L'universo olografico

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eone nero
00martedì 29 novembre 2011 12:57
DR. Richard Boylan

Le teorie di Aspect, Bohm, Pribram sulla nuova fisica scuotono i principi della scienza tradizionale: dalle particelle subatomiche alle galassie giganti, tutto è parte infinitesimale e totalità di "Tutto".

Nel 1982 un'équipe di ricerca dell'Università di Parigi, diretta dal fisico Alain Aspect, condusse forse il più importante esperimento del 20º secolo. Aspect ed il suo team scoprirono che, sottoponendo a determinate condizioni delle particelle subatomiche come gli elettroni, esse sono capaci di comunicare istantaneamente una con l'altra indipendentemente dalla distanza che le separa, sia che si tratti di 10 metri o di 10 miliardi di chilometri. Come se ogni singola particella sappia esattamente cosa stiano facendo tutte le altre.

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Un fenomeno che può essere spiegato solo in due modi: o la teoria di Einstein - che esclude la possibilità di comunicazioni più veloci della luce - è da considerarsi errata, oppure le particelle subatomiche sono connesse non-localmente.

La maggior parte dei fisici nega la possibilità di fenomeni che oltrepassino la velocità della luce, ma l'esperimento di Aspect rivoluziona il postulato, provando che il legame tra le particelle subatomiche è effettivamente di tipo non-locale. David Bohm, celebre fisico dell'Università di Londra recentemente scomparso, sosteneva che le scoperte di Aspect implicassero la non-esistenza della realtà oggettiva. Vale a dire che, nonostante la sua apparente solidità, l'Universo è in realtà un fantasma, un ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato.

OLOGRAMMI, LA PARTE, IL TUTTO

Per capire la sbalorditiva affermazione di Bohm gettiamo uno sguardo alla natura degli ologrammi. Un ologramma è una fotografia tridimensionale prodotta con l'aiuto di un laser: l'oggetto da fotografare viene prima immerso nella luce di un raggio laser, poi un secondo raggio laser viene fatto rimbalzare sulla luce riflessa del primo e lo schema risultante dalla zona di interferenza dove i due raggi si incontrano viene impresso sulla pellicola fotografica. Quando la pellicola viene sviluppata risulta visibile solo un intrico di linee chiare e scure ma, illuminata da un altro raggio laser, ecco apparire il soggetto originale. La tridimensionalità non è l'unica caratteristica interessante degli ologrammi: se l'ologramma di una rosa viene tagliato a metà e poi illuminato da un laser, si scopre che ciascuna metà contiene ancora l'intera immagine della rosa. Anche continuando a dividere le due metà, vedremo che ogni minuscolo frammento di pellicola conterrà sempre una versione più piccola, ma intatta, della stessa immagine.

Diversamenete dalle normali fotografie, ogni parte di un ologramma contiene tutte le informazioni possedute dall'ologramma integro. Si schiude così una nuova comprensione dei concetti di organizzazione e di ordine.

LA RANA, L'ATOMO, LA ROSA

Per quasi tutto il suo corso la scienza occidentale ha agito sotto il preconcetto che il modo migliore di capire un fenomeno fisico, che si trattasse di una rana o di un atomo, era quello di sezionarlo e di studiarne le varie parti. Gli ologrammi ci insegnano che alcuni fenomeni possono esulare da tale approccio. Bohm lo intuì, aprendo una strada alla comprensione della scoperta del professor Aspect.

Per Bohm il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa risiede nel fatto che la loro separazione è un'illusione. Era infatti convinto che, ad un livello di realtà più profondo, tali particelle non sono entità individuali, ma estensioni di uno stesso "organismo" fondamentale. Bohm semplificava con un esempio: immaginate un acquario contenente un pesce. Immaginate che l'acquario non sia visibile direttamente, ma solo attraverso due telecamere, una posizionata frontalmente e l'altra lateralmente rispetto all'acquario.

Guardando i due monitor televisivi possiamo pensare che i pesci siano due entità separate, la differente posizione delle telecamere ci darà infatti due immagini lievemente diverse. Ma, continuando ad osservare i due pesci, alla fine ci accorgeremo che vi è un certo legame tra loro: quando uno si gira, anche l'altro si girerà; quando uno guarda di fronte a sé, l'altro guarderà lateralmente. Essendo all'oscuro dello scopo reale dell'esperimento, potremmo credere che i due pesci comunichino tra loro, istantaneamente e misteriosamente. Secondo Bohm il comportamento delle particelle subatomiche indica che esiste un livello di realtà del quale non siamo consapevoli, una dimensione che oltrepassa la nostra. Se le particelle subatomiche ci appaiono separate è perché siamo capaci di vedere solo una porzione della loro realtà, esse non sono "parti" separate bensì sfaccettature di un'unità più profonda e basilare, che risulta infine altrettanto olografica ed indivisibile quanto la nostra rosa. E poiché ogni cosa nella realtà fisica è costituita da queste "immagini", ne consegue che l'Universo stesso è una proiezione, un ologramma.

IL MAGAZZINO COSMICO

Oltre alla sua natura illusoria, questo universo avrebbe altre caratteristiche stupefacenti: se la separazione tra le particelle subatomiche è solo apparente, ciò significa che, ad un livello più profondo, tutte le cose sono infinitamente collegate. Gli elettroni di un atomo di carbonio del cervello umano sono connessi alle particelle subatomiche che costituiscono ogni salmone che nuota, ogni cuore che batte ed ogni stella che brilla nel cielo. Tutto compenetra tutto. Sebbene la natura umana cerchi di categorizzare, classificare e suddividere i vari fenomeni, ogni suddivisione risulta necessariamente artificiale e tutta la natura non è altro che una immensa rete ininterrotta.


In un universo olografico persino il tempo e lo spazio non sarebbero più dei principi fondamentali. Concetti come la località vengono infranti in un universo dove nulla è veramente separato dal resto, sicché anche il tempo e lo spazio tridimensionale (come le immagini del pesce sui monitor TV) dovrebbero venire interpretati come semplici proiezioni di un sistema più complesso. Al suo livello più profondo la realtà non è altro che una sorta di super-ologramma dove il passato, il presente ed il futuro coesistono simultaneamente. Disponendo degli strumenti appropriati un giorno potremmo spingerci entro quel livello della realtà e cogliere delle scene del nostro passato da lungo tempo dimenticato. Cos'altro possa contenere il super-ologramma resta una domanda senza risposta. In via ipotetica, ammettendo che esso esista, dovrebbe contenere ogni singola particella subatomica che sia, che sia stata e che sarà, nonché ogni possibile configurazione di materia ed energia: dai fiocchi di neve alle stelle, dalle balene ai raggi gamma. Dovremmo immaginarlo come una sorta di magazzino cosmico di Tutto-ciò-che-Esiste. Bohm si era addirittura spinto a supporre che il livello super-olografico della realtà potrebbe non essere altro che un semplice stadio intermedio oltre il quale si celerebbe un'infinità di ulteriori sviluppi.


Poichè il termine ologramma si riferisce di solito ad una immagine statica che non coincide con la natura dinamica e perennemente attiva del nostro universo, Bohm preferiva descrivere l'Universo col termine "olomovimento". Affermare che ogni singola parte di una pellicola olografica contiene tutte le informazioni in possesso della pellicola integra significa semplicemente dire che l'informazione è distribuita non-localmente. Se è vero che l'Universo è organizzato secondo principi olografici, si suppone che anch'esso abbia delle proprietà non-locali e quindi ogni particella esistente contiene in se stessa l'immagine intera. Dato il presupposto, tutte le manifestazioni della vita provengono da un'unica fonte di causalità che include ogni atomo dell'Universo. Dalle particelle subatomiche alle galassie giganti, tutto è allo stesso tempo parte infinitesimale e totalità di "tutto".

MILIARDI DI INFORMAZIONI

Lavorando nel campo della ricerca sulle funzioni cerebrali, anche il neurofisiologo Karl Pribram, dell'Università di Stanford, si è convinto della natura olografica della realtà. Numerosi studi, condotti sui ratti negli anni '20, avevano dimostrato che i ricordi non risultano confinati in determinate zone del cervello: dagli esperimenti nessuno però riusciva a spiegare quale meccanismo consentisse al cervello di conservare i ricordi, fin quando Pribram non applicò a questo campo i concetti dell'olografia. Egli ritiene che i ricordi non siano immagazzinati nei neuroni o in piccoli gruppi di neuroni, ma negli schemi degli impulsi nervosi che si intersecano attraverso tutto il cervello, proprio come gli schemi dei raggi laser che si intersecano su tutta l'area del frammento di pellicola che contiene l'immagine olografica.

Quindi il cervello stesso funziona come un ologramma e la teoria di Pribram spiegherebbe come il cervello riesca a contenere una tale quantità di ricordi in uno spazio così limitato. Quello umano può immagazzinare circa 10 miliardi di informazioni, durante la durata media di vita (approssimativamente l'equivalente di cinque edizioni dell'Enciclopedia Treccani!). Di converso, si è scoperto che gli ologrammi possiedono una sorprendente possibilità di memorizzazione, infatti semplicemente cambiando l'angolazione con cui due raggi laser colpiscono una pellicola fotografica, si possono accumulare miliardi di informazioni in un solo centimetro cubico di spazio.

...MA ANCHE DI IDEE

La nostra stupefacente capacità di recuperare velocemente una qualsivoglia informazione dall'enorme magazzino cerebrale risulta spiegabile più facilmente, supponendone un funzionamento secondo principi olografici. Inutile, quindi, scartabellare nei meandri di un gigantesco archivio alfabetico cerebrale, perché ogni frammento di informazione sembra essere sempre istantaneamente correlato a tutti gli altri: si tratta forse del massimo esempio in natura di un sistema a correlazione incrociata. Nell'ipotesi di Pribram si analizza la capacità del cervello di tradurre la valanga di frequenze luminose, sonore, ecc. ricevute tramite i sensi, nel mondo concreto delle percezioni. Codificare e decodificare frequenze è esattamente quello che un ologramma sa fare meglio, fungendo da strumento di traduzione per convertire un ammasso di frequenze prive di significato in una immagine coerente: il cervello usa gli stessi principi olografici per convertire matematicamente le frequenze ricevute in percezioni interiori.

Vi è una impressionante quantità di dati scientifici a conferma della teoria di Pribram, ormai condivisa da molti altri neurofisiologi. Il ricercatore italo-argentino Hugo Zucarelli ha applicato il modello olografico ai fenomeni acustici, incuriosito dal fatto che gli umani possono localizzare la fonte di un suono senza girare la testa, pur sordi da un orecchio. Ne risulta che ciascuno dei nostri sensi è sensibile ad una varietà di frequenze molto più ampia. Ad esempio: il nostro sistema visivo è sensibile alle frequenze sonore, il nostro olfatto percepisce anche le cosiddette "frequenze osmiche" e persino le cellule biologiche sono sensibili ad una vasta gamma di frequenze. Tali scoperte suggeriscono che è solo nel dominio olografico della coscienza che tali frequenze possono venire vagliate e suddivise.

Ma l'aspetto più sbalorditivo del modello cerebrale olografico di Pribram è ciò che risulta unendolo alla teoria di Bohm. Se la concretezza del mondo non è altro che una realtà secondaria e ciò che esiste non è altro che un turbine olografico di frequenze e se persino il cervello è solo un ologramma che seleziona alcune di queste frequenze trasformandole in percezioni sensoriali, cosa resta della realtà oggettiva? In parole povere: non esiste. Come sostenuto dalle religioni e dalle filosofie orientali, il mondo materiale è una illusione. Noi stessi pensiamo di essere entità fisiche che si muovono in un mondo fisico, ma tutto questo è pura illusione. In realtà siamo una sorta di "ricevitori" che galleggiano in un caleidoscopico mare di frequenze e ciò che ne estraiamo lo trasformiamo magicamente in realtà fisica: uno dei miliardi di "mondi" esistenti nel super-ologramma.

Questo impressionante nuovo concetto di realtà è stato battezzato "paradigma olografico" e sebbene diversi scienziati lo abbiano accolto con scetticismo, ha entusiasmato molti altri. Un piccolo, ma crescente, gruppo di ricercatori è convinto si tratti del più accurato modello di realtà finora raggiunto dalla scienza. In un Universo in cui le menti individuali sono in effetti porzioni indivisibili di un ologramma e tutto è infinitamente interconnesso, i cosiddetti "stati alterati di coscienza" potrebbero semplicemente essere il passaggio ad un livello olografico più elevato. Se la mente è effettivamente parte di un continuum, di un labirinto collegato non solo ad ogni altra mente esistente o esistita, ma anche ad ogni atomo, organismo o zona nella vastità dello spazio, ed al tempo stesso, il fatto che essa sia capace di fare delle incursioni in questo labirinto e di farci sperimentare delle esperienze extracorporee, non sembra più così strano.

COSCIENZA E VISUALIZAZZIONE

Il paradigma olografico presenta implicazioni anche nelle cosiddette scienze pure, come la biologia. Keith Floyd, uno psicologo del Virginia Intermont College, ha sottolineato il fatto che se la concretezza della realtà non è altro che una illusione olografica, non potremmo più affermare che la mente crea la coscienza (cogito ergo sum). Al contrario, sarebbe la coscienza a creare l'illusoria sensazione di un cervello, di un corpo e di qualunque altro oggetto ci circondi che noi interpretiamo come "fisico".

Una tale rivoluzione nel nostro modo di studiare le strutture biologiche spinge i ricercatori ad affermare che anche la medicina e tutto ciò che sappiamo del processo di guarigione verrebbero trasformati dal paradigma olografico. Infatti, se l'apparente struttura fisica del corpo non è altro che una proiezione olografica della coscienza, risulta chiaro che ognuno di noi è molto più responsabile della propria salute di quanto riconoscano le attuali conoscenze nel campo della medicina. Quelle che noi ora consideriamo guarigioni miracolose potrebbero in realtà essere dovute ad un mutamento dello stato di coscienza che provochi dei cambiamenti nell'ologramma corporeo. Allo stesso modo, potrebbe darsi che alcune controverse tecniche di guarigione alternative come la "visualizzazione" risultino così efficaci perché nel dominio olografico del pensiero le immagini sono in fondo reali quanto la "realtà".

IL MONDO E' UNA TELA BIANCA

Perfino le visioni ed altre esperienze di realtà non ordinaria possono venire facilmente spiegate se accettiamo l'ipotesi di un universo olografico. Nel suo libro "Gifts of Unknown Things", il biologo Lyall Watson descrive il suo incontro con una sciamana indonesiana che, eseguendo una danza rituale, era capace di far svanire istantaneamente un intero boschetto di alberi. Watson riferisce che mentre lui ed un altro attonito osservatore continuavano a guardare, la donna fece velocemente riapparire e scomparire gli alberi diverse volte. Sebbene le conoscenze scientifiche attuali non ci permettano di spiegarle, esperienze come queste diventano più plausibili qualora si ammetta la natura olografica della realtà.

In un universo olografico non vi sono limiti all'entità dei cambiamenti che possiamo apportare alla sostanza della realtà, perché ciò che percepiamo come realtà è soltanto una tela in attesa che noi vi si dipinga sopra qualunque immagine vogliamo. Tutto diviene possibile, dal piegare cucchiai col potere della mente, ai fantasmagorici eventi vissuti da Carlos Castaneda durante i suoi incontri con Don Juan, lo sciamano Yaqui. Nulla di più, né meno, miracoloso della capacità che abbiamo di plasmare la realtà a nostro piacimento durante i sogni. E le nostre convinzioni fondamentali dovranno essere riviste alla luce della teoria olografica della realtà.


Fonte: la fonte da cui è tratto questo articolo è il sito Extraterrestre.it purtroppo non più online.
Hybrid1973
00martedì 29 novembre 2011 14:54
Di solito non leggo con piacere posts così lunghi. Stavolta più leggevo e più mi andava di leggere.
La filosofia che io seguivo un tempo era "orientaleggiante" cioè seppur nata in Italia, si poggiava su concetti provenienti da filosofie orientali.
Anche in essa si parlava di "tutt'uno", "illusione del tempo", "realtà illusoria", "il mondo creato/percepito" nel duale ruolo della mente che crea e al tempo stesso vive un mondo che in Realtà non esiste; il concetto da te espresso si sposa bene con questo modo di vedere le cose. Anche se io non seguo più quella filosofia, per me è una specie di integrazione.

Spesso formulazioni così complesse, si basano su studi lunghi anni, basati su verifiche e approfondimenti, quindi è difficile dare una risposta a una singola domanda, senza tirare fuori esempi approssimativi e che suscitano a loro volta altre "impertinenti" domande;

ma io ho una domanda:

se la realtà non esiste in sè, cosa impedisce a ognuno di noi di vivere una specie di realtà onirica dove l'impossibile accade? C'è un filo di oggettività?

Stige81
00martedì 29 novembre 2011 15:51
Re:
Hybrid1973, 29/11/2011 14.54:


ma io ho una domanda:

se la realtà non esiste in sè, cosa impedisce a ognuno di noi di vivere una specie di realtà onirica dove l'impossibile accade? C'è un filo di oggettività?




Questo è il filo logico seguito in Matrix.
L'articolo altro non preannunciava che la nascita del pilastro su cui si poggia la realtà virtuale. I sensi percettivi non fanno altro che aumentare la consapevolezza di un piano reale e tangibile, rendendo tutto così vero e vivo.
zambu83
00martedì 29 novembre 2011 16:43
Allora se tutto è un ologramma,anche Voi con i quali sto disquisendo su questo forum non siete altro che una proiezione della mia mente,anzi della mia coscienza che mi fa apparire tutti Voi reali.
Non lo so! Mi sembra una teoria troppo forte.......ora me ne vado sotto l'albero del baobab a meditare sulla cosa...... [SM=g7729]
eone nero
00martedì 29 novembre 2011 17:07
Re: Re:
Stige81, 29/11/2011 15.51:



Questo è il filo logico seguito in Matrix.
L'articolo altro non preannunciava che la nascita del pilastro su cui si poggia la realtà virtuale. I sensi percettivi non fanno altro che aumentare la consapevolezza di un piano reale e tangibile, rendendo tutto così vero e vivo.



Potrebbe essere un'ipotesi valida, anche se vedo che queste teorie sono pregne di orientalismo come ha fatto notare Hybrid.

Se lo ritenete interessante posto una nutrita documentazione su questa scia.




Hybrid1973
00martedì 29 novembre 2011 20:20
Re: Re: Re:
eone nero, 29/11/2011 17.07:



Se lo ritenete interessante posto una nutrita documentazione su questa scia.




Lo facci, lo facci ragioniere!

A me interessa; se gli altri sono d'accordo...

eone nero
00martedì 29 novembre 2011 21:45
David Bohm: l’Universo come ologramma (1)


E’ impossibile non restare affascinati dalla profondita’ con cui David Bohm ha saputo spezzare gli stretti vincoli del pensiero scientifico dominante, per costruire un’idea immensa del tutto nuova, consistente al suo interno, logicamente potente al punto da spiegare fenomeni molto diversi, con un punto di vista del tutto nuovo. Un’idea che intuitivamente moltissimi trovano talmente splendida da pensare che se anche l’Universo non e’ cosi’ come lo descrive Bohm – sarebbe meglio se lo fosse. John P. Briggs e David Peat, autori di Looking Glass Universe.


Il percorso che porta David Bohm a concepire l’Universo strutturato come un ologramma inizia nello studio dell’abisso piu’ profondo, cioe’ del mondo delle particelle subatomiche. Il suo interesse per la scienza sboccia in eta’ assai giovane. Da ragazzo, in Pennsylvania dov’e’ cresce, inventa un nuovo tipo di bollitore da the… suo padre, uomo d’affari di successo, lo spinge a trasformare l’ idea in soldi. Non appena il giovane David scopre che per realizzare il compito deve andare di casa in casa ad offrire il prodotto, l’interesse per il business svanisce.

A non svanire, invece, e’ l’interesse per la scienza, e la sua prodigiosa curiosita’ lo spinge a nuove sfide. La piu’ grossa lo attende allo State College della Pennsylvania nel 1930, quando inizia ad interessarsi di fisica quantistica.



E’ facile capire come possa restarne affascinato. Lo strano nuovo territorio che i fisici avevano scoperto esplorando il cuore dell’atomo conteneva cose talmente stupefacenti che nemmeno Marco Polo o l’esploratore Cortes avevano mai visto nei loro viaggi.
Cio’ che intriga David e’ il fatto che, in questo nuovo mondo, tutto sembra contraddire le piu’ elementari norme del buon senso. Sembra un mondo regolato dalla stregoneria invece di un approfondimento del mondo normale che tutti conosciamo… una sorta di “Regno di Alice nel paese delle meraviglie” in cui forze mistiche sono la regola, ove cio’ che riconosciamo come logico e’ sovvertito.



Una scoperta sorprendente della fisica quantistica e’ che spezzando la materia in pezzi sempre piu’ piccoli, si raggiunge un punto in cui essi – cioe’ particelle come elettroni, fotoni, ecc. – non hanno piu’ le proprieta’ per chiamarli veri e propri “oggetti”. Ad esempio, chiunque immagina un elettrone come una piccola sfera, ma la realta’ e’ lontanissima. Sebbene talvolta l’elettrone possa anche comportarsi da piccola particella, i fisici hanno scoperto che esso letteralmente non ha alcuna dimensione. Per ogni persona comune e’ difficilissimo immaginarlo, perche’ qualunque cosa che conosce ha dimensione. Eppure, se si tenta di misurare la larghezza di un elettrone, si scopre che e’ un compito impossibile. L’elettrone, semplicemente, non e’ un oggetto come noi intendiamo questa parola.

Un’altra scoperta incredibile e’ che l’elettrone puo’ manifestarsi sia come particella che come onda. Se si spara un elettrone su uno schermo televisivo spento, compare un puntino luminoso laddove colpisce le sostanze chimiche fosforescenti che coprono il vetro. Il singolo punto d’impatto rivela chiaramente la natura dell’elettrone come “particella”.



Eppure, non e’ l’unica forma che puo’ assumere. Puo’ anche dissolvesi in una sfocata nube di energia, e comportarsi come se fosse un’onda distribuita in una porzione di spazio. Quando l’elettrone si manifesta come onda, puo’ fare cose che nessuna particella e’ in grado. Ad esempio, se viene sparato contro una barriera su cui siano presenti due fessure, le puo’ attraversare contemporaneamente. Se due elettroni che si comportano da onda entrano tra loro in contatto, producono lo schema d’interferenza tipico delle onde.
Insomma, l’elettrone puo’ talvolta manifestare proprieta’ da onda, talvolta da particella.
Questa camaleontica abilita’ e’ comune a tutte le particelle subatomiche. E’ comune persino ad un sacco di raggi che un tempo si pensava fossero “solo” onde: la luce stessa, i raggi X, i raggi gamma, le onde radio – possono tutte cambiare forma ed agire anche da particella.
I fisici moderni ritengono addirittura che i fenomeni atomici non dovrebbero essere classificati come “onda” oppure “particella”, ma come qualcosa che e’ sia l’una cosa che l’altra. Queste cose sono dette quanta, ed i fisici ritengono che siamo i componenti fondamentali di cui tutto l’Universo e’ fatto.



Eppure la proprieta’ piu’ folle ma vera che i quanta manifestano e’ il fatto di comportarsi da particelle solo quando vengono osservati. Per esempio, se un elettrone non viene osservato, gli esperimenti dimostrano che si comporta sempre da onda. I fisici sono in grado di dirlo perche’ hanno costruito delle tecniche per dedurre il comportamento dell’elettrone quando non viene osservato (ad onor del vero e’ solo una delle possibili interpretazioni, non tutti i fisici la condividono, e lo stesso David Bohm, vedremo, ha una diversa idea).
Tutto cio’ sembra pazzesco, persino magico, lontanissimo da cio’ che ci aspetteremmo, date le nostre conoscenze ed abitudini del mondo in cui viviamo quotidianamente.



Immaginate di prendere una palla da bowling… e che sia tale solamente mentre la guardate. Immaginate ora di coprire la pista da bowling con polvere di talco, e di lanciare la palla contro i birilli.
Mentre la osservate, la palla disegna sul talco una linea che ne descrive la traiettoria. Immaginate ora, mentre la palla e’ circa a meta’ della pista, di chiudere brevemente gli occhi e poi di riaprirli. Guardate la superficie di talco, e vedete che, mentre avevate gli occhi chiusi, la palla da bowling non ha continuato a percorrere una linea dritta ma ha descritto una specie di linea ondulata… poi la osservate di nuovo, e torna a descrivere la linea.



Questa situazione apparentemente pazzesca e’ esattamente paragonabile al mondo della fisica quantistica, cioe’ al comportamento “da particella” degli elettroni quando vengono osservati, e “da onda “ quando non vengono osservati.
Il fisico Nick Herbert ha detto che questa apparente follia del mondo quantico lo induce a immaginare il mondo come una sorta di “zuppa” radicalmente ambigua e che muta senza sosta… ma ogni volta che apre gli occhi per vederla, questa si blocca in una specifica posizione che e’ la “realta’ ordinaria” a cui siamo abituati. Secondo Herbert, cio’ rende ogni uomo una sorta di piccolo Re Mida, che non poteva mai toccare un oggetto cosi’ come questo fosse davvero, perche’ subito si trasformava in oro: “Cosi’ gli esseri umani non possono mai avere esperienza del vero tessuto della realta’ quantistica perche’ tutto cio’ ove posano lo sguardo si trasforma in materia”



eone nero
00martedì 29 novembre 2011 21:59
David Bohm: l’Universo come ologramma (2)


BOHM E L’INTERCONNESSIONE

Un aspetto della realtà quantistica che Bohm trova particolarmente interessante è l’insolito stato di interconnessione che pare esistere tra eventi subatomici a prima vista scollegati. Ancora più sorprendente il fatto che pochissimi fisici danno peso alla cosa. A dirla tutta, e’ talmente poca l’attenzione a questo fatto, che uno dei più celebri esempi di interconnessione rimane celato in una delle assunzioni più elementari della fisica quantistica… per anni prima che qualcuno se ne accorga.
L’assunzione era stata postulata da uno dei padri stessi della fisica quantistica – il danese Niels Bohr. Egli sottolineò che se le particelle subatomiche esistono solo in presenza dell’osservatore, allora non ha semplicemente senso parlare di proprietà delle particelle in assenza dell’osservatore.


Niels Henrik David Bohr

Questo disturbava moltissimi fisici, perché, dicevano, il senso stesso della scienza sta proprio nello scoprire le proprietà dei fenomeni fisici. Ma se è l’atto stesso di osservazione che crea la proprietà che si vuole osservare – che cosa significa questo per il futuro stesso della scienza?

Uno di questi fisici particolarmente disturbato dall’idea di Bohr e’ nientepopodimeno che Albert Einstein. Nonostante avesse avuto un ruolo gigante nei primi passi della teoria quantistica, non e’ per niente contento della direzione presa da questa scienza. Secondo Einstein, la conclusione di Bohr per cui le proprietà di una particella non esistono finché qualcuno non le osserva è particolarmente criticabile perché, se combinata con altre scoperte quantistiche di cui diciamo sotto, l’implicazione è che le particelle subatomiche sono interconnesse in un modo che Einstein riteneva semplicemente impossibile.


Albert Einstein

Quest’altra scoperta è che alcuni processi subatomici creano delle coppie di particelle con proprietà identiche o fortemente correlate.
Si consideri ad esempio il positronio, un atomo molto instabile, costituito solamente da un elettrone e da un positrone, ove quest’ultimo è identico ad un elettrone, ma ha carica positiva.


Particelle interconnesse a distanza infinita

Siccome il positrone è esattamente la particella opposta all’elettrone, se si scontrano si annullano l’un l’altra e decadono in due particelle di luce chiamate “fotoni”, che partono a viaggiare nello spazio in direzioni opposte.


Positrone

Ebbene, la scoperta è che non importa quanto i due fotoni si allontanino l’uno dall’altro – non appena uno dei due viene misurato, essi vengono ad avere sempre lo stesso angolo di polarizzazione (la polarizzazione è l’orientamento nello spazio che tende ad avere la funzione d’onda del fotone, mentre viaggia nello spazio allontanandosi dal punto d’origine).
Nel 1935 Einstein con i colleghi meno noti Boris Podolsky e Nathan Rosen pubblica un saggio diventato famoso: “Può la descrizione quantistica della Realtà essere considerata completa?” , ove spiegano per quale motivo l’esistenza delle “particelle gemelle” descritte sopra dimostra, secondo loro, che Bohr deve avere torto.
Einstein-Podolsy-Rosen ragionano così: due simili particelle, ad esempio i due fotoni emessi quando il positronio decade, possono benissimo essere prodotte in un esperimento, permettendogli di viaggiare a distanze enormi l’una dall’altra. Ad un certo punto, una di esse, o entrambe, viene catturata per misurargli l’angolo di polarizzazione. Ora, se l’angolo di polarizzazione misurato esattamente nello stesso attimo è identico per entrambe, e se Bohr ha ragione che la proprietà dell’angolo di misurazione non esiste prima dell’atto stesso di misurazione, allora significa che necessariamente in qualche modo le due particelle comunicano contemporaneamente tra di loro, stabilendo il comune angolo di polarizzazione.
Il problema è che secondo la Teoria Speciale della Relatività di Einstein, nulla può viaggiare più veloce della luce… per cui secondo Einstein-Podolsy-Rosen non è possibile definire la Realtà in alcun modo “ragionevole” che permetta connessioni più veloci della luce. Quindi, Bohr deve avere torto. Questa argomentazione è nota come il “paradosso EPR”, dal cognome dei tre scienziati.


Il Niels Bohr Instituet di Copenhagen

Eppure Bohr non si lascia turbare… invece di considerare connessioni più veloci della luce, presenta un’altra possibile spiegazione: se le particelle non vengono ad esistere prima di essere osservate, non possono allora nemmeno essere più pensate come “oggetti indipendenti”. Per cui Einstein, secondo Bohr, commette un errore essenziale a considerare le particelle separate. Esse sono elementi di un unico sistema indivisibile, e non aveva semplicemente senso concepirle altrimenti.
Con l’andare del tempo, sempre più fisici aderiscono alla posizione di Bohr, soprattutto perché la teoria quantistica si dimostra molto consistente a prevedere fenomeni fisici, per cui pochissimi scienziati si azzardavano a pensare che fosse in qualche modo “sbagliata”.
Poi, negli anni ’80 la tecnica permette finalmente di verificare sperimentalmente le affermazioni di Einstein-Podolsky-Rosen, dimostrando che esistono davvero sorprendenti connessioni tra particelle, indipendenti dalla distanza.
Eppure, questo fatto rimane sorprendentemente ignorato… la questione dell’interconnessione, non appena raggiunge il trionfo, viene di nuovo spinta sotto il tappeto.

UN MARE VIVENTE DI ELETTRONI

All’inizio della carriera, anche Bohm accetta la posizione di Bohr, restando solo stupito dal poco interesse che questi, ed i suoi discepoli, mostrano verso la questione dell’interconnessione.
Dopo la laurea in Pennsylvania, Bohm va all’Universita’ di Berkeley in California, ove prende il dottorato nel 1943, lavorando al Lawrence Berkeley Radiation Laboratory.
Qui, incontra un altro impressionante esempio di interconnessione… inizia a sviluppare un lavoro sul plasma, che restera’ un punto di riferimento assoluto!



Un “plasma” e’ un gas che contiene con elevata densita’ elettroni e ioni positivi . Bohm resta stupito quando nota che gli elettroni, una volta contenuti nel plasma, smettono di comportarsi come unita’ separate le une dalle altre, bensi’ come se fossero parte di un tutt’uno interconnesso.
Guardando gli elettroni ad uno ad uno sembra che abbiano un movimento casuale, ma gruppi piu’ ampi riescono a produrre comportamenti che appaiono sorprendentemente ben organizzati.
Come una sorta di ameba, il plasma si rigenera costantemente, ed isola le impurita’ in un punto preciso, con un comportamento che ricorda quello di organismi viventi che isolano sostanze estranee in cisti.
Bohm rimane talmente affascinato da queste qualita’ “organiche” degli elettroni, che dira’ spesso di avere l’impressione che “il mare di elettroni sia vivo”.
Nel 1947 accetta una cattedra a Princeton, prova di quanto sia ormai stimato, ed approfondisce le ricerche relative al comportamento degli elettroni nei metalli.
Ancora, osserva che comportamenti apparentemente casuali di singoli elettroni, riescono pero’ a produrre effetti complessivi altamente organizzati. Come i plasma studiati a Berkeley, si tratta di fenomeni che non coinvolgono solo poche particelle, ma interi “oceani” di particelle ove sembra che ognuna di esse sappia cosa stiano facendo gli altri miliardi di miliardi di particelle.
Bohm decide di chiamare questi movimenti collettivi con il nome di plasmoni… una scoperta che ne definisce il prestigio come fisico.


eone nero
00martedì 29 novembre 2011 22:06
David Bohm: l’Universo come ologramma (3)



IL DISINGANNO DI BOHM

Bohm inizia a provare un disagio crescente verso l’interpretazione di Bohr della fisica quantistica, sia perche’ sente che la questione dell’interconnessione e’ importantissima, sia perche’ non e’ soddisfatto di altre scuole di pensiero alternative che stanno nel frattempo emergendo.
Dopo tre anni di insegnamento a Princeton, decide di migliorare la comprensione della materia, e per questo scrive lui stesso un libro di testo, al termine del quale ancora non sente di essere d’accordo con quanto la fisica quantistica andava dicendo… cosi’ manda alcune copie del libro sia a Bohr che ad Einstein, per chiederne l’opinione. Bohr nemmeno risponde, mentre Einstein lo contatta per dirgli che, poiche’ entrambi vivono a Princeton, sarebbe il caso di incontrarsi per parlarne. Il risultato e’ una serie di profonde conversazioni durate sei settimane, ove Einstein esprime a Bohm l’ammirazione per la chiarissima esposizione della fisica quantistica… e riconosce lui stesso di nonessere soddisfatto dello stato in cui versa la teoria.



Conversando, entrambi questi straordinari personaggi riconoscono alla fisica quantistica la capacita’ di prevedere i fenomeni studiati… ma cio’ che li turba e’ che essa non da’ nessuna spiegazione “sensata” della struttura del mondo. I seguaci di Bohr dichiarano persino che “la teoria quantistica e’ completa” e che “non e’ possibile giungere ad alcuna spiegazione piu’ chiara di cio’ che succede nel mondo subatomico”. Come dire: non esiste alcuna realta’ piu’ profonda del mondo subatomico, quindi nessuna risposta piu’ profonda puo’ essere trovata – questo disturbava la sensibilita’ filosofica di Bohm ed Einstein.



Cosi’, Bohm, ispirato dalle conversazioni con il grande collega, inizia ad accettare che i dubbi che provano hanno eccome senso, e decide di cercare una interpretazione alternativa. Quando il suo libro di testo – Teoria Quantistica – viene pubblicato nel 1951, diventa rapidamente un classico, ma in una materia della quale lo stesso autore non e’ piu’ sicuro. La sua mente cerca gia’ una spiegazione piu’ profonda, un modo migliore di descrivere la realta’ al suo livello piu’ elementare.

UN LIVELLO PIU’ PROFONDO

Il primo passo di Bohm e’ assumere che le particelle come gli elettroni esistono davvero anche in assenza dell’osservatore. Assume inoltre che esiste una realta’ piu’ profonda al di la’ dell’impenetrabile muro di Bohr, un livello subquantico che ancora attende di essere scoperto.
A partire da queste due premesse, si rende conto che e’ sufficiente ammettere l’esistenza del nuovo livello per spiegare le scoperte della fisica quantistica con la stessa sicurezza che aveva Bohr nei suoi studi. Bohm chiama questo nuovo livello “potenziale quantico” e teorizza che, come la forza di gravita’, sia presente in tutto lo spazio. Tuttavia, a differenza dei campi gravitazionali, magnetici, ecc., l’influenza non diminuisce con la distanza… cioe’ il suo effetto ha la stessa “forza” ovunque, in ogni punto dell’Universo.
Bohm pubblica la sua interpretazione alternativa della teoria quantistica nel 1952.


David Bohm

Le reazioni del mondo scientifico sono quasi tutte negative. La maggior parte degli scienziati e’ talmente certa che non ci possono essere spiegazioni alternative, che semplicemente ridicolizzano le idee di Bohm. Altri lanciano attacchi appassionati, basati soprattutto su differenze filosofiche, ma il fatto e’ che il punto di vista di Bohr e’ talmente radicato tra i fisici dell’epoca che la posizione alternativa di Bohm e’ vista come una sorta di eresia alla dottrina dominante.
Nonostante la severita’ degli attacchi, Bohm rimane fermo nella sua convinzione che c’e’ da dire di piu’ sull’idea stessa di Realta’ di quanto Bohr non voglia, o non sappia, ammettere. Bohm sente inoltre che la prospettiva della scienza e’ troppo limitata quando si tratta di prendere in seria considerazione idee radicalmente nuove come la sua, cosi’ nel 1957 scrive il libro Causality and chance in Modern Physics,



ove esamina i pregiudizi filosofici che sono alla base di questo atteggiamento. Uno di questi e’ l’assunzione che qualunque teoria puo’ sperare di essere completa rispetto alla materia che studia – come la fisica quantistica di Bohr pensa di se stessa. Bohm critica con forza questa assunzione, osservando che la Natura puo’ benissimo essere infinita, e siccome nessuna teoria puo’ pensare di spiegare completamente qualcosa di infinito, Bohm suggerisce di evitare l’assunzione stessa, assumendo invece un atteggiamento di apertura mentale nella ricerca scientifica.
Nello stesso libro, Bohm sostiene poi che l’interpretazione scientifica della “causalita’” e’ limitata. Molti effetti osservabili negli esperimenti o in Natura sono pensati come aventi una o piu’ cause; Bohm pensa invece che un effetto possa avere anche infinite cause. Ad esempio, se chiedete a qualcuno che cosa ha “causato” la morte di John F. Kennedy, la risposta puo’ essere “la pallottola sparata dal fucile dell’assassino”… ma una lista piu’ completa dovrebbe includere tutti gli eventi che hanno contribuito alla costruzione del fucile, degli eventi che hanno fatto si’ che l’assassino desiderasse uccidere Kennedy, e poi tutti i passi dell’evoluzione umana che hanno contribuito a creare una mano prensile che possa impugnare il fucile, ecc., ecc., ecc.
Bohm ammette che nella stragrande maggioranza dei casi si ignora l’enorme cascata di eventi che producono un certo effetto, ma ritiene che sia ugualmente importante per gli scienziati ricordare che non c’e’ una semplice relazione di “singola causa – effetto” separata dal resto dell’Universo, pensato da Bohm come un tutt’Uno.


eone nero
00martedì 29 novembre 2011 22:37
David Bohm: l’Universo come ologramma (4)



Durante lo stesso periodo, Bohm continua a precisare il suo approccio alla fisica quantistica. Piu’ presta attenzione al significato del “potenziale quantico”, e piu’ si rende conto che ha delle proprieta’ che implicano un contrasto ancora piu’ radicale con la scuola ortodossa. Una di queste e’ l’importanza dell’ “Unita’ del Tutto” (“Wholeness” in inglese). La scienza classica interpreta da sempre lo stato di un sistema come Unita’ solo come risultante dell’interazione delle parti. Invece, il potenziale quantico supera questa visione e suggerisce invece che il comportamento delle parti e’ in effetti proprio organizzato dall’Unita’. Non solo questo va a toccare l’affermazione del “rivale” Bohr che le singole particelle sono “cose” indipendenti… non solo va ad affermare che esse fanno invece parte di un sistema indivisibile… addirittura suggerisce che la “Unita’ del Tutto” e’ la primaria e fondamentale realta’.
Cio’ puo’ anche spiegare in che modo gli elettroni nel plasma (ed altri stati particolari noti come superconduttivita’) possano comportarsi come Unita’ completamente interconnesse. Come dice Bohm, “tali elettroni in effetti non sono sparpagliati perche’, attraverso l’azione del potenziale quantico, il Sistema intero e’ soggetto ad un unico movimento coordinato, che somiglia piu’ alla danza di un balletto che a una folla di persone prive di organizzazione.” Ancora una volta nota che “questa Unita’ quantica del movimento e’ piu’ simile all’unita’ organizzata con cui funzionano le parti del corpo di un essere vivente, piuttosto che il tipo di unita’ che si ottiene mettendo soltanto insieme pezzi di un meccanismo.”
Un’implicazione ancora piu’ sorprendente riguardava la natura della “locazione”. A livello di esperienza quotidiana che tutti abbiamo, ogni cosa ha una sua specifica locazione, cioe’ luogo in cui si trova e da cui ha eventualmente degli effetti sul mondo circostante… ma l’interpretazione di Bohm implica che a livello subquantico, ove opera appunto il potenziale quantico, la “locazione” semplicemente cessa di esistere. Tutti i punti nello spazio diventano del tutto uguali a tutti gli altri puni dello spazio, ed e’ del tutto privo di significato parlare di qualunque cosa come “separata” da qualunque altra cosa. Questa proprieta’ viene detta dai fisici “non localita’ ”.



L’aspetto non-locale del potenziale quantico permette a Bohm di spiegare il collegamento tra particelle gemelle senza violare il divieto della teoria della relativita’ speciale, per cui nulla puo’ viaggiare ad una velocita’ superiore a quella della luce. Per illustrare in che modo, costruisce la seguente analogia: immaginate che un pesce stia nuotando in un acquario. Immaginate anche di non aver mai visto prima ne’ un pesce ne’ un acquario, e che tutto cio’ che sapete di essi vi provenga da due telecamere televisive, una puntata frontalmente verso l’acquario, ed un’altra di lato. Quando osservate i due monitor televisivi, potreste assumere erroneamente che i pesci sui due schermi siano entita’ differenti.



Dopotutto, essendo le telecamere posizionate con angolazioni diverse, ognuna delle due immagini sara’ leggermente diversa. Continuando a guardare attentamente, ad un bel momento potreste rendervi conto che esiste una relazione tra i “due” pesci. Quando uno si gira, anche l’altro lo fa. Quando uno guarda di fronte, l’altro guarda sempre di lato, ecc… Se non siete consapevoli della situazione, potreste ancora una volta sbagliarvi assumendo che i “due” pesci comunicano tra di essi in modo istantaneo, con qualche strumento sconosciuto. L’ipotesi sarebbe sbagliata per il semplice motivo che, ad un livello piu’ profondo, che e’ poi la realta’ dell’acquario, i “due” pesci sono in effetti un pesce solo. Secondo Bohm, questo e’ esattamente cio’ che succede tra “particelle gemelle”, come ad esempio due fotoni emessi dal decadimento di un atomo di positronio.
Infatti, poiche’ il potenziale quantico permea tutto lo spazio, tutte le particelle dell’Universo sono connesse non-localmente. Sempre piu’ la descrizione di Realta’ di Bohm non e’ quella ove particelle scollegate si muovono nel vuoto dello spazio, ma quell’altra ove tutte le cose sono parte di un’unica ragnatela, incorporate in uno spazio che e’ reale e ricco di fenomeni fisici non meno della materia che pare attraversarlo.



L’idea di Bohm lascia perplessi ancora moltissimi scienziati, ma risveglia l’interesse di alcuni. Uno di questi e’ John Stewart Bell, fisico teorico del CERN, centro per la ricerca atomica vicino a Ginevra. Come Bohm, Bell e’ scontento con lo stato della fisica quantistica, e sente che ci deve essere un’alternativa. Come dira’ piu’ tardi, “Nel 1952 vidi lo scritto di Bohm. La sua idea era di completare la meccanica quantistica affermando che ci sono delle variabili nascoste, in aggiunta a quelle che tutti conosciamo. Cio’ mi impressiono’ enormemente.”
Bell capisce anche che la teoria di Bohm implica l’esistenza della non-localita’, e si chiede se ci sia la possibilita’ di verificarlo in qualche modo, sperimentalmente. La questione rimane nella sua testa per anni fino al suo anno sabbatico nel 1964, che gli da’ la liberta’ di concentrarsi del tutto sulla questione. Concepisce cosi’ una elegante prova matematica, passata alla Storia come “Teorema di Bell” o “Diseguaglianza di Bell”, che spiega in che modo si possa concepire un esperiemento che risolva una volta per tutte la questione. Ahime’, il livello tecnologico della sua epoca non permette di realizzare concretamente l’esperimento, perche’ per dimostrare che “particelle gemelle”, come ad esempio quelle del paradosso EPR, non comunicano tra di loro, l’esperimento stesso deve essere compiuto in un lasso di tempo infinitesimale, tale da non permettere nemmeno ad un raggio di luce di andare da una particella all’altra.


eone nero
00martedì 29 novembre 2011 22:46
David Bohm: l’Universo come ologramma (5)



Alla fine degli anni ’50, David Bohm diventa ricercatore all’Universita’ di Bristol, in Inghilterra; con un giovane ricercatore, Yakir Aharonov, scopre un nuovo importante esempio di interconnessione: sotto certe specifiche circostanze, un elettrone e’ in grado di “percepire” la presenza di un campo magnetico in regioni dello spazio ove e’ nulla la probabilita’ di trovare l’elettrone stesso. Questo fenomeno, passato alla storia come “effetto Aharonov-Bohm” viene contestato da molti fisici, che semplicemente non lo credono possibile. Persino al giorno d’oggi rimane un certo scetticismo presso alcuni scienziati, nonostante sia stato confermato in numerosi esperimenti… di tanto in tanto appiono ancora dei lavori che tentano di negarlo.
Bohm, come sempre, accetta stoicamente la reazione prevalente della comunita’ scientifica, e continua con voce ferma a sostenere che “il Re e’ nudo!”. In un’intervista condotta anni dopo, riassume la filosofia alla base del proprio coraggio: “a lungo termine, e’ molto piu’ pericoloso aderire ad un’ illusione che affrontare a viso aperto i puri e semplici fatti!”.
Nonostante cio’, la circoscritta reazione della comunia’ scientifica alla sua idea sul­l’im­por­tanza dell’ “Unita’ del Tutto”, e la sua stessa incapacita’ di concepire come procedere in questa direzione, lo portano a spostare l’attenzione ad altri campi di ricerca.
Negli anni ’60, inizia ad occuparsi del concetto di Ordine. La scienza classica in genere divide le cose in due categorie precise: quelle le cui parti rispondono ad una certa struttura, e quelle le cui parti sono dominate dal puro caso. Ad esempio i fiocchi di neve, i computer e gli organismi viventi sono tutti “cose ordinate”; lo schema di un pugno di chicchi di caffe’ caduti sul pavimento, i frammenti di una esplosione, la serie di numeri generati da una roulette del casino’ sono tutti esempi di “cose disordinate”.



Man mano che penetra la materia, Bohn si rende conto che esistono diversi gradi di ordine. Alcune cose appaiono “piu’ ordinate” di altre, e cio’ puo’ significare che non esiste limite alle gerarchie di ordine che esistono nell’Universo. Da questo pensiero, inizia a concepire l’idea che le “cose” che percepiamo come “disordinate”, forse non lo sono affatto, o almeno non sempre. Forse obbediscono ad un “ordine piu’ alto” di quello che a prima vista appare come casualita’ (tra parentesi, e’ interessante notare che i matematici non sono in grado di provare la casualita’, e sebbene alcune sequenze di numeri vengano dichiarate come “casuali”, in realta’ le dichiarazioni sono semplici supposizioni).
Immerso in questi pensieri, Bohm si trova un bel giorno a guardare un programma della BBC che lo aiuta a sviluppare l’idea piu’ profondamente… il programma descrive un semplice meccanismo formato da un cilindro di vetro che contiene al suo interno un altro cilindro rotante di diametro piu’ piccolo. Lo spazio interno del contenitore viene riempito con glicerina – liquido molto denso e trasparente – e, all’interno della massa di glicerina, si vede un punto d’inchiostro.


Il dispositivo con glicerina concepito da Bohm

Quando la manopola che fa girare il cilindro piu’ interno viene fatta ruotare, la macchia di inchiostro si diffonde all’interno della glicerina, prima descrivendo una circonferenza, e poi pian piano sparendo… ma non appena si inizia a ruotare la manopola nella direzione opposta, la tenue traccia d’inchiostro ricomincia ad apparire, e pian piano riforma la macchia originaria.
Bohm scrive “Questo esempio mi colpi’ immediatamente perche’ e’ molto significativo circa la questione dell’Ordine, poiche’, quando la macchia d’inchiostro e’ diffusa nella glicerina, continua tuttavia a mantenere un ordine “nascosto” (cioe’ “non manifesto”), che si rivela solo nel momento in cui la macchia viene ricostituita. D’altra parte, nel nostro linguaggio comune, noi tendiamo a dire che l’inchiostro nella glicerina, mentre e’ diffuso, e’ in uno stato di “disordine”. Cio’ mi porta a pensare che, in questo esempio, sono implicate nuove nozioni di ordine”.


L'esperimento di Bohm eseguito in pratica

La scoperta eccita moltissimo Bohm, dandogli un nuovo punto di vista a molte questioni scientifiche che stava considerando. Dopo l’esempio del cilindro con la glicerina, si rende presto conto di una metafora ancora piu’ potente per descrivere diversi livelli di Ordine, che non solo riesce a rimettere insieme i diversi campi di ricerca che aveva affrontato negli anni precedenti, ma sembra addirittura talmente azzeccata da sembrare fatta apposta. La metafora e’ l’ologramma.
Non appena inizia a riflettere sull’ologramma, si rende conto che esso gli fornisce immediatamente un nuovo modo di considerare il concetto di “Ordine”. Come la macchia d’inchiostro quando diventa invisibile perche’ diffusa nella glicerina, lo schema d’interferenza registrato su un pezzo di pellicola olofotografica appare a prima vista disordinato. Entrambi posseggono cio’ che Bohm chiama Ordini nascosti o “avvolti” nello stesso modo in cui l’ordine del plasma e’ “avvolto” nel comportamento apparentemente casuale di ogni singolo elettrone. Questo pero’ non e’ il solo spunto che trova nell’idea di ologramma.
Piu’ ci pensa e piu’ si convince che l’Universo stesso usa principi olografici nel suo esistere e funzionare, gli appare esso stesso come un gigante ologramma in perenne flusso, e questa idea gli permette di aggregare tutte le intuizioni che ha avuto nel corso degli anni in una sola e coerente Unita’.
Pubblica i primi lavori sul tema all’inizio degli anni ’70, e nel 1980 presenta una selezione matura dei propri pensieri nel libro intitolato “Wholeness and the Implicate Order” (mia traduzione – “L’Unita’ del tutto e l’Ordine implicato”), opera in cui fa molto di piu’ che semplicemente legare insieme la miriade di idee che ha avuto: le trasforma in un modo nuovo di osservare la realta’, tanto radicale da lasciare senza respiro.



eone nero
00martedì 29 novembre 2011 22:57
David Bohm: l’Universo come ologramma (6)



Ordini nascosti e Realta’ svelate

Una delle affermazioni piu’ sorprendenti di Bohm e’ che la realta’ tangibile della nostra vita quotidiana e’ in effetti una qualche specie di illusione, come un’immagine olografica. Al di sotto si essa esiste un ordine piu’ profondo di esistenza, un vasto e piu’ primario livello di realta’che origina tutti gli oggetti e cio’ che appare nel nostro mondo fisico abituale, in modo analogo con cui un pezzo di pellicola olografica crea un ologramma. Bohm battezza questo profondo livello di realta’ “ordine implicato”, ove la parola “implicato” ha il significato di “nascosto”.
Sceglie di usare queste specifiche parole perche’ ritiene di vedere che la manifestazione di tutti gli oggetti e tutte le forme nell’Universo sono il risultato di infiniti processi di “uscita” e “rientro” tra questi due livelli di ordine. Per esempio, Bohm e’ convinto che l’elettrone non sia semplicemente una mera “cosa”, ma una “totalita’ ” che si nasconde attraverso l’intero spazio. Quando uno strumento rivela la presenza di un singolo elettrone, lo fa semplicemente perche’ un aspetto peculiare dell’elettrone si svela, in modo simile allo svelarsi in uno specifico punto della goccia d’inchiostro immersa nella glicerina. Quando poi un elettrone pare muoversi, si verifica in effetti una sequenza di “emersioni” ed “immersioni” tra i due livelli di ordine.
Detto in altre parole, gli elettroni e le altre particelle non sono piu’ sostanziali o permanenti della forma di un getto d’acqua che fuoriesce da una fontana; sono sostenuti da un costante emergere dall’ordine nascosto, e quando pare che una particella venga distrutta, non e’ andata perduta, ma si e’ semplicemente reimmersa indietro nell’ordine piu’ profondo da cui era emersa.


Tentativo di raffigurare la metafora dei livelli di ordine secondo il pensiero di Bohm

Un pezzo di pellicola olografica e l’immagine che genera sono anch’essi un bell’esempio di ordine implicato ed esplicato. La pellicola e’ un ordine implicato (“nascosto”) perche’ l’immagine codificata nello schema d’interferenza impresso su di essa e’ una totalita’ nascosta su una piccola superficie. L’ologramma che emerge successivamente dalla pellicola e’ un ordine esplicato (“rivelato”) perche’ rappresenta la versione scoperta e percettibile dell’immagine.



Il flusso costante tra i due ordini spiega in che modo le particelle, come ad esempio l’elettrone e l’atomo di positronio, possano cambiare forma e passare dall’essere una certa particella a un’altra. Queste mutazioni si possono interpretare come una particella, ad esempio un elettrone, che decide di tornare a nascondersi nell’ordine implicato, mentre un’altra, il fotone, si svela e ne prende il posto. Cio’ spiega anche in che modo una certa particella riesca a manifestarsi sia come particella che onda. Secondo Bohm, entrambi gli aspetti sono sempre nascosti in un sistema quantico, ma il modo in cui l’osservatore interagisce con il sistema determina quale aspetto di esso emerga e quale invece rimanga nascosto. Come tale, il ruolo che assume l’osservatore nel determinare la forma che un sistema quantico assume e’ misterioso… e’ come se il modo con cui un gioielliere taglia una gemma determina quale delle sue facce e’ visibile e quale no. Poiche’ la parola ologramma si riferisce di solito ad un’immagine statica che non da’ il senso di dinamismo della natura e dei suoi continui fenomeni di “uscita” e “rientro” tra i due livelli di ordine, Bohm preferisce descrivere l’Universo stesso con la parola “olomovimento”.
L’esistenza di un ordine piu’ profondo ed organizzato in modo olografico spiega anche per quale motivo la realta’ e’ non-locale a livello subquantico. Come sappiamo (si vedano ad esempio gli articoli su “Karl Pribram ed il cervello olografico”), quando qualcosa e’ organizzato in modo olografico, ogni apparenza di fenomeni locali semplicemente sparisce. Dire che ogni parte di una pellicola olografica contiene l’informazione della pellicola intera e’ solo un modo diverso di dire che l’informazione stessa e’ distribuita in modo non-locale, per cui se anche l’Universo fosse organizzato con principi olografici, anch’esso non dovrebbe avere proprieta’ locali.

L’indivisibile Unita’ di Tutte le cose

Le idee di Bohm sulla “Unita’ del Tutto” sono le piu’ difficili da digerire a livello razionale. Poiche’ ogni cosa nel cosmo sembra emergere dall’infinito e continuo mare olografico dell’ “ordine implicato”, egli crede che sia inutile e senza significato considerare l’Universo come costituito da “parti”… sarebbe come considerare gli spruzzi di una fontana indipendentemente dall’acqua che li crea.
Un elettrone in questa visione non e’ una “particella elementare”. E’ solo il nome che si da’ ad un certo aspetto particolare dell’olomovimento. Dividere la realta’ in pezzi, dare ad ognuno di essi un nome, e’ sempre un processo arbitrario, il risultato di una convenzione, perche’ le particelle subatomiche, ed ogni altra cosa nell’Universo, sono non piu’ separate le une dalle altre di quanto lo siano i vari schemi di fantasia in un tappeto.


Il continuum spaziotemporale di Einstein

Questa visione e’ un profondo invito a riflettere. Con la sua teoria della relativita’, Einstein lascio’ il mondo a bocca aperta dicendo che lo spazio ed il tempo non sono entita’ separate, ma collegate in qualcosa di piu’ grande detto continuum spaziotemporale. Bohm prende questa idea e la porta molto al di la’. Egli dice che ogni cosa nell’Universo e’ parte di un continuum. Nonostante l’apparente separatezza delle cose a livello esplicato, ogni cosa e’ l’infinita estensione di ogni altra cosa, ed in definitiva persino i due ordini, implicato ed esplicato, affondano e si confondono uno nell’altro.
Fermatevi ora un attimo. Osservate la vostra mano. Ora guardate il fascio di luce proiettato dalla lampada accanto a voi. Al cane che riposa vicino ai vostri piedi. Voi non siete solo “fatti delle stesse cose” (gli atomi ad esempio) – voi siete la stessa cosa. Una cosa. Intera. Un enorme “qualcosa” che ha esteso le sue infinite mani ed appendici in tutti gli oggetti che appaiono, negli atomi, negli oceani, nelle stelle.
Bohm chiarisce che cio’ non significa che l’Universo sia una gigante massa indifferenziata. Gli oggetti possono essere parte di un Tutto indiviso eppure possedere ognuno le proprie uniche qualita’ ed attributi. Per fare un esempio, si pensi agli infiniti rivoli, mulinelli e vortici che si creano in un corso d’acqua. A prima vista possono sembrare come oggetti distinti, ed ognuno ha senz’altro sue caratteristiche proprie come la dimensione, la velocita’ di rotazione, ecc… facendo pero’ piu’ attenzione ci si rende conto che in effetti e’ impossibile stabilire esattamente dove ogni vortice inizia e dove finisce. In altre parole, Bohm non sta affatto suggerendo che la “differenza” tra le cose non sia priva di importanza… egli semplicemente vuole che siamo consapevoli che il dividere i vari aspetti dell’olomovimento in “cose” e’ sempre un’astrazione, un modo di evidenziare solo alcuni aspetti nella nostra percezione, attraverso il modo che abbiamo di pensare alla realta’. Bohm tenta di correggere questo atteggiamento persino riformando il linguaggio, per cui invece di parlare di “cose”, le ribattezza come “subtotalita’ relativamente indipendenti”.




Certamente Bohm ritiene che la tendenza quasi universale di frammentare il mondo ed ignorarne l’interconnessione dinamica e’ responsabile per un gran numero di problemi importanti, non solo nella scienza ma proprio nelle nostre vite e nella societa’. Ad esempio, pensiamo di poter estrarre ricchezza dal suolo senza danneggiarne il complesso. Pensiamo di poter agire su singole parti del nostro corpo, senza avere effetti sul suo complesso. Pensiamo di poter risolvere un sacco di problemi nella societa’, come il crimine, la poverta’, la dipendenza dalla droga, senza mettere attenzione alla societa’ come complesso unitario.


sgittario
00giovedì 1 dicembre 2011 08:59
Mi fa enormemente piacere che finalmente si parla di "simultaneità" degli eventi, soperti dalla fisica quantistica diversi decenni orsono.
Si continuano a buttare fiumi di parole sulla velocità della luce, se i neutrini la superano o meno e da quì a parlare di viaggi interstellari lunghi perchè la velocità della luce non si può superare, ecc....

Cominciamo finalmente a renderci conto che la natura ci mette a disposizione elementi per cui possiamo viaggiare in batter di ciglio? Il problema, e mi ripeto come ho già fatto in altre occasioni, è che lo spazio è multidimensionale. Se noi continuamo a pensare che tutto ciò che esiste è solo nelle 3D.... e quando arriviamo! Per fortuna alcuni scienziati hanno cominciato a mangiare la foglia. Certo, le cose non saranno rapide, ma prima o poi tutti questi concetti "lineari" delle 3d che ci fanno vedere solo una parte del mondo reale, verranno superati con la visione "quantica". Perchè gli scienziati cercano da oltre venti anni (e non la trovano) la materia oscura? Perchè non comprendono l'energia oscura che "sembra" far espandere l'universo conosciuto?
Sapete che anche la propagazione della forza di gravità probailmente (aggiungo io di sicuro) è istantanea?
Nel 1984 alcuni esperimenti fecero evidenziare che la forza di gravità è anche "repulsiva". Solo che, come molte cose della scienza quando non fanno comodo....
Attenzione, alcune forze non si manifstano sempre nel mondo 3D, ma solo dietro alcuni processi, come quelli ben descritti da voi qui sopra.

Sandro
eone nero
00giovedì 1 dicembre 2011 15:08
Grazie del tuo prezioso apporto Sgittario [SM=j7798]

Hai qualche elemento sugli studi sulla gravità cui hai accennato?

Grazie anticipate. [SM=j7798]

sgittario
00venerdì 2 dicembre 2011 09:53
Re:
eone nero, 01/12/2011 15.08:

Grazie del tuo prezioso apporto Sgittario [SM=j7798]

Hai qualche elemento sugli studi sulla gravità cui hai accennato?

Grazie anticipate. [SM=j7798]




Grazie a te Eone ed a tutti voi che mi hai dato la possibilità di parlarne.

Per quanto riguarda la forza repulsiva della gravità, se ne parla in un libro del fisico italiano Walter Cassani "Albert aveva ragione, Dio non gioca a dadi". Non so se si trova più, visto che è dei primi anni novanta mi sembra. Io ne ho una copia. Se non avete la possibilità di leggerlo (ma su internet dovrebbe esserci qualcosa) vi inserisco io le pagine dove si parla della forza repulsiva.

Per quanto concerne invece l'istantaneità della velocità di propagazione della gravità, ho di sicuro qualcosa messo da parte delle mie ricerche di questi anni. La rintraccio e quanto prima vi do informazioni più precise.


PS a prposito della frase di Einstein (mi sembra a Bohr) che "Dio non gioca a dadi" cosa gli rispose? "Albert, non dire a Dio ciò che deve fare. [SM=j7798]



eone nero
00venerdì 2 dicembre 2011 10:51
Re: Re:
sgittario, 02/12/2011 09.53:



Grazie a te Eone ed a tutti voi che mi hai dato la possibilità di parlarne.

Per quanto riguarda la forza repulsiva della gravità, se ne parla in un libro del fisico italiano Walter Cassani "Albert aveva ragione, Dio non gioca a dadi". Non so se si trova più, visto che è dei primi anni novanta mi sembra. Io ne ho una copia. Se non avete la possibilità di leggerlo (ma su internet dovrebbe esserci qualcosa) vi inserisco io le pagine dove si parla della forza repulsiva.

Per quanto concerne invece l'istantaneità della velocità di propagazione della gravità, ho di sicuro qualcosa messo da parte delle mie ricerche di questi anni. La rintraccio e quanto prima vi do informazioni più precise.


PS a prposito della frase di Einstein (mi sembra a Bohr) che "Dio non gioca a dadi" cosa gli rispose? "Albert, non dire a Dio ciò che deve fare. [SM=j7798]






Grazie anticipate [SM=j7798]

Il libro sembrerebbe in commercio tra l'altro ad una cifra irrisoria (6,20 €) verifico se lo hanno.

www.bookweb.it/libro/cassani-walter-e-r/albert-aveva-ragione-dio-non-gioca-a-dadi-/9788844009...

Dello stesso autore ho trovato questo a 22,00 €

Albert aveva doppiamente ragione. Dio non può giocare a dadi

www.albertavevaragione.com/

Il sito è veramente interessante per l'ottima illustrazione della La Teoria Ondulatoria del Campo.

www.albertavevaragione.com/index.php?id=28&lang=it

Altrettanto interessante è la parte dedicata alla alla sperimentazione

www.albertavevaragione.com/index.php?id=36&lang=it




sgittario
00venerdì 2 dicembre 2011 11:11
Re: Re: Re:
eone nero, 02/12/2011 10.51:



Grazie anticipate [SM=j7798]

Il libro sembrerebbe in commercio tra l'altro ad una cifra irrisoria (6,20 €) verifico se lo hanno.

www.bookweb.it/libro/cassani-walter-e-r/albert-aveva-ragione-dio-non-gioca-a-dadi-/9788844009...

Dello stesso autore ho trovato questo a 22,00 €

Albert aveva doppiamente ragione. Dio non può giocare a dadi

www.albertavevaragione.com/

Il sito è veramente interessante per l'ottima illustrazione della La Teoria Ondulatoria del Campo.

www.albertavevaragione.com/index.php?id=28&lang=it

Altrettanto interessante è la parte dedicata alla alla sperimentazione

www.albertavevaragione.com/index.php?id=36&lang=it







Complimenti, sei stato velocissimo!! Non sapevo che Cassani aveva scritto una integrazione al suo primo libro. Ottimo a sapersi.

La teoria l'ho trovata molto interessante. Naturalmente, e come sempre in questi casi, non prendiamo tutto per oro colato.

Però ci sono spunti che si integrano benissimo con le conoscenze attuali. Almeno a mio modo di vedere.


eone nero
00venerdì 2 dicembre 2011 11:23
Re: Re: Re: Re:
sgittario, 02/12/2011 11.11:



Complimenti, sei stato velocissimo!! Non sapevo che Cassani aveva scritto una integrazione al suo primo libro. Ottimo a sapersi.

La teoria l'ho trovata molto interessante. Naturalmente, e come sempre in questi casi, non prendiamo tutto per oro colato.

Però ci sono spunti che si integrano benissimo con le conoscenze attuali. Almeno a mio modo di vedere.






Sono abbastanza profano in materia e quindi è mia abitudine leggere tutto, anche se i miei limiti frenano una piena comprensione dell'argomento trattato.

Da notare che Cassani sta ricercando partners per un nuovo brevetto Curvatura, probabilmente ha dovuito fare qualche passo avanti nei suoi studi.

www.albertavevaragione.com/index.php?id=45&lang=it


A proposito di multiuniversi ho trovato sul tubo dei documentari semplici ed interessanti intitolati l'Universo Elegante, ed un filmato sulla conferenza Serious Play del 2008 con un modello dell'universo illustrato dall'astrofisico George Smoot, posto subito.


eone nero
00venerdì 2 dicembre 2011 12:27
Fisica Quantistica - Teoria Delle Stringhe E Universi Paralleli




Universo Elegante 1 - Il sogno di Einstein




Universo Elegante 2 - L'Undicesima Dimensione




eone nero
00venerdì 2 dicembre 2011 17:13
Alla conferenza Serious Play 2008, l'astrofisico George Smoot mostra nuove stupefacenti immagini ottenute da rilevamenti nello spazio profondo, e ci stimola a riflettere su come il cosmo -- con il suo immenso reticolo di materia oscura e misteriosi, smisurati vuoti -- venne a formarsi in questo modo.

Tradotto in Italiano da Paolo Marcazzan
Revisione di Aldo Caprini













Selezionare i sottotitoli in Italiano



it.wikipedia.org/wiki/George_Fitzgerald_Smoot


Fonte: www.altrogiornale.org/news.php?extend.7381.5
sgittario
00venerdì 2 dicembre 2011 21:10
Re:
[QUOTE:114557629=eone nero, 02/12/2011 12.27

Universo Elegante 2 - L'Undicesima Dimensione







Bei filmati Eone, anche molto chiari.
Se permetti mi concentro un po sul terzo.
Per ora la Teoria delle stringhe ha di buono le diverse dimensioni spaziali unite da una elegante formulazione matematica. Ma ci sono un paio di pecche che vorrei qui precisare.

La prima riguarda i Quark. Come detto dal fisico Oerter e da L. Susskind, i quark non sono mai stati rivelati! Sono solo una assunzione teorica ma che "suona bene" con il contesto atomico.
Per ora non ti dico la loro storia perchè esula da questo argomento, ma volevo che sapeste che la scienza a volte.... si aggiusta un po le cose.

La seconda riguarda il numero di variabili necessarie alla descrizione del nostro universo multidimensionale della teoria delle stringhe. Se hai seguito bene il filmato, delle 20 variabili solo 6 sono di nostra conoscenza; tutte le altre sono a nostra discrezione. Questo è un bell'impiccio..... che di certo complica non poco le cose.



Sheenky
00giovedì 8 dicembre 2011 20:16
Bellissimo topic eone!
eone nero
00giovedì 8 dicembre 2011 21:27
Re:
Sheenky, 08/12/2011 20.16:

Bellissimo topic eone!



Grazie, purtroppo ho dovuto fermarmi e ne chiedo scusa al forum, riprenderò in settimana, ho trovato altro materiale interessante.




Stige81
00venerdì 9 dicembre 2011 09:53
Re: Re:
sgittario, 02/12/2011 21.10:


La prima riguarda i Quark. Come detto dal fisico Oerter e da L. Susskind, i quark non sono mai stati rivelati! Sono solo una assunzione teorica ma che "suona bene" con il contesto atomico.
Per ora non ti dico la loro storia perchè esula da questo argomento, ma volevo che sapeste che la scienza a volte.... si aggiusta un po le cose.

La seconda riguarda il numero di variabili necessarie alla descrizione del nostro universo multidimensionale della teoria delle stringhe. Se hai seguito bene il filmato, delle 20 variabili solo 6 sono di nostra conoscenza; tutte le altre sono a nostra discrezione. Questo è un bell'impiccio..... che di certo complica non poco le cose.



Ma infatti si parla di teorie e di modelli matematici che non hanno ancora un riscontro pratico. A livello concettuale tutto gira in maniera lineare, ma a livello oggettivo siamo ancora in alto mare visto che non si può procedere con la sperimentazione pratica.
eone nero
00venerdì 9 dicembre 2011 13:29
Stige81, 09/12/2011 09.53:


Ma infatti si parla di teorie e di modelli matematici che non hanno ancora un riscontro pratico. A livello concettuale tutto gira in maniera lineare, ma a livello oggettivo siamo ancora in alto mare visto che non si può procedere con la sperimentazione pratica.



Qualche passo avanti è stato fatto. [SM=j7798]

Entanglement quantistico tra diamanti



I ricercatori dell'Università di Oxford sono riusciti, per la prima volta nella storia dello studio dell'entanglement, a mettere in comunicazione quantistica due oggetti solidi cristallini.

Ricordate il fenomeno del teletrasporto quantistico di luce? Non si tratta di un vero e proprio teletrasporto, ma di un'istantanea comunicazione tra due particelle definita "entanglement".

L'entanglement non è di certo una novità nella mondo della fisica: molti laboratori nel mondo sono ormai in grado di effettuare esperimenti basati su questo invisibile legame che si instaura tra due particelle. Ma fino ad ora, tutte le sperimentazioni sono state eseguite su "mattoni" di materia dalle dimensioni microscopiche, come i fotoni.

Quando due particelle vengono messe sotto entanglement, alcuni dei loro attributi rimangono misteriosamente correlati anche a distanze enormi, e senza alcun tipo di canale di comunicazione fisico. Cambiare una delle proprietà della prima particella, quindi, fa istantaneamente cambiare la stessa proprietà anche nell'altra.

Ad esempio, se un elettrone sotto entanglement viene analizzato per scoprire la direzione del suo spin, l'elettrone accoppiato reagirà istantaneamente, anche se la prima particella si trova sulla Terra e la seconda ad anni luce di distanza.
"Credo di poter dire con certezza che nessuno riesce a capire la meccanica quantistica" sostenne anni fa il celebre fisico Richard Feynman. In effetti, nessuno fino ad ora è riuscito a capire con precisione il come e il perchè dell'entanglement.

Sappiamo, tuttavia, che l'entanglement funziona, è reale, e possiamo eseguire esperimenti su questo bizzarro fenomeno nella speranza di poter capire le sue dinamiche e, se possibile, sfruttarle per creare una nuova era della fisica e della tecnologia.

Ciò che i ricercatori del Clarendon Laboratory della University of Oxford hanno fatto è stato mettere in pratica il livello successivo di entanglement quantistico: invece delle tradizionali particelle, i ricercatori sono stati capaci di mettere sotto entanglement due oggetti solidi.

L'esperimento è stato eseguito utilizzando diamanti delle dimensioni di qualche millimetro, "e non atomi individuali, o nubi di gas" spiega Ian Walmsley, professore di fisica sperimentale al Clarendon Lab.
"Abbiamo utilizzato brevi impulsi laser con la durata di 100 femtosecondi per ciascun impulso" continua Walmsley. "Un femtosecondo sta ad un secondo come un nichelino sta al debito federale americano, per metterla in soldoni".

I diamanti sono stati scelti per la facilità nel misurare la loro vibrazione molecolare, e per il fatto che sono trasparenti alla luce visibile. La vibrazione dei cristalli del primo diamante, innescata dal laser, ha immediatamente suscitato una reazione nel secondo diamante, i cui cristalli hanno iniziato a vibrare allo stesso ritmo di quelli del primo.

"Rimane comunque un modo molto poco intuitivo per vedere la materia" ammette Walmsley. Resta il fatto che, per la prima volta, si è riusciti a mettere sotto entanglement due oggetti enormi rispetto ad una particella fondamentale, e a temperatura ambiente. Questo rappresenta il primo, reale passo verso una tecnologia basata sulla meccanica quantistica.

Immaginate, infatti, di poter mettere sotto entanglement due cristalli, e di riuscire a farli vibrare in modo controllato secondo uno schema binario. Vibrazioni più o meno lunghe, rappresentanti sequenze di 0 e 1, potrebbero essere trasmesse a distanze virtualmente infinite in tempo zero, ed essere decodificate dalla stazione di ricezione per essere trasformate in informazioni utilizzabili da un computer.

Immaginazione troppo fervida? Probabile, ma la possibilità di utilizare l'entanglement in modo pratico sta diventando di giorno in giorno sempre più concreta.

Fonte:

www.physorg.com/news/2011-12-quantum-world-diamonds.html

www.ditadifulmine.com/2011/12/entanglement-quantistico-tra-diama...

Gabrjel
00mercoledì 21 dicembre 2011 09:15
TONELLI: "POTREMMO ANCHE SCOPRIRE DI ESSERE IN UN MULTIVERSO"



Pochi giorni fa, per la prima volta, è stata rilevata una "traccia" del bosone di Higgs, anche conosciuto come la "particella di Dio". A darne notizia, in una conferenza stampa trasmessa in streaming e seguita da oltre 110 mila utenti, sono stati gli stessi autori di quella che per il momento nessuno vuole chiamare "scoperta", gli italiani Guido Tonelli, responsabile dell'esperimento CMS, professore dell'Università di Pisa e ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), e Fabiola Gianotti, fisica italiana che dirige l'esperimento ATLAS, sempre al Large Hadron Collider (LHC) al Cern in Svizzera. Per comprendere meglio il valore della duplice ricerca, condotta presso i laboratori del Cern di Ginevra, abbiamo intervistato il fisico Tonelli che non ha mancato di descrivere quelli che saranno i prossimi passi e i possibili sviluppi della ricerca.

Cos'è il “bosone di Higgs”?
“E’ una particella la cui esistenza è stata ipotizzata in alcune teorie e avrebbe una funzione fondamentale, in quanto darebbe la massa a tutte le altre particelle elementari. Senza il bosone di Higgs, o di altre particelle che svolgano questo compito, gli atomi non potrebbero stare insieme: non ci sarebbe la chimica, noi stessi non potremo esistere e l’intero Universo non sarebbe così come lo conosciamo. Insomma il bosone di Higgs ha un ruolo molto importante nella fisica moderna e riuscire a scoprirlo è una delle questioni decisive”.

Perché il bosone di Higgs è stato anche ribattezzato “particella di Dio”?
“A chiamarlo così è stato l’illustre collega e premio Nobel per la Fisica Leon Max Lederman. Personalmente, sebbene sia stato ribattezzato così perché nella formazione dell’Universo il bosone di Higgs ha un ruolo importante, trovo sia un nome un po’ inappropriato. In realtà il bosone di Higgs è una particella materiale, stiamo parlando di uno stato della materia e Lederman intendeva alludere al fatto che nei primi istanti di vita dell’Universo, attraverso il ruolo giocato dal bosone di Higgs si sono differenziate due forze elementari: la forza elettromagnetica e la forza debole che produce il decadimento degli atomi. Queste due forze inizialmente erano indistinguibili, via via che l’Universo ha cominciato a raffreddarsi l’elettromagnetismo è rimasto ad un raggio d’azione infinito mentre la forza debole è diventata a piccolissimo raggio. Questa differenza è stata fondamentale per l’evoluzione dell’Universo così come lo conosciamo”.

Se si dimostrasse che il bosone di Higgs non esiste, cosa cambierebbe per l’uomo?
“Per la vita di tutti noi non cambierebbe assolutamente nulla. Con i nostri esperimenti stiamo cercando soltanto di capire cosa ci circonda, l’origine della materia e dunque da cosa è composto l’Universo. E’ comunque fondamentale che i fisici sperimentali riescano a verificare, senza ombra di dubbio, l’esistenza del bosone di Higgs. Se non lo trovassimo si dovrebbe ricorrere ad un’altra teoria”.

Individuarlo potrebbe avere delle implicazioni nello sviluppo di nuove tecnologie?
“E’ difficile prevedere il futuro. Ogni volta che c’è stato un avanzamento della conoscenza nella fisica fondamentale, prima o poi ci sono state anche delle applicazioni nella tecnologia. Posso comunque fare un esempio dei possibili benefici: ai primi del ‘900, quando con gli esperimenti si è verificata la meccanica quantistica o la relatività, nessuno immaginava che oggi avremo usato la meccanica quantistica sui nostri cellulari e con la relatività i più moderni sistemi di localizzazione Gps. Spesso servono decine, centinaia di anni, prima di tradurre le scoperte in benefici per la vita quotidiana”.

La vostra ricerca potrebbe portare a comprendere se il nostro mondo si trova in un Universo o in un Multiverso. Può spiegarci meglio questo aspetto?
“Una delle ricerche principali che stiamo conducendo è la ricerca del bosone di Higgs, e su questa c’è tutta l’attenzione dei media. Pochi però parlano di altre due ricerche che stiamo conducendo e che risultano essere altrettanto importanti. Una riguarda la supersimmetria, ossia la ricerca di una nuova forma di materia che potrebbe probabilmente spiegare l’origine della materia oscura, che circonda la nostra galassia e che riempie l’Universo. Un altro studio si concentra invece nella ricerca di particelle molto massicce (10, 20 o 50 volte più massicce del bosone di Higgs), la cui presenza potrebbe suggere, e validare, alcune delle teorie di extradimensioni. Queste ci porterebbero a supporre che il nostro non è un ‘universo unico’ ma una realtà facente parte di un sistema composto da un’infinità di universi, chiamata in gergo Multiverso. Il giorno in cui dovessimo individuare queste particelle molto massicce, e le potessimo associare alle teorie che prevedono i multiversi, ci sarebbe un cambiamento radicale della visione che abbiamo oggi delle cose che compongono la Natura”.

Perché non avete ancora voluto parlare di “scoperta”?
“Nel nostro mestiere la prudenza è d’obbligo. Per pronunciare la parola scoperta vorremo esser certi dei dati. Diremo abbiamo ‘scoperto qualcosa’ soltanto quando saremo sicuri che la probabilità di sbagliare è inferiore a una su 1 milione o più. Attualmente si è comunque visto che entrambi gli esperimenti, condotti da team di ricercatori diversi che si servono di tecnologie completamente diverse, hanno confermato dati compatibili e ciò è di per sé molto vicino ad esser definito ‘scoperta’: tutto ciò è molto intrigante, ma le conferme potranno arrivare con l’analisi dei dati che verranno nei prossimi mesi”.

Quali saranno i vostri prossimi passi?
“Stiamo ancora lavorando. Nonostante il seminario sia ormai avvenuto, e il Natale sia ormai alle porte, stiamo lavorando ancora molto intensamente e attendiamo i risultati di ulteriori analisi. I dati presentati durante la conferenza stampa erano preliminari, in queste settimane fino alla fine di gennaio continueremo ad snocciolare dati e solo dopo pubblicheremo degli articoli consuntivi in cui spiegheremo cosa abbiamo compreso. Solo a quel punto potremo parlare di dati completi. Verso marzo, avendo pubblicato i dati dei due esperimenti, combineremo le due osservazioni come se fossero una sola ricerca unica. Il terzo e ultimo step, quello che dovrebbe mettere il ‘bollo notarile’, dovrebbe aver luogo in estate, a luglio: a quel punto speriamo proprio di poterci lasciare andare e fare l’annuncio della ‘scoperta’”.

Nel caso ci sarebbero dei principi della fisica che verrebbero messi in crisi dalla “scoperta”?
“No, anzi. I dati finora ottenuti sono compatibili con tutte le teorie oggi assodate. Sono poi sicuro che proseguendo saremo in grado di individuare anche altre importanti particelle al momento sconosciute. Secondo i dati raccolti, infatti, il bosone di Higgs potrebbe avere una massa relativamente bassa e ciò non potrebbe esser spiegata se non con la presenza di altre particelle massicce che gli facciano da guardia del corpo. Insomma, è probabile che le sorprese non siano ancora finite e nei prossimi mesi ne sapremo di più”.

Delle 6 mila persone che lavorano ai due esperimenti, Atlas e Cms, circa 900 sono italiani. Le università italiane sfornano tante menti brillanti ma poi non sono in grado di sfruttarne le potenzialità. Qual è il problema?
“Nel mio campo vedo che i giovani che provengono dalle università italiane sono in assoluto tra i migliori. Non dico questo perché sono anch’io un italiano, ma perché, in quanto responsabile di svariati esperimenti, quando devo selezionare e assegnare una certa responsabilità non posso guardare se una persona viene dalla Cina, dall’India o dagli Stati Uniti. Esiste dunque un solo metro di valutazione, ed è strettamente legato alle capacità dell’individuo. Per giudizio unanime della comunità internazionale i giovani laureati italiani sono tra i migliori. Questo significa che c’è una ottima scuola, delle ottime organizzazioni e una struttura organizzativa che investe nella ricerca, e che merita di esser citata, è l’Istituto nazionale di fisica nucleare”.

Ma allora il problema dove sta?
“Il problema risiede nell’incapacità di guardare a questi giovani come una potenzialità di sviluppo per il Paese. In Italia, anziché favorire e incoraggiare i tanti giovani che vogliono studiare, che hanno voglia di fare ricerca, rendendosi conto che questo è il futuro del nostro Paese, li si considera banalmente un costo, e quando si attraversa un momento difficile sono i primi ad esser tagliati. Questa è la cosa peggiore che un Paese possa fare, perché molti di questi ragazzi, che da noi stentano a trovare un’occupazione nell’università o nei centri di ricerca, vengono assunti di corsa dalle migliori università e dai più moderni laboratori stranieri. In questa maniera noi perdiamo le menti migliori della nostra generazione”.

La possibile soluzione dunque quale potrebbe essere?
“Qualunque governo al potere, sia esso di destra, sinistra o centro, deve rendersi conto che per sviluppare il nostro Paese l’investimento nella ricerca non è un problema, ma la soluzione a tutti i problemi. Bisogna dunque agire di conseguenza, e in fretta”.

Fonte: notizie.tiscali.it/articoli/scienza/11/12/particella-dio-bosone-higgs-intervista-tone...
Gabrjel
00domenica 25 dicembre 2011 09:39
Posto questo articolo anche qua.
A mio parere può essere ricollegato all'argomento di questo topic.
L'articolo è tratto dalla rivista "Il giornale dei misteri" n. 476





Gabrjel
00martedì 24 gennaio 2012 11:25
Re:
zambu83, 29/11/2011 16.43:

Allora se tutto è un ologramma,anche Voi con i quali sto disquisendo su questo forum non siete altro che una proiezione della mia mente,anzi della mia coscienza che mi fa apparire tutti Voi reali.
Non lo so! Mi sembra una teoria troppo forte.......ora me ne vado sotto l'albero del baobab a meditare sulla cosa...... [SM=g7729]




Uhm...e chi ti dice che invece non sei tu l'ologramma della mia mente... In realtà tu potresti anche non esistere...ma sei semplicemente un qualcosa creato da me per "dialogare".
O magari io sono proprio parte della tua mente...e in questo momento mi sto divertendo per incasinarti ancora di più... [SM=g27990]
Oppure potremmo esistere tutti. Ed è proprio per "colpa" nostra che esiste il tutto come noi lo conosciamo. Una mente estesa comune che crea il tutto...
Gabrjel
00mercoledì 25 gennaio 2012 08:04
IL MODELLO OLOGRAFICO DEL CERVELLO

Da ufologando.altervista.org/index.php/biologia/93-il-modello-olografico-del-...

“Come e dove è situata la memoria?”
Karl Pribram, celebre neurochirurgo austriaco, nato nel 1919 a Vienna, prende spunto da questa semplice domanda, arrivando a concepire una teoria rivoluzionaria della memoria umana, e quindi del cervello e della Mente.
All’inizio degli anni ’40, per l’opinione generale la memoria era situata in qualche punto preciso del cervello. Si credeva che ogni singola memoria dell’individuo – ad esempio il ricordo del profumo di un fiore, o l’ultima volta che si è incontrata la nonna – avesse una precisa collocazione tra le cellule cerebrali.
Questi “pezzi di memoria” erano battezzati “engrammi”… nessuno aveva una chiara idea di che cosa davvero fossero – ad esempio, un gruppo di neutroni, o magari di molecole – eppure gli scienziati pensavano che fosse solo questione di tempo prima della conferma definitiva.
Una fiducia fondata. In Canada, il neurochirurgo Wilder Penfield aveva condotto studi negli anni ’20, con prove convincenti che specifici ricordi avessero specifiche collocazioni nel cervello.
Una delle caratteristiche più insolite del cervello è che esso, in quanto tale, non prova dolore. Purché cranio e cuoio capelluto siano anestetizzati, è possibile intervenre chirurgicamente direttamente sul cervello di una persona sveglia e cosciente, senza provocare dolore.
Penfield sperimentava operando il cervello di persone epilettiche: stimolava elettricamente le cellule di specifiche aree cerebrali… scoprendo che stimolando i lobi temporali (la regione dietro le tempie) di soggetti svegli, questi rivivevano in dettaglio specifici episodi passati.
Ad esempio, un uomo ricordò del tutto una conversazione con un amico di parecchi anni prima; una donna rivide se stessa in cucina ascoltare il figlio che canta fuori dalla finestra, ecc.
Nel libro del 1975, “I misteri della Mente”, Penfield scrive “Era evidente che non si trattava di sogni. Si attivavano elettricamente ricordi sequenziali di esperienze passate. I pazienti letteralmente rivivevano tutto ciò di cui erano stati coscienti durante gli episodi passati, in un vivido flash-back”.
Penfield concludeva che tutto ciò che ogni persona vive, e di cui è cosciente, viene registrato nel cervello… letteralmente… ogni viso di sconosciuti incrociati per strada, ogni minima ragnatela vista fin da bambini… tutto, insomma…
Pribram, all’epoca giovane ricercatore e studente di neurochirurgia, non aveva motivo di dubitare della teoria di Penfield.
Sennonché avvenne un fatto che cambiò per sempre il suo modo di vedere le cose.
Nel 1946 ebbe l’occasione di lavorare con il grande neuropsicologo Karl Lashley. Questi aveva condotto ricerche trentennali sui misteriosi meccanismi che regolano la memoria, che Pribram ebbe modo di seguire di prima mano.
Stupefacente… non solo Lashley non era riuscito a trovare alcuna prova dell’esistenza degli engrammi, ma addirittura la sua ricerca contraddiceva quella di Penfield.
Lashley addestrava i ratti a compiere certe operazioni, come percorrere un labirinto. Poi rimuoveva chirurgicamente parti del cervello e li rimetteva alla prova. Voleva letteralmente estrarre la parte di cervello che si supponeva contenere la memoria del labirinto. Immaginate la sorpresa quando si rese conto che, non importa quanto grande fosse la parte di cervello rimossa, pur mantenendo il ratto in vita, a questi non si cancellava mai la memoria. In genere le abilità motorie del ratto venivano compromesse e si muoveva a fatica, ma la memorie restavano testardamente intatte!
Secondo Pribram, la scoperta era stupefacente: se i ricordi hanno davvero localizzazioni specifiche nel cervello, perché le rimozioni chirurgiche non hanno effetto?
Pribram riteneva che la sola risposta fosse che la memoria non ha una localizzazione specifica nel cervello, ma è in qualche modo distribuita. Purtroppo, non conosceva alcun meccanismo biologico che potesse spiegarlo.
Lashley era anche più dubbioso… scrisse “riesaminando i risultati sperimentali sulla presunta localizzazione della memoria, la conclusione razionale è che l’apprendimento è semplicemente impossibile. Eppure – in qualche modo avviene lo stesso!”
Un mistero che Pribram aveva a cuore...
Dopo due anni di collaborazione con Lashley, ebbe l’occasione di spostarsi a Yale.

Un passo avanti
A Yale, Pribram continua a riflettere sull’idea che la memoria sia in qualche modo distribuita nel cervello… più ci pensava, più se ne convinceva.
In fondo, i pazienti a cui si rimuoveva chirurgicamente parte del cervello, continuavano a non perdere specifiche porzioni di memoria. Persino la rimozione di vaste zone del cervello poteva rendere la memoria confusa, ma nessuno uscì mai dalla sala operatoria con la perdita di specifiche memorie.
Analogamente, persone che avessero subito gravi incidenti, non dimenticavano mai metà della propria famiglia, o metà del romanzo che avevano appena letto. Persino rimuovendo parti dei lobi temporali, l’area così importante nelle ricerche di Penfield, non si avevano buchi nelle memorie dei pazienti.
Pribram fu ulteriormente convinto dalla impossibilità, sua e di altri ricercatori, di replicare le scoperte di Penfield stimolando i cervelli di persone non epilettiche. Con queste, nemmeno lo stesso Penfield ci era mai riuscito.
Nonostante la crescente evidenza che le memorie fossero in qualche modo distribuite, Pribram era ancora al punto di partenza.
Come spiegare il potere del cervello a compiere un compito apparentemente magico, se non impossibile?
Poi, a metà degli anni ’60, lesse un articolo di Scientific American che descriveva la costruzione del primo ologramma – si sentì come folgorato!
Non solo l’idea dell’olografia era strabiliante, ma gli dava la soluzione al rompicapo che andava affrontando da anni!
Perché Pribram restò così eccitato?
Bisogna comprendere cosa è e come funziona un ologramma. Ciò che lo rende possibile è un fenomeno chiamato “interferenza” (che ritroviamo spesso su Grandi Passioni.com… andate a rivedere i post sulla fisica quantistica).
La “interferenza” è lo schema che creano due o più onde che si incrociano, ad esempio onde d’acqua, quando si colpiscono le une con le altre. Se, per esempio, se si getta un comune sasso nello stagno, si producono una serie di onde concentriche che tendono verso l’esterno. Gettatando due sassi nello stagno, si hanno due serie di onde che vanno verso l’esterno, si incrociano e passano le une attraverso le altre. Il complesso schema di creste ed avallamenti delle onde risultanti si chiama appunto “schema d’interferenza”.
Qualunque fenomeno ondulatorio può creare uno “schema d’interferenza”, comprese le onde luminose e le onde radio. La luce del laser, assolutamente pura, è particolarmente adatta, lo “schema d’interferenza” è praticamente perfetto, ed è per questo che, prima del laser, non è stato possibile creare gli ologrammi.

Come si ottiene un ologramma?
Un raggio laser viene separato in due raggi distinti. Il primo rimbalza sull’oggetto che si desidera fotografare. Il secondo si va invece a scontrare con la luce riflessa del primo. Questo crea uno “schema d’interferenza” che viene impresso su una superficie fotosensibile.
A prima vista, l’immagine sulla superficie non assomiglia affatto all’oggetto fotografato.. anzi sembra proprio la serie di onde prodotta dal sasso nello stagno… ma non appena un raggio laser attraversa la superficie, ecco apparire un’immagine tridimensionale dell’oggetto fotografato!
Si può persino camminarci intorno e vederla da differenti angolazioni, come fosse un oggetto reale.
Naturalmente, se si tenta di afferrare l’immagine, ci si rende conto che non c’è niente fuorché aria.
La tridimensionalità non è il solo aspetto significativo dell’ologramma. Se un pezzo di pellicola sensibile olografica con impressa, ad esempio, l’immagine di una mela, viene tagliata a metà e poi illuminata con una luce laser, ognuna delle due metà contiene ancora tutta l’immagine della mela!!! Anche continuando a dividere le metà in parti sempre più piccole, in ogni pezzo si continua a poter ricostruire l’intera mela, anche se l’immagine diventa via via più confusa.
A differenza della fotografia normale, ogni piccolo pezzo della pellicola olografica contiene l’informazione dell’intera immagine.

Era proprio questo a rendere Pribram così eccitato! Finalmente poteva cominciare a comprendere la maniera in cui la memoria si distribuisce nel cervello!
Se un pezzettino di pellicola olografica è in grado di trattenere l’informazione dell’intera immagine, allora, pensava Pribram, anche ogni parte del cervello è in grado di trattenere l’informazione che può richiamare un’intero ricordo.
La memoria non è la sola cosa che il nostro cervello processa in modo olografico: anche la vista è olografica!
Una delle scoperte di Lashley è che i centri visivi del cervello resistono in modo sorprendente a rimozioni chirurgiche: nel ratto, persino rimuovendo il 90% della corteccia visiva (la parte del cervello che riceve ed interpreta ciò che vede l’occhio), scoprì che l’animale poteva ancora compiere attività che richiedevano abilità visive evolute.
Esperimenti simili di Pribram rivelarono che il 98% dei nervi ottici del gatto possono essere separati senza danno significativo all’esecuzione di compiti che richiedono abilità visiva.
All’epoca, questa situazione corrispondeva all’ipotesi che il pubblico di un film riesca a godere la pellicola anche dopo che il 90% dello schermo sia coperto, e gli esperimenti di Pribram erano una seria sfida all’interpretazione che allora si dava della vista, secondo cui si pensava che ci fosse una corrispondenza 1:1 tra l’immaine vista dall’occhio ed il modo in cui questa immagine viene rappresentata nel cervello. In altre parole, se una persona guarda un quadrato disegnato sulla carta, si credeva che l’attività elettrica nella corteccia assumesse essa stessa una forma quadrata.
Sebbene le scoperte di Lashley sembrassero seppellire per sempre questa interpretazione, Pribram non era ancora soddisfatto: a Yale escogitò degli esperimenti per misurare con cura l’attività elettrica nel cervello delle scimmie, mentre compivano vari compiti visivi. Non solo confermò che non esiste assolutamente la corrispondenza 1:1, ma persino che non c’era nemmeno alcuno schema riconoscibile nel modo in cui gli elettrodi venivano attivati. Pribram scrisse “Gli esperimenti sono incompatibile con l’interpretazione secondo cui una immagine di tipo fotografico viene proiettata sulla superficie della corteccia”.
Di nuovo, la resistenza della corteccia visiva alla rimozione chirurgica suggeriva che anche il senso della vista, esattamente come la memoria, è in qualche modo distribuito… Pribram, dopo aver preso conoscenza del procedimento olografico, parlò di “vista olografica”.
La natura dell’ologramma per cui “il tutto è in ogni sua parte” sembrava aprire alla spiegazione di come potesse essere rimossa una parte così enorme della corteccia, senza compromettere la vista. Se il cervello processa le immagini creando una qualche specie di ologramma interno, persino una piccola parte dell’ologramma potrebbe riuscire a ricostruire l’intera immagine che l’occhio ha davanti a sé.
Resta una domanda: che genere di attività “ondulatoria” può mai compiere il cervello, per creare questi ologrammi interni? Pribram concepì una risposta: era noto che le comunicazioni elettriche che avvengono tra i neuroni del cervello non succedono da sole; i neuroni posseggono ramificazioni, e quando il segnale elettrico raggiunge la fine di uno di questi rami, si irraggia all’esterno, come le onde in uno stagno. Siccome i neuroni sono compressi in uno spazio molto ridotto, si crea una espansione di queste onde – ed è un fenomeno ondulatorio – che continuano tra di loro ad incrociarsi, creando, secondo Pribram, un caleidoscopio quasi infinito di effetti di interferenza… potrebbe essere questo a dare al cervello le sue proprietà olografiche.
Osserva Pribram: “L’ologramma è lì da sempre, nella natura ondulatoria delle connessioni neurali, semplicemente non siamo mai stati abbastanza svegli da rendercene conto”.

Le domande a cui risponde la teoria olografica del cervello
Pribram pubblicò il primo articolo sulla natura olografica del cervello nel 1966, continuando poi ad espanderla e precisarla, dando una spiegazione plausibile a molti misteri della Mente.

La vastità della memoria
L’olografia spiega come possa il cervello conservare una quantità immensa di ricordi in uno spazio relativamente ridotto.
Il matematico John Von Neumann ha calcolato che mediamente l’essere umano, nel corso della vita, ricorda 2,8 x 1028 (280.000.000.000.000.000.000) bit di informazione: a lungo i ricercatori si sono chiesti quale meccanismo mentale possa spiegare una simile capacità.
Sorprendentemente, anche gli ologrammi hanno una fantastica capacità di conservare informazione. Modificando l’angolo con cui due laser colpiscono la superficie olofotografica, è possibile registrare molte diverse immagini sulla stessa superficie. Ogni immagine così impressa può poi essere recuperata illuminando la superficie con un laser avente lo stesso angolo dei raggi originari. I ricercatori hanno calcolato che un centimetro quadrato di superficie olofotografica può conservare informazioni pari al contenuto di 50 Bibbie (non si riesce però a trovare nessuno che abbia voglia di leggerle, ndr).

L’abilità di richiamare ricordi e dimenticarli
L’ologramma spiega anche questa specifica abilità: tenendo un pezzo di pellicola olofotografica sotto un raggio laser, inclinandola, varie immagini contienute appaiono e spariscono in una sorta di flusso continuo. L’idea è che la nostra abilità a ricordare e dimenticare corrisponda ad illuminare con il laser la superficie ad un particolare angolo, richiamando un’immagine specifica. Analogamente, quando non riusciamo più a ricordare qualcosa, ciò può corrispondere a proiettare uno o più raggi sulla superficie, mancando però l’angolo corretto per richiamare l’immagine giusta.

Memoria associativa
Nelle Ricerca del Tempo Perduto di Proust, un goccio di thé ed una fettina di torta detta piccola madeleine fa sì che il narratore si ritrovi immerso in un flusso di memorie del proprio passato, molto vivide. Lì per lì resta anch’egli stupefatto, ma poi, con sforzo, si rende conto che sua zia era solita dargli la stessa torta quando era bambino, ed era l’associazione a risvegliargli la memoria. Praticamente chiunque ha avuto esperienze simili, eventi o stimolo di sensi che evocano scene dal lontano passato.
L’interpretazione olografica offre una nuova analogia per le tendenze associative della memoria, mostrata da un’altra tecnica: per prima cosa, il raggio laser viene fatto rimbalzare con¬tem¬po¬ra¬nea¬men¬te tra due oggetti, ad esempio una sedia ed una pipa. Si permette al raggio che rimbalza da ogni oggetto di scontrarsi con l’altro, ed il risultante schema d’interferenza viene impresso su una pellicola olofotografica. Ora, quando la sedia viene illuminata con un laser, e la luce che vi si riflette passa dalla pellicola, ad apparire è la pipa! Naturalmente, invertendo gli oggetti l’effetto è lo stesso – illuminando la pipa, si fa apparire la sedia!!!

Così, se il cervello funziona in modo olografico, un processo simile potrebbe determinare il modo in cui specifici oggetti o esperienze evocano eventi del nostro passato.
Proseguiamo dalla parte precedente, a spiegare meccanismi di funzionamento del cervello e della Mente del tutto misteriosi per l’interpretazione classica, e sui quali l’interpretazione olografica getta una nuova luce.

L’abilità di riconoscere cose familiari
A prima vista l’abilità di riconoscere cose familiari può sembrare niente di speciale, ma i ricercatori hanno capito da tempo che si tratta di un’abilità complessa. Per esempio, l’assoluta certezza con cui notiamo un viso familiare in una folla di centinaia di persone non è una semplice emozione soggettiva, ma sembra determinata da una forma velocissima ed affidabile di elaborazione di informazioni che avviene nella nostra Mente.
In un articolo del 1970 sulla rivista scientifica britannica Nature,il fisico Pieter van Heerden fece notare che una forma di tecnica olografica nota come recognition holography (olografia di riconoscimento) offre una possibilità di comprendere tale abilità.
Nella recognition holography, l’immagine olografica di un oggetto è registrata nella solita maniera, salvo per il fatto che il raggio laser viene fatto rimbalzare da uno specchio speciale detto focusing mirror, prima di arrivare alla superficie olofotografica. Se un secondo oggetto, simile ma non identico al primo, viene immerso nella luce laser, e questa viene fatta rimbalzare dallo specchio sulla pellicola appare un punto luminoso. Più è luminoso ed intenso il punto, e maggiore è la somiglianza tra il primo ed il secondo oggetto. Se i due oggetti sono del tutto dissimili, non appare alcun punto luminoso. Mettendo una fotocellula dietro la pellicola olografica, è possibile usarla come sistema automatico di riconoscimento.
Una tecnica simile, detta olografia di interferenza, può spiegare come facciamo a riconoscere sia le caratteristiche familiari che quelle estranee in un’immagine, ad esempio il viso di una persona che non abbiamo visto da molti anni. In questa tecnica, un oggetto viene osservato attraverso una pellicola olografica che contiene l’immagine dell’oggetto stesso. Ogni caratteristica dell’oggetto che è cambiata rispetto a com’era l’oggetto quando è stata fatta l’olografia, riflette la luce in maniera diversa. Basta un’occhiata attraverso la pellicola per rendersi immediatamente conto di come l’oggetto sia cambiato, ed anche di come sia rimasto lo stesso. La tecnica è così sensibile che persino l’impronta di un dito su un blocco di granito è immediatamente visibile… utilissimo in alcune applicazioni pratiche, specialmente per testare materiali.

La memoria fotografica
Nel 1972 a Harvard, due ricercatori nel campo della vista, tali Daniel Pollen e Michael Tractenberg, proposero che la teoria olografica del cervello possa spiegare la ragione per cui alcune persone hanno la cosiddetta memoria fotografica. In genere, esse sono in grado di osservare brevemente e memorizzare la scena davanti ai loro occhi; quando vogliono rivederla, ne “proiettano” un’immagine mentale, come guardando uno schermo immaginario davanti agli occhi. Studiando uno di questi individui, Elzabeth, professoressa di Storia dell’Arte a Harvard, Pollen e Tractenberg scoprirono che le immagini mentali che proiettava erano talmente reali per lei che, quando “leggeva mentalmente” una pagina del Faust di Goethe, i suoi occhi si muovevano esattamente come se il libro fosse davanti ai suoi occhi.
Notando che l’immagine conservata in un pezzo di pellicola olofotografica diventa sempre più confusa man mano che se ne riduce la dimensione, Pollen e Tractenberg hanno suggerito che forse questi individui hanno una memoria così potente perché in qualche modo hanno accesso a regioni molto vaste della loro memoria olografica. Al contrario, la maggior parte di noi ha memorie meno precise perché l’accesso è limitato a regioni più piccole.

Il trasferimento di abilità acquisite
Pribram ritiene che il modello olografico spiega anche l’abilità di trasferire abilità acquisite da una parte del corpo ad un’altra. Fate questo banale esperimento: con il vostro gomito sinistro, tracciate in aria il vostro nome. Probabilmente non l’avete mai fatto prima, eppure non dovreste avere alcuna difficoltà.
Può sembrare niente di eccezionale, ma nella interpretazione classica del cervello, le varie zone di questo (come, ad esempio, quelle che controllano il gomito sinistro), sono in grado di compiere delle azioni solamente dopo che un apprendimento ripetitivo ha generato le appropriate connessioni neurali tra le cellule del cervello… quindi, l’abilità di trasferire abilità da una parte del corpo all’altra senza difficoltà resta un mistero.
Pribram sottolinea che la questione diventa spiegabile se si assume che il cervello in qualche modo converte ogni informazione che possiede, comprese quelle di abilità acquisite come saper scrivere, in un linguaggio di schemi di interferenza di onde. Un cervello del genere sarebbe infinitamente più flessibile e potrebbe trasferire le informazioni trasferite nelle sue varie parti con la stessa facilità con cui un abile pianista sa eseguire uno stesso brano in zone diverse della tastiera del pianoforte.
Questa stessa flessibilità può anche spiegare in che modo siamo in grado di riconoscere un viso familiare indipendentemente dall’angolo con cui lo osserviamo.
Di nuovo, una volta che il cervello ha memorizzato un viso – o ogni altro oggetto o scena – lo converte in un linguaggio costituito da onde, e, in un certo senso, ne crea un ologramma che può poi esaminare da varie angolazioni e prospettive.

Come costruiamo “il mondo la’ fuori”
Per ogni persona e’ del tutto ovvio che emozioni e sensazioni di amore, fame, rabbia, e cosi’ via, sono “realta’ interne” al proprio corpo, mentre il suono di un’orchestra, il calore del sole, l’odore del pane infornato, ecc., sono “realta’ esterne”.
Eppure, non e’ ancora chiaro in che modo il cervello riesce a distinguere tra i due tipi di realta’.
Ad esempio, Pribram sottolinea che quando si guarda un’altra persona, l’immagine e’ in effetti sulla retina dell’osservatore. Eppure, nessuno percepisce la persona come se fosse sulla retina, bensi’ come “persona la’ fuori”.
Ed ancora: quando si sbatte un dito del piede contro un oggetto, l’esperienza di dolore e’ nel piede stesso. Si tratta di un processo neurologico che in qualche modo avviene nel cervello.
E’ lecito domandarsi come faccia il cervello a registrare gli infiniti processi fisici e neurali che sono determinati dalla nostra esperienza, tutti interni al corpo, e nello stesso tempo riuscire a farci percepire che alcune “realta’ “ sono interne al corpo, ed altre esterne?
Ebbene, la quintessenza della natura dell’ologramma sta proprio nel creare l’illusione che gli oggetti siano la’ dove invece non sono. Sappiamo che se si guarda un ologramma, questo sembra essere tridimensionale, ma se si tenta di afferarlo, la mano ci passa attraverso. Nonostante quanto possano comunicare i sensi, nessuno strumento di misura registrera’ mai la presenza fisica dell’oggetto nel luogo ove appare l’ologramma, che e’ dunque un’immagine virtuale, che appare la’ ove l’oggetto non e’, persino con estensione tridimensionale nello spazio… ma non ha piu’ realta’ del nostro riflesso in un qualunque specchio.
Ulteriori prove della capacita’ del cervello di far pensare che processi mentali interni sono invece esterni al corpo, sono state trovate dal premio Nobel Georg von Bekesy. In una serie di esperimenti condotti negli anni ’60, Bekesy ha piazzato dei vibratori sulle ginocchia di persone bendate. Poi, ha iniziato a cambiare la frequenza della vibrazione. Scopri’ che e’ possibile ingannare la persona dandole la sensazione che c’e’ un punto da cui si originano le vibrazioni, e che questo “saltella” da una gamba all’altra… addirittura si puo’ trasmettere la sensazione che il punto di origine delle vibrazioni sia in aria, tra le ginocchia. In altre parole, ha dimostrato che gli esseri umani possono avere l’illusione di provare una sensazione fisica persino in punti dello spazio ove il corpo non e’ presente.
Pribram ritiene che il lavoro di Bekesy e’ compatibile con la concezione olografica e che illumina ancor meglio il modo in cui lo schema di interferenza di onde – qui prodotto da vibrazioni fisiche – permette al cervello di localizzare l’esperienza al di fuori dei confini fisici del corpo. Pribram ritiene che questo spieghi anche la sensazione di “arti fantasma”, come fossero presenti, che provano persone a cui sono stati amputati… riescono persino a provare crampi, dolore, solletico in arti che fisicamente non esistono piu’… Pribram ipotizza che provino l’esperienza della memoria degli arti, registrata nelo schema di interferenza del loro cervello.

Esperimenti che confermano il modello olografico del cervello
Certo Pribram era elettrizzato dalla sua teoria olografica, ma si rendeva ben conto che senza una solida evidenza sperimentale, essa non aveva alcun significato. Cosi’, tale Paul Pietsch, ricercatore della Indiana University, gli forni’ risposte importanti.
La cosa divertente e’ che Pietsch inizio’ i suoi lavori come ardente oppositore della teoria olografica, soprattutto della parte per cui la memoria non ha una locazione specifica nel cervello.
Pietsch decise cosi’ di smentire Pribram, con una serie di esperimenti sulle salamandre. Aveva infatti scoperto che e’ possibile rimuovere anche l’intero cervello della salamandra senza ucciderla, lasciandola in uno stato di torpore, e poi addirittura rimetterlo a posto, facendo tornare normale l’animale.
Pietsch si disse che, se l’istinto ad alimentarsi non e’ posizionato in alcun luogo specifico del cervello, come voleva Pribram, non dovrebbe avere nessuna importanza il modo in cui il cervello dell’animale viene posizionato nella testa… se invece la posizione del cervello e’ importante, Pribram sarebbe smentito. Quindi, ha preso la povera bestia, ha rivoltato l’emisfero destro e sinistro del cervello, e, non senza sgomento, si e’ dovuto rendere conto che la salamandra tornava velocemente a nutrirsi normalmente.
Allora, non contento, ha preso un’altra salamandra (non c’e’ un’associazione protezione salamandre? ndr) e le ha rivoltato il cervello dall’alto verso il basso. Anche questa torno’ a nutrirsi. Pietsch, un tipo ostinato, non si diede per vinto e ricorse a misure drastiche (perche’ girare il cervello di una bestia per lui era una passeggiata… ndr). In ben 700 (!!!) tentativi ha iniziato ad affettare, girare, strascicare, sottrarre e persino macinare (!) il cervello di queste povere bestie, ma ogni volta che rimetteva a posto cio’ che restava del loro cervello, il loro comportamento alimentare tornava alla normalita’.
Il risultato e’ che Pietsch, da oppositore di Pribram ne divenne uno dei sostenitori piu’ tenaci… il dettaglio degli esperimenti sono descritti nel libro Shufflebrain. Speriamo almeno che si sia deciso a lasciar stare le salamandre…
Il linguaggio matematico dell’ologramma
Le teorie che hanno permesso di sviluppare l’ologramma furono formulate per la prima volta nel 1947 da Dennis Gabor, che per questo vinse il Premio Nobel: all’inizio egli non pensava affatto al raggio laser, ma “soltanto” a migliorare il microscopio elettronico, a quell’epoca primitivo ed assai imperfetto. Il suo approccio era matematico, ed usava un genere di calcolo inventato da un francese del diciottesimo secolo, Jean B. J. Fourier.
In parole povere, Fourier aveva inventato un sistema matematico per convertire qualunque schema, non importa quanto complesso, in un linguaggio di semplici onde. Non solo, mostro’ anche come queste onde potessero essere riconvertite nello schema originale.
Ad esempio, cosi’ come una telecamera converte un’immagine in frequenze elettromagnetiche ed una televisione riconverte queste frequenze nell’immagine originale, cosi’ Fourier aveva dimostrato un processo analogo da un punto di vista matematico. Le equazioni che sviluppo’ sono note come Trasformate di Fourier.
Esse permisero a Gabor di convertire la fotografia di un oggetto nella “macchia” di schemi d’interferenza su un pezzo di pellicola olografica. Gli permisero anche di trovare un modo per riconvertire questi schemi nell’immagine originale dell’oggetto. In effetti, l’ “intero” che si vede in ogni pezzo di ologramma e’ un sottoprodotto che avviene quando un’immagine o uno schema e’ tradotto nel linguaggio di forme d’onda di Fourier.
Alla fine degli anni ’60 ed inizio degli anni ’70, diversi ricercatori contattarono Pribram per dirgli di avere scoperto che il senso della vista funziona come un analizzatore di frequenze. Poiche’ la frequenza esprime il numero di oscillazioni di un’onda al secondo, cio’ sembrava confermare con forza che il cervello funziona davvero come un ologramma.
Fu pero’ solo nel 1979 che due neurofisiologi di Berkeley, tali Russell e Karen De Valois, fecero la scoperta cruciale! Prima studiarono con cura le ricerche degli anni ’60 che mostravano come ogni cellula del sistema visivo tenda a rispondere ad uno schema specifico – alcune si attivano quando l’occhio vede linee orizzontali, altre quando vede linee verticali, e cosi’ via. Molti ricercatori conclusero che il cervello riceve i segnali dalle cellule, ognuna altamente specializzata, ed in qualche modo li assembla insieme per darci la percezione visuale del mondo esterno.
Nonostante la teoria fosse estremamente popolare ed affermata, DeValois sentiva che non era completa. Per verificare le sue ipotesi, uso’ le trasformate di Fourier per convertire semplici schemi quadrettati e piani in forme d’onda. Poi, fece dei rilievi per verificare come le cellule del cervello rispondono a queste nuove immagini di forme d’onda. La scoperta fu che le cellule non rispondono affatto agli schemi originali, ma alle trasformate di Fourier degli schemi. Ci poteva essere una sola conclusione: il cervello usa la matematica delle trasformate di Fourier – la stessa degli ologrammi – per convertire le immagini visuali nel linguaggio di Fourier di forme d’onda.
La scoperta di De Valois fu poi confermata da numerosi altri laboratori sparsi per il mondo, e pur non dimostrando in modo assoluto che il cervello e’ in effetti un ologramma, diede abbastanza prove per convincere Pribram che la sua teoria e’ sostanzialmente corretta. Stimolato dall’idea che la corteccia visiva rispondeva non a schemi ma a frequenze delle varie forme d’onda, inizio’ a ridefinire il ruolo delle frequenze anche per gli altri sensi.
Non ci mise molto a capire che la loro importanza era stato sottovalutata dai ricercatori del ventesimo secolo. Un secolo prima di DeValois, il fisico e fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz mostro’ che l’orecchio e’ in pratica un analizzatore di frequenze. Ricerche piu’ recenti rivelavano che il senso dell’olfatto pare basato sulle cosiddette frequenze osmiche.
Il lavoro di Bekesy dimostra chiaramente che la pelle e’ sensibile alle frequenze delle vibrazioni, ed ha persino portato le prime prove che anche il gusto pare implicare una qualche forma di analisi delle frequenze. E’ interessante il fatto che le equazioni matematiche che permettevano a Bekesy di predire la risposta dei soggetti alle varie frequenze, erano proprio del tipo delle equazioni di Fourier.

Il ballerino come forma d’onda
Scavando nel lavoro degli scienziati del passato, Pribram fece forse la scoperta piu’ sorprendente: lo scienziato russo Nikolai Bernstein scopri’ che persino i nostri movimenti fisici vengono codificati nel cervello in un linguaggio di forme d’onda di Fourier. Negli anni ’30, Bernstein fece vestire alcune persone in calzamaglie completamente nere con su dipinti dei punti bianchi in corrispondenza delle articolazioni. Poi, li mise contro uno sfondo nero e li riprese con una cinepresa mentre compivano varie operazioni in movimento, come danzare, camminare, saltare, scrivere a macchina, martellare.
Quando sviluppo’ il film, si vedevano solo i punti bianchi in movimento sullo schermo, in movimenti fluidi e piuttosto complessi. Quindi, analizzo’ il materiale con il metodo di Fourier, convertendo i punti e le linee visibili nel linguaggio di forme d’onda. Sorprendentemente, scopri’ che le forme d’onda contenevano schemi nascosti che gli permettevano di predire il movimento successivo del soggetto con altissima precisione.
Quando Pribram incontro’ il lavoro di Bernstein, ne riconobbe immediatamente le implicazioni. Forse, si disse, la ragione per cui gli schemi nascosti emergono dopo l’analisi matematica con il metodo di Fourier e’ che questo e’ il modo in cui vengono conservati nel cervello. Si trattava di una possibilita’ decisamente eccitante – se il cervello analizza i movimenti spezzandoli nelle componenti di frequenza, cio’ puo’ spiegare la capacita’ dell’uomo di apprendere molto rapidamente abilita’ fisiche complesse. Ad esempio, noi non impariamo ad andare in bicicletta memorizzando ogni piu’ piccolo particolare del processo. Impariamo “prendendo” l’intero movimento fluido nel suo complesso.
La fluida interezza con cui tipicamente impariamo moltissime attivita’ fisiche e’ ben ardua da spiegare se si pensa ad un cervello che immagazzina informazioni bit per bit. E’ molto piu’ semplice se si pensa che il cervello compie un’analsi di Fourier delle abilita’ fisiche e le assorbe nella loro interezza.

La reazione della comunita’ scientifica
Pur supportato da notevoli prove sperimentali, il modello olografico di Pribram rimane molto controverso. Da una parte esistono parecchie teorie diffuse ed accettate sul funzionamento del cervello, e ci sono prove sperimentali che le confermano tutte.
Ci sono ricercatori per cui la natura distribuita della memoria si puo’ spiegare con il flusso di sostanze chimiche nel cervello. Secondo altri, sono i flussi elettrici tra vasti gruppi di neuroni a spiegare a spiegare memoria ed apprendimento. Ogni scuola di pensiero ha dei sostenitori convinti, ed e’ probabilmente corretto dire che tutt’ora la maggior parte degli scienziati non e’ convinta della visione olografica di Pribram.
Ad esempio, il neurofisiologo Frank Wood della Scuola di Medicina Bowman Gray a Winston-Salem in Carolina del Nord ritiene che “ci sono poche scoperte sperimentali per cui l’olografia e’ la spiegazione necessaria, o anche solo quella preferibile”. Pribram e’ perplesso da simili affermazioni, e risponde notando che ha documentazione per oltre 500 riferimenti sperimentali.
Altri ricercatori sono d’accordo con Pribram. Il dottor Larry Dossey, ex capo dello staff all’Ospedale della citta’ di Dallas, ammette che la teoria di Pribram e’ una sfida seria a molte convinzioni di lunga data sul funzionamento del cervello, ma sottolinea che “sono molti gli specialisti in materia attratti da questa visione, se non altro per l’evidente inadeguatezza degli attuali punti di vista ortodossi”.
Il neurologo Richard Restak, autore della serie televisiva The Brain, condivide l’opinione di Dossey. Osserva che nonostante l’enormita’ di prove sperimentali che confermano la dispersione nel cervello delle abilita’ umane, la maggior parte dei ricercatori continua ad aggrapparsi all’idea che ogni singola funzione possa essere localizzata allo stesso modo con cui le citta’ possono essere localizzate su una mappa. Restak ritiene che le teorie basate su questa premessa siano non solo semplificazioni eccessive, ma funzionano da vere e proprie camicie di forza concettuali, che evitano di scontrarsi con l’autentica complessita’ del cervello. Crede che “non solo l’ologramma e’ possibile, ma attualmente rappresenta il miglior modello possibile per la descrizione del funzionamento del cervello”.

Pribram incontra David Bohm
Fin dagli anni ’70 Pribram aveva sufficienti prove sperimentali da convincersi che la sua teoria era corretta; inoltre, aveva anche evidenze sperimentali che singoli neuroni nella corteccia rispondono in modo selettivo a specifiche bande di frequenza, il che confermava ulteriormente le sue conclusioni.
La domanda che inzio’ a tormentarlo era… se l’immagine della realta’ che abbiamo nel cervello non e’ affatto un’immagine ma un ologramma… si tratta dell’ologramma di che cosa?
Pribram si rese conto che, se il modello olografico del cervello e’ da prendersi sul serio, la conclusione logica e’ che la realta’ oggettiva attorno a noi – gli oggetti che ci circondano, i paesaggi, le persone – potrebbero persino non esistere, o perlomeno esistere non nel modo in cui crediamo che esistano.
Si comincio’ a chiedere se non fosse possibile cio’ che da sempre i mistici sostenevano, cioe’ che la realta’ e’ maya, illusione, e cio’ che “c’e’ la’ fuori” e’ solo una sinfonia di forme d’onda in risonanza, un “dominio di frequenze” trasformato nel mondo che conosciamo solo dopo essere passato dal filtro dei nostri sensi.
Pribram comprendeva che la soluzione a questo genere di domande sta al di fuori del suo settore di competenza, cosi’ si rivolse per consiglio a suo figlio, un fisico, il quale gli raccomando’ di leggere il lavoro del fisico quantistico David Bohm. Pribram fu elettrizzato. Non solo aveva trovato la risposta alle sue domande, ma anche scoperto che, secondo Bohm, l’intero Universo e’ un ologramma.

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