Terra era ai primi vagiti di vita (o quasi). Ci rechiamo indietro nel tempo di circa 4 miliardi di anni.

I primi segni di vita biologica
Per la precisione "partiamo" e arriviamo in un periodo di tre miliardi e 900 milioni di anni fa per la precisione, epoca determinante della comparsa di qualcosa di biologico. Eppure come era la Terra delle origini, nessuno avrebbe scommesso che la vita prendesse piede. Era un pianeta da “girone Dantesco”, colmo di sconvolgimenti tettonici, eruzioni vulcaniche, fulmini e impatti asteroidali e cometari. Ma anche la temperatura degli “albori” non era l’ideale, la media era di circa 70° e 80° centigradi e l’aria era irrespirabile (per i nostri canoni attuali).
Infatti l’atmosfera era colma di ammoniaca, idrogeno, metano e vapore acqueo. Per di più mancava lo strato d’ozono, che protegge attualmente dai raggi ultravioletti provenienti dal Sole, ma soprattutto mancava l’ossigeno. Eppure, nonostante tutte le avversità, apparvero le prime molecole di vita. Si formarono i primi legami chimici tra atomi, che diedero l’input alla comparsa di aminoacidi, nucleotidi e zuccheri. In altre parole erano comparsi l’RNA e il DNA, le impalcature di ogni essere vivente. Ma come ci arrivarono? Le ipotesi sono varie e passano da quella conservatrice a quella esogena, ossia che la vita abbia origini non terrestri.

Ipotesi sull’origine della vita sulla Terra
Uno dei primi scienziati che si pose la domanda su come si sia creata la vita sul nostro pianeta fu il biochimico sovietico Alexander Ivanovich Oparin. Nel sul libro “Origine della vita sulla Terra”, pubblicato nel 1936, elaborò la teoria della comparsa dei cosiddetti “coacervati”, aggregati molecolari, che nacquero nel cosiddetto “brodo primordiale”. Ipotesi quest’ultima che causò molto polemiche accademiche. Oparin ipotizzò che la comparsa dei coacervati fu il prodotto dell’atmosfera primordiale riducente, che entrando in soluzione con gli oceani primitivi, avrebbe portato alla formazione di “macromolecole”, in grado di aggregarsi grazie all’energia luminosa e a presenza di catalizzatori inorganici, come fanghi e argille.



Diciassette anni dopo, un giovane biochimico americano che portava il nome di Stanley Lloyd Miller, asserì di aver confermato la teoria di Oparin, attraverso il suo famoso esperimento di laboratorio, che aveva ricreato le condizioni primordiali del nostro pianeta. Miller e il suo docente, professor Harold Urey (premio Nobel per la chimica nel 1934 per la scoperta del deuterio), basandosi sulle idee di Oparin, crearono un apparato formato da un tubo di vetro. Questo largo tubo fu posizionato in maniera arrotolata, una posizione che ricordava un rettangolo. Dopo aver fatto ciò Miller fece scendere nel tubo dell’acqua e una miscela di gas, che si riteneva fossero gli elementi predominati della “zuppa primordiale”. Furono così immessi ammoniaca, idrogeno e metano. Fatto ciò Miller collegò degli elettrodi, in modo da creare all’interno del tubo delle scintille. Lasciò tutto così per una settimana. Una volta rientrato in laboratorio, l’esterefatto Miller, notò che si era creata una sorta di “patina”.
Analisi successive dimostrarono che quella patina era composta, tra l’altro, di due semplici aminoacidi, l’analina e la glicina. Miller non solo aveva confermato l’ipotesi di Oparin, ma aveva (a quanto pare) risolto il mistero dell’origine della vita. Ma non fu cosi.
Miller fu criticato per non aver portato nessuna evidenza scientifica su come gli aminoacidi formati si sarebbero dovuti replicare. Senza un’auto replica, la vita non sarebbe potuto esistere. Fu quindi una scarica elettrica che avrebbe creato la vita? Può darsi. E portando ciò in grandi scale, i fulmini dell’atmosfera primordiale avrebbero potuto creare i primi aminoacidi? Ipotesi scientifica plausibile, ma oggi, come nel 1953, ridimensionata. E fu così che con il passare degli anni le ipotesi divennero più intriganti, dall’RNA replicatore di Orgel alle “microsfere” di Fox, per poi arrivare, negli anni ’80 del secolo scorso, alla teoria di Graham Cairns Smith. Il ricercatore scozzese ipotizzò che i primi organismi viventi terrestri fossero composti, anzichè di una struttura ad atomi di carbonio, di atomi al silicio, o meglio una specie di essere composto da cristalli di biossido di silicio. Ma non mancarono le ipotesi più estreme, ossia che la vita sulla Terra è di origini extraterrestri.
Nel XX° secolo il primo ricercatore ad aver ipotizzato una strada del genere fu Svante August Arrhenius. Il chimico e fisico svedese, premio Nobel per la chimica nel 1903 per la teorie sul trasferimento di ioni, visti come responsabili del passaggio di elettricità. Ma anche il primo precursore credibile della cosiddetta “panspermia”. Arrhenius ipotizzò che la vita sulla Terra fosse arrivata attraverso delle spore, che avrebbero inseminato l’universo attraverso la pressione della radiazione stellare. Poi ci furono Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe che ipotizzarono che il codice della vita (DNA) fosse stato portato sulla Terra e su altri corpi celesti tramite comete ed asteroidi. E infine Francis Crick (premio Nobel per la scoperta dell’elica del DNA) e Leslie Orgel ipotizzarono la cosiddetta ipotesi della “panspermia teleguidata”, ossia pensarono che una distante civiltà, sviluppatasi all’esterno del nostro Sistema Solare, in via d’estinzione, mandò forme di vita primitive in ogni direzione dell’universo, nella speranza che esse raggiungessero altri pianeti adatti alla vita. Qualunque cosa sia successo nei primordi della Terra, resta il fatto che la vita un bel giorno arrivò. Portando, col passare dei milioni di anni, a forme di vita sempre più complesse, come quella che apparve circa 600 milioni di anni fa.

Gli animali “extraterrestri” dei primordi
In questo periodo temporale denominato Cambriano (primo periodo dell’era Paleozoica) avvenne una misteriosa “esplosione” di vita animale complessa. Nessuno riesce ancora a spiegare questa improvvisa apparizione, ma avvenne.
Questa “esplosione” segnò l’avvento di tutti i gruppi principali (i cosiddetti “Phyla”) di animali moderni in un tempo geologicamente minimo, non ancora compreso. Sembrerebbe una sorta di “miracolo”, ma qui si parla di avvento certo e non “metafisico”. La stragrande maggioranza di queste prove si trovano nei cosiddetti “Argilloscisti di Burgess”.
Questo luogo, che si trova sopra il Mount Burgess, è denominato in questo modo a causa di un enorme giacimento di argillite scura, che costituisce un giacimento fossilifero sulle cime delle Montagne Rocciose del Canada (Columbia Britannica). La cosiddetta “Argillite di Burgess” fu scoperta per la prima volta da Charles Dolittle Walkott nel 1909. Furono ritrovati fossili unici nel loro genere, fossili anche di “sole” parti molli, senza esoscheletri o corazze varie. Questo rende unico il sito.
Ma la scoperta iniziale non fu capita, ma fu compresa molti decenni dopo, quando negli anni 80 del secolo scorso una reinvestigazione fatta da scienziati dell’Università di Cambridge concluse che gli animali era cosi complessi e differenziati e che molti di questi non si sono più ripetuti. E questi ultimi erano degli esseri che, visti con gli occhi di oggi, sembrano animali arrivati da altri pianeti. Tra i più strani ne cito due, Opabinia ed Hallucigenia.



Il primo era composto da 5 occhi che ricordano la forma di piccoli funghi. Il suo corpo era segmentato e terminava con due timoni verticali. Ma l’aspetto più sconvolgente di questo essere era quello che fu in possesso di un lungo tentacolo, che partendo dalla testa terminava con una bocca irta di zanne, simile ad una tagliola. Un animale che neanche i più fervidi romanzieri di fantascienza avrebberero mai immaginato. L’altro animale era ancora più strano. Quando fu trovato per la prima volta il suo resto fossile, fu coniato il nome di Hallucigenia per il suo aspetto da “allucinazione”. Un essere così strano non si era mai visto. Era composto da quattordici trampoli (a mò di stecchino) e delle piccole proboscidi, disposte a fila. Il corpo ricordava una specie di salsicciotto. Ancora oggi esiste una diatriba su come questo essere potesse camminare.



E ora spostiamoci, con la fantasia, oltre la Terra. Queste specie viventi, cosi strane, possono teoricamente vivere in altri corpi celesti? Tutto è possibile. Se qui non si sono più ripetuti, non è detto che su altri pianeti la sorte sia stata identica. Ricordiamoci il caso, di qualche anni fa, della presunta scoperta di un ipotetico fossile, trovato su Marte e che ricordava un “crinoide”. Notizia che fu approfondiata anche in Italia dalla rivista “Newton”, grazie al prezioso supporto dell’esobiologa Sabrina Munoz. Quindi se un bel giorno trovassimo prove incontrovertibili di vita vivente e passata su altri corpi celesti, oltre ad essere la scoperta più importante di tutta l’umanità, sarebbe anche la prova che l’evoluzione biologica è un dato di fatto scientifico, che con innumerevoli differenziazioni fisiche è riuscita ad adattarsi a quel tipo di ambiente. E se sulla Terra, Opabinia ed Hallucigenia (ma anche altri) non ce l’hanno fatta, non è detto che in un ambiente più favorevole non sia potuto accadere.

Per concludere, se un bel giorno trovassimo su un pianeta un fossile del genere, non gridiamo subito all’extraterrestre davvero tale. Basta pensare che quell’essere, 600 milioni di anni fa circa, era qui da noi. Allora sorge l’annosa domanda: gli alieni sono tra già noi? Misteri ancora nebulosi, come quelli affascinanti della vita primordiale delle origini.




sgittario
00lunedì 5 marzo 2012 11:41
Nel rispetto dell’autore dell’articolo permettermi di dire la mia in proposito che ho approfondito per anni questi argomenti, legati alla paleontologia, geologia ed in alcuni casi alla biologia.
Purtroppo il difetto più grande della scienza è la troppa specializzazione in ogni campo, per cui non ci si confronta su dati comuni ma si tiene a coltivare il proprio orticello, con il risultato che spesso la destra non sa che fa la sinistra.
Il discorso sull’evoluzione è molto ampio, ma vorrei comunque segnalare alcuni punti.
Sui dinosauri c’è ancora molto da capire, nonostante si dia “quasi tutto” per appurato.
Come sappiamo dai procedimenti di fossilizzazione, le prime parti di un organismo che spariscono in fretta sono i tessuti molli. Ebbene, tra il 2008 ed il 2009 sono stati trovati ossa di Trex e di un Adrosauro (mi sembra uno nel Montana e l’altro nel Dakota) con una sequenza di proteine, cioè tessuti molli, precisamente collagene.
Alla scoperta tutti a dire naturalmente che ciò non è possibile e che c’erano degli errori di laboratorio. Al fine di verificare questo, sono stati incaricati due diversi laboratori che hanno portato allo stesso risultato.
Di fronte all’evidenza che hanno pensato i paleontologi? Di ammettere che anche i tessuti molli possono conservarsi per decine di milioni anni. Del resto come facevano a dire che quei rettili erano arrivati fin quasi ai giorni nostri? (Carriera stroncata….)
Comunque c’è chi si è preso la briga di fare un controllo al C14, i cui risultati naturalmente non sono stati divulgati. Immaginate perché? Si vocifera di circa 30.000 anni fa! Se questo è vero bisogna anche dire che il metodo del C14 non va bene.
Se vi interessa l’argomento cercate sulla rete “Quel pollo del Trex”.
Parliamo anche per un attimo delle “false” pietre di Ica.
Dalle analisi documentate dei laboratori degli Istituti mineralogici di Lima, Madrid e Berlino le incisioni sulle innumerevoli pietre campionate hanno portato al risultato di “almeno” 12.000 anni. Preciso che tutti i laboratori hanno fornito lo stesso risultato. L’archeologia ufficiale, prendendo spunto da quanto dichiarato dai due campesinos che dovrebbero averle incise (circa 20.000 fino ad oggi), ma senza effettuare nessun tipo di contro analisi scientifica, snobbano la cosa. Inoltre, al fine di invecchiare le pietre, i due le hanno tenute per circa sei mesi in un pollaio (così hanno dichiarato) e che le figure erano state copiate dai giornali (mai saputo quali).
Se mettendo delle pietre in un pollaio riusciamo ad ottenere questi dati ed a fregare con questa facilità i laboratori…..
In una lettera scritta dagli studenti di archeologia di Lima al Dr. Cabrera quando era ancora vivo, gli dimostravano tutta la loro comprensione sulla veridicità di quelle pietre, ma loro NON potevano ammetterlo perché altrimenti avrebbero avuto delle conseguenze di carriera accademica.
Io credo che se ciascuno di noi guardasse quelle pietre con un pò di attenzione e senza pregiudizi, vedrebbe subito che le raffigurazioni son troppo precise per dei contadini e non solo (fatte con un seghetto) e che nessun giornale potrebbe essersi inventato tutte quelle immagini. Per chi come me ha seguito da vicino la vicenda, sono talmente tante, variegate e complesse che mi resta molto difficile accettare come false, anzi direi impossibile. Sicuramente delle imitazioni ci sono state e di quelle più semplici, ma comunque prese dalle originali.
Personalmente ritengo che la ricerca deve andare all’unisono, assemblando le ricerche dei diversi settori coinvolti e non lavorare a compartimenti stagni. Perché poi si cade nelle trappole come questa in cui è caduto anche, in buona fede ma con troppa sicurezza, il buon Antonio de Comite.
Come vedete dobbiamo imparare molto ancora…..
eone nero
00lunedì 5 marzo 2012 15:50
Ho trovato questo articolo in un interessante sito dedicato alle creature strane, curato dalla Dott.ssa Lisa Signorile, che ringrazio per il lavoro fatto.

www.lorologiaiomiope.com/about/


Il pet di Cthulhu: il mistero dell’allucinante Hallucigenia

Anno 550.000.000 a.C (circa): Le terre emerse hanno un aspetto e una posizione molto diversi dall’attuale. Il Canada, ad esempio, era parte di un continente chiamato Laurentia che comprendeva grosso modo l’attuale nord-America e si trovava poco piu’ a sud dell’Equatore. In questi caldi mari canadesi, laddove oggi c’e’ la gelida baia di Hudson, la terra emersa scendeva verticalmente per centinaia di metri in una profonda scogliera. In questo mare tropicale vivevano antichi organismi pluricellulari, diversissimi tra loro. Di questi, alcuni hanno dato origine agli animali attualmente viventi (tra cui la pikaia, un cordato possibilmente nostro antenato); altri invece si sono estinti per sempre, soccombendo alla lotta per la sopravvivenza del piu’ adatto. Insomma, una specie di laboratorio di biologia marina ante-litteram per lo studio applicato delle regole dell’evoluzione.

Anno 545.000.000-525.000.000 a.C. (Circa): le terre emerse sono deserte e completamente disabitate, non c’e’ vegetazione e il suolo e’ soggetto ad un’intensa erosione da parte degli agenti esogeni. Di tanto in tanto, percio’, si verifica una frana che trascina fango e altri detriti finissimi giu’ negli abissi marini. Una di queste frane riempie il mare in corrispondenza della nostra scogliera in Canada, uccidendo di colpo moltissimi degli strani organismi marini che vi abitavano e consentendo, per via dell’assenza di ossigeno, la fossilizzazione anche dei loro tessuti molli. Un fenomeno simile avviene piu’ o meno contemporaneamente (un po prima) anche dall’altro lato del mondo, in quella che e’ oggi la valle di Chengjiang nella Cina centro-meridionale.

Anno 1909. Narra la leggenda che il cavallo della moglie del paleontologo Charles Doolittle Walcott dello Smithsonian Institute si sia fermato di colpo davanti ad una pietra. Il ricercatore, sceso da cavallo, avrebbe spaccato questa roccia trovando il primo fossile di quelle che oggi sono le famosissime argilloscisti di Burgess, patrimonio dell’umanita’ secondo l’UNESCO, e che hanno rivelato finora circa 60.000 fossili, di cui molti di artropodi assolutamente unici. In pratica, cio’ che rimane degli animali morti nella frana paleozoica di cui sopra. Secondo S.J. Gould nel suo “La vita e’ meravigliosa” in realta’ non e’ andata proprio cosi, ma a volte e’ interessante ricordare anche le leggende che circondano le grandi scoperte.

Anno 1977: Simon Conway-Morris, un giovane e ambizioso paleontologo all’epoca, scopre tra i fossili di Burgess, nei cassetti dello Smithsonian Institute dove giacciono i fossili trovati da Walcott, una strana bestiola, questa, per la precisione:



L’animale era davvero insolito, con una “bizarre, dream-like appearance” come il suo scopritore lo descrisse spiegando il motivo dell’insolito nome attribuitogli, Hallucigenia: una testa bulbosa priva di organi di senso, una “coda” mobile e flessibile, un corpo tubulare supportato da sette coppie di spine per camminare, prive di articolazioni, e sette tentacoli carnosi sul dorso ciascuno terminante con una coppia di chele (che servivano per alimentarsi), piu’ sei tentacoli piu’ piccoli sul davanti. Una bestia davvero allucinante.


Da: www.ihs.issaquah.wednet.edu

Uno dei principali problemi relativi alla descrizione di Conway-Morris era capire come l’Hallucigenia, sebbene piccola e leggera coi suoi circa 3 cm di lunghezza, potesse camminare su spine non articolate, un’assoluta stranezza nel regno animale. Il paleontologo fornì una spiegazione costruendo un modello, ma era poco credibile. Conway-Morris stesso, in effetti, si rendeva conto della inverosimiglianza della sua ricostruzione, ma obiettava che camminare su un’unica fila di tentacoli sarebbe stato altrettanto improponibile.

Una spiegazione alternativa era sostenuta da altri da scienziati, tra cui alcuni del calibro di S. J. Gould, che proposero che questa bizzarra creatura fosse in realta’ non un animale, ma un pezzo di tentacolo di un animale piu’ grande, come si era gia’ scoperto essere vero per un altro fossile di Burgess, Anomalocaris, ma non si sono mai trovate prove che confermassero questa ipotesi (tutti i fossili di Hallucigenia sono individui isolati). Nel dubbio l’Hallucigenia sparsa, questo il nome specifico dato al fossile, fu classificata tra i Lobopodia, un clade in cui c’era di tutto un po’.

Una possibile brillante soluzione al problema provenne da uno scienziato svedese, Lars Ramsköld, un ex-dentista poi diventato paleontologo per passione. Dopo aver esaminato nei vari musei i fossili di Hallucigenia, lo svedese si convinse che l’animale andava guardato al contrario, cioe’ cosi’:


foto da: gsc.nrcan.gc.ca

Ramsköld, lavorando col collega cinese Hou Xianguang, capovolse il fossile, ritenendo che la doppia fila di sette spine andasse sul dorso e avesse funzione protettiva, mentre i tentacoli dovevano essere zampe e per tanto essere pari, cioe’ 14 in tutto. Riteneva inoltre che la testa bulbosa non fosse altro che una macchia su alcuni dei fossili. Per provare la sua ipotesi aveva bisogno di mettere le mani su uno dei fossili e cercare la seconda fila di zampe scrostando parte dell’argilla per vedere cosa c’era sotto. Come grattare via un pezzo di Gioconda per vedere se sotto c’e’ un altro disegno di Leonardo, insomma.


Disegno originale di Ramskold con la sua ricostruzione di Hallucigenia

Fortunatamente per Ramsköld, Stephen J. Gould in persona intercesse per lui e gli presto’ i fossili di Hallucigenia conservati al museo di Harvard, come racconta qui lo stesso Gould. Sembrerebbe che il secondo paio di zampe sia stato individuato, ma non e’ quello il punto.

n Europa orientale (Russia e Svezia) e’ stato trovato qualcosa di simile, Xenusion, con spine piu’ corte di Hallucigenia e due file di tentacoli su cui camminare, ed e’ considerato un Onicoforo. Nelle argilloscisti cinesi e’ stato trovato un animale simile, Mycrodiction, con placche rigide ai lati invece che spine e che camminava sui tentacoli (considerato un Lobopode). Al termine di questa successione ci sarebbe Aysheaia, che ha due file di tentacoli ma nessuna difesa, ne’ spine ne’ placche.

In pratica, una sequenza evolutiva pressoche’ completa. Non ci sono dubbi sull’appartenenza filogenetica dell’Aysheaia: e’ certamente un onicoforo, un phylum tuttora esistente di invertebrati terrestri simili a millepiedi e rappresentati oggi da 90 specie. Gli Onycophora, come dice il nome, hanno unghiette alla fine di ogni zampetta carnosa esattamente uguali, tranne che per il numero, alle piccole chele al termine dei tentacoli sulla schiena di Hallucigenia nella ricostruzione di Conway-Morris. Cio’ porrebbe Hallucigenia quindi tra gli onicofori e risolverebbe il mistero.

Rimane un solo dubbio.

Questa e’ Aysheaia:


Ayheaia con due file di zampe. Foto da: www.pbs.org

Perche’ dei 30 fossili esitenti di Hallucigenia nessuno mostra le due file di zampe, come succede invece con gli altri onicofori fossili? E perche’ lo studio di Ramskold non e’ mai stato considerato assolutamente risolutivo? Il mistero continua…



Fonte: www.lorologiaiomiope.com/il-pet-di-cthulhu-il-mistero-dellallucinante-hallu...



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