Nuova ipotesi per l'energia oscura

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Sheenky Oo
00domenica 7 ottobre 2012 18:48
Articolo di Astro Calisi
Fonte: www.altrogiornale.org/news.php?item.8099.8

Nei primi anni ’20 del secolo scorso una delle idee dominanti in campo cosmologico era che l’universo fosse stazionario, cioè che le galassie di cui è formato mantenessero nel tempo la stessa posizione nello spazio. Questo modello dava però luogo a un serio problema: la concezione di un universo statico non sembrava poter essere conciliata con l’esistenza di una forza di gravità che si esercitasse, sia pur da enormi distanze, tra le galassie. Anche se debolissima, tale forza, agendo lungo l’arco di milioni e anche di miliardi di anni, non poteva che avere come effetto quello di far avvicinare tra loro gli ammassi stellari con velocità crescenti. Nel tentativo di risolvere questo problema, Einstein introdusse un concetto ad hoc, cioè l’ipotesi dell’esistenza di una forza che agisse in senso opposto a quella di gravità, neutralizzandone gli effetti: la costante cosmologica. La scoperta che l’universo è in espansione, effettuata da Edwin Hubble nel 1929, rese del tutto superflua la costante cosmologica, che anzi Einstein definì il più grande errore teorico della sua vita. Una conseguenza importante della scoperta del moto di espansione dell’universo è la necessità di riconoscere che lo stesso universo è in evoluzione, cioè è soggetto a modificarsi nel tempo.
Risalendo idealmente all’indietro di miliardi di anni, si giunge a un punto in cui tutte le galassie dovrebbero trovarsi concentrate in uno spazio molto ristretto. Si arriva così alla teoria del Big Bang: un’immane esplosione da cui sarebbe nato l’universo, che spiegherebbe anche la spinta che porta le galassie ad allontanarsi una dall’altra. Sul finire degli anni ’90, questa concezione venne però nuovamente messa in discussione da una nuova, sconcertante, scoperta: quella che la velocità di espansione dell’universo aumenta nel tempo. Infatti, le galassie più lontane da noi (che vediamo nello stato in cui si trovavano miliardi di anni fa) si allontanano nello spazio con velocità che, rispetto ai parametri che fanno riferimento alla teoria di Hubble, è mediamente inferiore di quanto ci si aspetterebbe. Per spiegare questo fenomeno, che ha colto di sorpresa gli astronomi, sono state proposte diverse ipotesi. Ne riporto alcune:

1) L’accrescimento della velocità di espansione dell’universo potrebbe essere dovuto all’esistenza di una forza antagonista alla gravità, che ha origine negli immensi spazi vuoti che separa le galassie, per via della continua formazione di particelle e antiparticelle (come previsto dalla fisica quantistica). Per alcuni scienziati sarebbe possibile che tra particelle e antiparticelle si eserciti una forza di repulsione, che spiegherebbe perché la velocità di allontanamento delle galassie aumenti a poco a poco. L’esistenza di una simile forza non è stata tuttavia ancora provata. E, anzi, allo stato attuale delle nostre conoscenze, appare assai poco plausibile.

2) E’ una variante della precedente: l’ipotesi della quintessenza. Si tratterebbe, anche qui, di una forza ancora sconosciuta che evolverebbe nel tempo, aumentando gradualmente la sua intensità, a causa del rarefarsi della densità dell’universo. In questo modo si spiegherebbe l’accelerazione della velocità di espansione. Non si può far a meno di osservare che questa ipotesi si presenta completamente ad hoc, ossia è costruita su misura del fenomeno da spiegare, senza porsi il problema di come essa si rapporti con l’insieme delle teorie scientifiche esistenti. Credo che dovremmo sempre guardare con sospetto simili ipotesi che, molto spesso, non sono altro che mere costruzioni “filosofiche”, nel senso più deteriore del termine.

3) Un’altra ipotesi proposta è che il tempo stia rallentando progressivamente: questo potrebbe far sembrare che le galassie si allontanino tra loro sempre più velocemente. L’obiezione più forte che si può rivolgere a tale ipotesi è che se il tempo permea ogni oggetto dell’universo, non ha senso teorizzare un suo rallentamento, come pure una sua accelerazione. Qualsiasi modificazione si ripercuoterebbe infatti non solo sugli oggetti osservati ma anche su chi osserva e sul funzionamento degli strumenti utilizzati. Pertanto una simile modificazione non sarebbe in alcun modo rilevabile. Si tratta, in definitiva di un’ipotesi fondata su un errore fondamentale: che il tempo sia relativo solo a ciò che si osserva e non agli enti osservatori.

Personalmente, ho ancora delle riserve nell’accettare, come dato di fatto indubitabile, la scoperta che la velocità di espansione dell’universo è in aumento. Potrebbero essere stati commessi degli errori nelle osservazioni o nella catena di deduzioni ricavate da queste. Non dobbiamo dimenticare che le “osservazioni” sono sempre più indirette e “mediate”, nel presupposto della validità di altre teorie e di altre osservazioni. Se, tuttavia, questa scoperta venisse confermata anche da altri dati empirici, preferibilmente ricavati in maniera diversa rispetto a quelli già in nostro possesso, vorrei proporre la seguente ipotesi per spiegarla. Mi sembra abbastanza evidente che non si possa dar conto del fenomeno, per le peculiarità che esso presenta, richiamandosi alle forze oggi note. Abbiamo infatti a che fare con una forza che diviene significativa, cioè riesce a contrastare la gravità, solo a distanze intergalattiche, mentre ha effetti trascurabili a distanze interstellari e, presumibilmente, ancor meno a livello di sistemi planetari.
Perché ciò avvenga, è necessario che questa forza ipotetica, che verrebbe a porsi accanto alle quattro forze fondamentali già conosciute, abbia i seguenti requisiti:

a) agisca in senso opposto rispetto alla gravità, cioè nel senso della repulsione. Questo non è certo un problema, visto che abbiamo già qualcosa di simile nel campo della forza elettromagnetica, dove cariche dello stesso segno si respingono;
b) sia più debole rispetto alla forza di gravità di diversi ordini di grandezza;
c) non diminuisca d’intensità col quadrato della distanza, come avviene con la forza di gravità e con l’elettromagnetismo, ma di un fattore minore.

In tal modo, si otterrebbero esattamente i comportamenti osservati: a distanze ridotte, come sono quelle che separano le stelle all’interno di una galassia, la forza di gravità prevarrebbe nettamente su questa ipotetica quinta forza; mentre a distanze di centinaia di migliaia o di milioni di anni luce, detta forza, benché debolissima, supererebbe la forza di gravità. L’effetto sarebbe quello di far allontanare le galassie una dall’altra, con una velocità che si fa sempre più pronunciata nel tempo. Uno degli aspetti maggiormente problematici di questa teoria è senza dubbio il vincolo che la nuova forza decresca la sua intensità di un fattore inferiore al quadrato della distanza, come ci si aspetterebbe da un qualsiasi campo che si espande in maniera uniforme nello spazio circostante. Però, noi abbiamo già delle probabili eccezioni. Delle quattro forze conosciute, solo la gravità e l’elettromagnetismo obbediscono a tale principio. La forza forte, che è circa 100 volte maggiore di quella elettromagnetica, diviene praticamente nulla già a brevissima distanza dal nucleo dell’atomo. Ciò può essere spiegato solo ipotizzando che questa forza diminuisca in misura assai maggiore rispetto al quadrato della distanza, per esempio di un fattore legato alla terza o alla quarta potenza, o magari anche di più. Cosa che potrebbe avvenire se il campo d’azione della forza forte non si irradiasse nello spazio secondo una ideale superficie a due dimensioni, ma agisse su un numero maggiore di dimensioni, così che la sua azione si disperda molto rapidamente quando ci si allontana dal nucleo atomico.
Se questo è plausibile, perché non si potrebbe ipotizzare anche il fenomeno inverso: quello di una forza che si eserciti su una sola dimensione, in modo che i suoi effetti diminuiscano proporzionalmente alla distanza? L’ipotesi da me proposta rappresenta soltanto una bozza, che necessita di essere approfondita nei suoi diversi aspetti e implicazioni. Tuttavia, essa si integra armoniosamente con le teorie fisiche consolidate, senza mettere in discussione i concetti fondamentali che fanno riferimento allo spazio e al tempo. Non è detto che un giorno tali concetti non debbano subire delle revisioni, ma il cammino della conoscenza deve sempre cercare, come prima istanza, la via di maggior coerenza con quanto già si sa. Solo quando falliscono tutti i tentativi in tal senso, allora diviene lecito muoversi in direzioni completamente nuove, il più delle volte in aperto conflitto con i paradigmi esplicativi esistenti.
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