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Renato Vesco

Ultimo Aggiornamento: 02/01/2012 14:28
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13/12/2011 09:00
 
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Riporto dal primo link di questa pagina tutto l'articolo, perchè c'è anche altro oltre a quello postato da eone [SM=j7569]



LE TEORIE UROLOGICHE E LA VITA DI RENATO VESCO (1924-1999)

La scomparsa di uno dei padri della "teoria terrestre" - nonché di uno dei fondatori dell'ufologia italiana - non ha suscitato reazioni di grande portata da parte della pubblicistica commerciale interessata agli UFO, disattenta alla comprensione delle idee e degli uomini, in specie quando, come nel caso di Renato Vesco, era impossibile farlo aderire ad una specifica "parrocchia".
Non è facile ritlettere sulla figura di Renato Vesco senza avvertire una profonda sofferenza per avere sottovalutato una morte annunciata, morte che è sopravvenuta in un ospedale di Genova il 24 novembre 1999.
Si, perché l'addio di Vesco a questo mondo che non lo capiva e che non apprezzava le sue "certezze" era stato preannunciato da lui stesso qualche mese prima. "Vede sig. Pupilli", confidò nel corso di una conversazione telefonica a uno degli autori, "la mia presenza terrena è legata a quella degli unici due amici che mi sono rimasti, due amici a quattro zampe che rendono meno squallidi questi miei ultimi anni. Quando essi mi lasceranno toglierò anch'io il disturbo!".
Marcello Pupilli ha avuto l'opportunità di cono­scere Vesco alla fine del 1991, quando gli inviò una lettera in cui chiedeva informazioni su un raro fa­scicolo pubblicato nel 1957 dall'ufologo Marcello Giombini. Vesco rispose con inaspettata sollecitudine e disponibilità, dando le informazioni chieste, e da quella prima conversazione epistolare nacque una nutrita corrispondenza che durò tra alti e bassi sino alla fine del 1998 producendo un dossier di qualche centinaio di pagine fittamente dattiloscrit­te.
Renato Vesco è stato un uomo nel quale hanno convissuto due personalità profondamente diverse. che gli provocheranno per tutta la vita conflitti e tribolazioni: una "eroica" e "guerriera', sulla quale a tratti prendeva il sopravvento la seconda, quella da piccolo travet da ufficio. Da una parte il Vesco sicuro di sé, che gira il mondo alla ricerca della verità sugli UFO, ritiene di averla trovata e la difende con una pervicacia intrepida. Dall'altra parte il Vesco solo, introverso, permaloso. Una modesta pensione da ex-impiegato d'ordine con la quale vive in una vecchia casa di Genova, già dimora dei suoi genitori: gravi delusioni da falsi amici e infine, cruccio della sua vita, un mondo ufologico non in grado di capire la grandezza delle sue idee.
La vita personale di Vesco fu segnata da una riser­vatezza estrema: quest'uomo così importante nella storia dell'ufologia italiana non partecipò mai ad un convegno. non tenne una conferenza, rifiutò qualsiasi incontro personale con chi avrebbe voluto confrontarsi con lui.
Quando il CISU, nel 1989, decise di nominarlo so­cio onorario ne fu sinceramente grato, tanto da intervenire con sollecitudine alle molteplici richieste che gli erano formulate sugli argomenti più di­sparati, interventi che costituiscono un notevole patrimonio di documenti inediti negli archivi della nostra associazione. Possiamo dire con cognizione di causa che i rapporti con alcuni membri del CISU rappresentarono quasi l'unico contatto con il mondo esterno che Vesco ebbe negli ultimi anni della sua vita.
In casa sua sono state trovate migliaia di riviste di ogni genere, di appunti e di manoscritti che costi­tuivano un archivio prezioso. che è divenuto un lascito transitato al CISU. Nell'attività frenetica di pubblicista e scrittore, chi legge si trova di fronte a un uomo di una sicurezza assoluta, dotato di una cultura vastissima che abbracciava campi di interesse quali la numismatica, la protostoria, l'aerotecnica, l'aeronautica, la meccanica, e in misura sorprendente per l'Italia degli anni '50-'60 ... gli UFO.
Morta la madre all'inizio degli anni '80 si chiuse in una solitudine totale: non aveva amici, non fre­quentava donne o associazioni (alle quali invece aveva aderito con appassionato interesse negli anni giovanili). Da quando si era rotta la televisione non l'aveva più fatta riparare e le uniche notizie dal mondo esterno gli arrivavano o per radio o tramite visite frequenti presso la Biblioteca Uni­versitaria; non si faceva visitare da un dottore dal 1942. Per ciò che riguarda la propria salute era pro­fondamente fatalista e lui, che sembrava così razionale e scientifico, credeva nei fenomeni paranormali al punto che in una lettera a Pupilli fece strane considerazioni sui presunti poteri telecinetici del medium Demofilo Fidani, delle cui facoltà era assolutamente convinto. Credeva pure nei vaticini delle fattucchiere, tanto da esser convinto che una di queste gli avesse preconizzato la mag­gior parte degli avvenimenti della vita.

Marcello Pupilli




Vesco era nato il 30 agosto 1924 ad Arona. sulla spon­da novarese del Lago Maggiore. Il padre, di tendenze socialiste, era un dipendente delle Ferrovie dello Stato. u suo interesse per le tecnologie aeronautiche fu precocissimo, come testimonia il titolo di studio che conseguì: perito tecnico industriale (sezione ae­rotecnica).
Non era quindi un “ingegnere”, come spesso si è sentito dire e si è letto anche su pubblicazioni specializzate. Durante la Seconda Guerra Mondiale, come pilota, prima di essere trasferito all'Ufficio tecnico della 1° Squadra Aerea partecipò a due combattimenti fra velivoli. Nell'immediato dopoguerra (nel '46) fu richiamato e poi inviato al grande aeroporto di Galatina, in provincia di Lecce, ancora presidiato da un piccolo nucleo di inglesi. Il grado di maggiore, che talvolta accompagna il suo nome. probabilmente lo raggiunse a causa degli avanzamenti automatici che ottengono gli ufficiali della riserva con il semplice trascorrere del tempo. In realtà, infatti, dopo la guerra - secondo quanto da lui stesso affermato - proprio per l'interesse che nutriva per i dischi volanti s'imbarcò su un transatlantico che faceva il giro del mondo, rimanendo parte del per­sonale della sala macchine dal 1956 al 1961.
Successivamente andò a vivere nella casa avita di Genova e s'impiegò (i suoi documenti dicono che la professione era quella di contabile) presso una ditta privata di un lontano parente, sino al pensionamento.
Sulla base della documentazione di­sponibile è possibile affermare con sicurezza che già verso la fine del 1951 si interessava ai dischi volanti. Il primo scritto in cui accenna all'argomento e in cui faceva fin da allora intravedere le proprie convinzioni, è infatti "Nota sui convertoplani e sugli aeroplani aplani" che apparve sul n. 16 del periodico fiorentino di cose aviatorie "L'Ala" del 15 novembre di quell'anno. Tuttavia, in una missiva indirizzata nel 1993 a Marcello Pupilli, Vesco scrisse al riguardo che egli aveva rivolto la propria attenzione all'argomento già "quaranta giorni dopo il fatidico 24 giugno 1947, quando lessi il primo servizio-stampa ripreso da fonti americane".
Pare confermato che Vesco avesse con­cepito idee allora d'avanguardia sulla propulsione aeronautica fin da giovanissimo. Nel suo colossale ma caotico archivio sono stati recuperati ritagli risalenti anche al 1930 su ogni sorta di tecnologia, con particolare riguardo a quelle aviatorie. In uno dei suoi primi articoli sugli UFO ("I dischi volanti anglo-canadesi: come sono"), uscito sul periodico milanese "Ali" del 28 giugno 1953. a p. 211 scriveva che gli studi su quella che chiamava "portanza reattiva' e su alcuni dispositivi da essi derivati li aveva sviluppati addirittura fra il 1942 ed il 1947. E proprio in conformità a queste esperienze giovanili che poi Vesco avvierà il processo che doveva condurre all'idea delle "armi segrete in­glesi costruite in Canada'.
In particolare, oggi è possibile affermare che Ve­sco maturò in maniera definitiva le pro­prie incrollabili idee sull'origine del fenomeno UFO nel corso del 1952 (probabilmente tra l'estate e l'autunno), e che le perfezionò nel '53-'54. Per il 1952 esistono solo due fonti scritte che riguardano Vesco: sono decisi­ve, però. per intuire che cosa, sulla base di una serie di influenze da parte di altri autori, egli dovette inferire.
Su "Ali", un periodico di cose aviatorie che si pubblicava a Milano. Vesco pub­blicò un primo articolo in cui accennava ai dischi volanti, ed il cui titolo non lasciava ombre di dubbio. Si intito­lava “Macchine volanti dell'avvenire”, ed apparve il 18 febbraio 1952 sul n. 6 della rivista, a p.73. Non era, in maniera diretta, dedicata ai "dischi". Anzi, l'autore non ne parlava quasi per nulla. Si occupava invece degli "aeromobili aplani", e delle prestazioni che, a suo avvi­so, ben presto avrebbero assicurato. Nel suo secondo libro, "I velivoli del mistero', che uscirà nel 1969, prima di approdare a ciò che definiva la scoperta del "vero progetto" che a suo avvi­so costituì il progenitore dei dischi vo­lanti inglesi costruiti in Canada, Vesco si intratteneva a lungo con concetti e notizie per le quali egli fu più volte tributario, divulgate negli anni fra il 1946 ed il 1952 dal giornalista e corrispon­dente di guerra Luigi Romersa, ma an­che da altri personaggi compartecipi della prima fase dell'edificazione, fra l'aprile 1950 e la primavera 1952, del mito degli "UFO nazisti", quali il ferrarese Lino Saglioni e soprattutto dal torinese Alberto Fenoglio, oltre che dal ben più sobrio e qualificato Giuseppe Belluzzo. Si noti, a proposito dei suoi ispiratori, che in una lettera inviata nel 1993 a Pupilli, Vesco nominava soltanto ingegneri aeronautici o termotecnici. In realtà, da un esame attento delle citazioni fatte, Giuseppe Stilo ha constatato che in pa­recchie occasioni Vesco non disprezzava di utilizzare fonti di tipo non acca­demico ma che sono proprio, spesso, quelle che contenevano gli spunti più propriamente "ufologici '. Riferiva comunque Vesco:

L'ipotesi terrestre mi venne suggerita dalla previa conoscenza della que­stione dei “proiettili slittanti" propo­sti dal Sarracino, dal Montezemolo (1) e riconfermati da un colloquio con il prof. Belluzzo.

Del prof. Belluzzo e del suo ruolo nel corso del 1950-51 per la nascita del mito dei "dischi dell'asse", Giuseppe Stilo si è occupato nel libro “Scrutate i cieli!”, UPIAR 2000, pp. 42-51.
In effetti, oggi è forse possibile ipotizzare che in una certa misura. oltre che alle fonti succitate ed a numerose altre a cui accenneremo più avanti, vi sia stata una componente per così dire "casuale' nel consolidamento delle idee veschiane. Sembra infatti certo che Vesco pensasse ad ordigni discoidali prima dell'esplosione del fenomeno UFO, nel­l'estate del 1947.
Nel suo nuovo libro, dedicato all'anno 1952 ed intitolato" Ultimatum alla Terra", Stilo esplora, nell'occuparsi della genesi delle teorie dell'aerotecnico, quella legata alla pubblicistica italiana degli anni 1946-52 sulle armi segrete naziste. Un punto sul quale qui si vuole maggiormente porre l'accento è quello relativo a ciò che Vesco fece negli anni fra la Seconda Guerra Mondiale e l'attecchire del fenomeno dischi in Italia, e che, per un motivo o per un altro, egli pare ritenesse il periodo dell'intuizione di quella che poi chia­merà "aviazione nuova'. Per sostenere questa linea di pensiero si dispone di almeno due documenti. u primo è una lettera del 24 novembre 1952 che Vesco indirizzò addirittura al capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare degli Stati Uniti, generale di squadra aerea Hoyt S. Vandenberg. Vesco diceva di aver già scritto "tempo prima" all'ATIC, nel cui ambito, com'è noto, operava il Project Blue Book, ma di non aver avuto nessuna risposta, e di essersi perciò rivolto direttamente al­l'alto ufficiale perché "in grado di for­nirvi alcuni dati atti a svelare il mistero' dei dischi.
Vesco dunque scriveva di aver condot­to sin dalla primavera del 1942 studi sui roto-reattori per aeromobili senz'ali, siluriformi e discoidali con caratteristiche "perfettamente analoghe" a quelle dei "piatti volanti", e rendeva noto di aver anche costruito, nel '49, un piccolissimo modello poi andato distrutto, che a suo avviso spiegava perfetta­mente le foto delle "luci di Lubbock" (un altro caso che svolse un ruolo notevolissimo, nella formazione della teoria veschiana). Dopo uno schema in tal senso, faceva balenare l'idea dell'origine inglese (in fabbriche canadesi) dei misteriosi corpi. Avendo redatto "un dettagliato rapporto' in merito, chiedeva a Vandenberg che gli fosse telegrafato per chiederglielo, e addirittura avanzava l'ipotesi di una trattativa per la cessione dei diritti di costruzione! In caso di mancata risposta si sarebbe rivolto "ad altro governo". Interessante è pure la netta presa di distanza dai modelli di "disco terrestre" fino allora proposti e che prevedevano "turboreattori annegati nello spessore del bordo rotante', che lo studioso definiva "soluzione caratteristica di tutte le mistificazioni discoidali".
Neppure gli endoreattori a razzo lo soddisfacevano: riteneva efficace soltanto la "roto­reazione". Per quanto noto dagli archivi del "Blue Book" (da cui proviene la copia della lettera), la richiesta dì Vesco non ebbe alcuna risposta.
Un secondo documento è costituito da un articolo ("I dischi volanti anglo-canadesi come sono") che Vesco pubblicò il 28 giugno 1953 su "Ali" (p. 211). In esso, lo studioso concludeva che le "luci dì Lubbock" rappresentavano uno stormo sperimentale dì 30-40 "dischi", ma soprattutto spiegava che fra il 1942 ed il '47 aveva effettuato "studi teorici sulla portanza reattiva e dispositivi derivati", e che aveva poi sperimentato una serie dì modellini, fa cui uno metallico pesante 25 kg, del diametro dì 75 cm. in grado dì usare combustibili liquidi e del quale campeggiava una foto al suolo. Tale modello, poi rimasto "avariato' era probabilmente lo stesso cui aveva riferito nella lettera a Vandenberg. Vesco concludeva dì non aver dì proposito pubblicato foto del modello in volo durante il collaudo, perché esso poteva sostare in aria a piccola altezza, cosa che avrebbe "chiaramente indicato il sistema motopropulsore adottato". Insomma, nella tarda primavera del 1953 il sistema ideale dì Vesco era già entra­to in una prima fase dì cristallizzazione. La presentazione più prestigiosa l'ae­rotecnico la ebbe proprio in quel periodo, con il lungo saggio in due partì "Sguardo Critico ai Dischi Volanti", uscito sulla "Rivista Aeronautica", mensile dell'Aeronautica Militare Ita­liana, nei numeri 125 dì maggio e 126 dì giugno '53 (2).<
Muovendo da una serie dì notizie e d'indiscrezioni sull'industria aeronautica britannica circolate nel 1946, alle quali poi spesso sì richiamerà in futuro, Vesco le collegava alle dichiarazioni rese nel marzo 1950 da Giuseppe Belluzzo, a quel poco che sapeva su quanto sì stava progettando presso la Av. Roe canadese (che presto però espungerà dal­la linea genealogica dei "suoi" dischi) e soprattutto a notizie, considerazioni e ipotesi che in realtà derivavano da un complesso intreccio che solo ora, almeno in parte, è possibile smontare pez­zo per pezzo.
In primo luogo, alcune cose proveni­vano da quanto Luigi Romersa, un giornalista repubblichino aveva divulgato, a partire dall'estate 1946, per discolpar­si dalle accuse di collaborazionismo, circa l'esistenza nell'ultima fase della Seconda Guerra Mondiale dì armi segrete tedesche mirabolanti (inclusi alcuni esemplari dì una primitiva bomba atomica!). E' così', ad esempio, per l'impiego in combattimento dell'aereo raz­zo denominato Bachem Ba 439 A "Natter", dì "bombe volanti a forma dì falce", ecc. Tutti elementi che -per quanto è noto privi dì riscontro nella vasta letteratura scientifica sulle tecnologie mìlìtari naziste- diverranno elementi della costellazione veschiana. Eppure, c'è una fonte che precede le cose scritte a partire dal 1952 (fra gli altri) da Romersa e Vesco circa la pre­sunta azione operativa da parte del "Natter". Essa è (e sì tratta dì una presenza costante, come sì vedrà fra breve) costituita da un articolo dell'appassionato dì tecnologie missilistiche e ae­ronautiche Alberto Fenoglio. La notizia dì cui il piemontese fu probabilmente il "padre', apparve in un articolo pubblicato dal più volte citato pe­riodico milanese "Ali", ed era preceduta da un interessantissimo articolo dì Dario Armavi intitolato "Il primo uomo lanciato in un razzo". Uscì sul n. 18 del 21 maggio '52 della rivista in discorso. Sì parlava ampiamente del volo del tenente della Luftwaffe Lothar Sìeber, morto il 1° marzo 1945 cadendo con la sua “Vipera". C'è anche una foto del collaudatore, della sua tomba e del ve­livolo che egli utilizzò. Ebbene, questo articolo dì Armanì, che figurava a pagina 25 era seguìto nelle due facciate successive dallo scritto dì Alberto Fenoglio. Sì chiamava “La vipera da intercettazione”.
Non è possibile, in realtà, in questa sede, ricostruire il quadro dettagliato delle sorgenti a cui spesso Vesco attin­se in quegli anni. Esse però conducono spesso ad alcuni autori italiani dal­l'attendibilità almeno dubbia e in primo luogo ad Alberto Fenoglio, che rielaborò nel 1951 le cose affermate la pri­mavera dell'anno precedente dal prof. Belluzzo e da un preteso ex militare al servizio degli inglesi, Lino Saglioni, dì Dosso dì Cento (Ferrara). Fenoglio sì fece avanti affermando per primo, prima di Vesco, in maniera apodittica la teoria di un'origine inglese dei dischi volanti, costruiti in Canada sulla base di esperimenti italiani e poi tedeschi del periodo 1942-45. Ci sono poi le cose scritte fin dall'au­tunno 1947 da Luigi Romersa, in specie sulle "bombe a falce" (Flugschnìttel) che Vesco -anche stavolta attraverso le rielaborazioni dì Fenoglio- vedrà come uno dei progetti predecessori dei "veri" dischi anglo-canadesi, e soprattutto del modello principale che ad essi avrebbe condotto e che Vesco chiamerà Kugelblitz. Senza neanche stavolta citare la sua fonte, alle "Flugschnìttel" per la prima volta nel maggio 1953 su "Rivista Aeronautica' n. 125 attribuirà l'abbat­timento, che sarebbe avvenuto nel­l'aprile 1945, dì 12 quadrimotori anglo­sassoni (egli parlò, ad esser più precisi, dì "un caccia emisferico tedesco").
La vicenda, stavolta senza essere datata, fu ripresa da Vesco nel suo primo libro (Intercettateli senza sparare, Mursìa, Milano, 1968, p. 143), dove sì spiegava che le vittime dell'attacco erano state velivoli americani) e accompagnata da una ancor più clamorosa informazione (pp. 142-3) secondo la quale "un diplo­matico francese dì sentimenti degaullì­stì residente in Svizzera" aveva segna­lato in una relazione - poi intercettata e decrittata da agenti del Servizio Infor­mazioni Difesa della Repubblica Socia­le Italiana - che fra la fine dì marzo e ì primi dì aprile del '45 sui cieli del Wutttemberg, nel sud - ovest della Germa­nia, un caccia rotondo tedesco avreb­be accostato un gruppo dì "Lìberator" emettendo nuvolette dì fumo azzurro­gnolo cui sarebbe seguìta l'esplosione degli aerei. Neanche stavolta Vesco citò la fonte primaria delle sue informazio­ni, cioè dove fossero ì documenti che luì citava.
Rimane aperto un problema storiogra­fico fondamentale, e cioè quali fossero le fonti primarie dei nomi "Feuerball" e (soprattutto) "Kugelblìtz" che Vesco attribuisce agli ordigni nazisti che ritene­va "padri" dei dischi volanti inglesi. Il problema è reso assai complesso dal fatto che ì termini furono davvero più volte usati dai nazisti per loro tecnolo­gie militari.
I riferimenti più attendibili all'utilizzo del­la parola "Kugelblìtz" riportano sempre all'ambìto della difesa antiaerea, e ciò può darsi fosse all'origine, almeno in parte, delle storie sui mirabolanti abbat­timenti dì cui sì è parlato. "Kugelblìtz", ad esempio. fu denominata una spolet­ta dì prossimità destinata ad equipag­giare il missile antiaereo radìoguìdato a medio raggio Rheìnmetall-Borsig "Rheìntochter'. Lo sì desume da docu­menti inglesi resi pubblici nel 1946. Iden­tico il nome dì un semovente antiaereo basato sullo scafo del carro armato "Panzer IV". Ne furono prodotti, a quan­to pare, solo da due a cinque, conse­gnati nel febbraio 1945. Alcune fonti affermano che essi furono impiegati in aprile nella difesa dì Berlino, e che an­darono tutti distrutti. Lo studioso francese Joseph Altaìrac nel suo fondamentale lavoro sulla leg­genda dei dischi nazisti, "Un mythe technologìque: la légende du V7", in "Scìentìfictìons", n. 1-2, 1997. a p. 90 scrive che in certi articoli della fine degli anni '50 si trova menzione del "Feuerball" e che in un racconto di fan­tascienza francese del 1962, "Les semeurs de foudre", di Henri Vemes, si raccontava di un gruppo nazista in Amazzonia che possedeva un'arma se­greta: un ordigno volante sferico de­nominato "Sphère à foudre", cioè l'equivalente francese del termine te­desco "Kugelblitz". Da dove nacque questa fantasia dello scrittore france­se?
Per comprendere, almeno sul piano cro­nologico, quando Vesco "identifico' i due ordigni come i modelli su cui si sa­rebbero basati gli inglesi per i "loro" dischi, occorre leggere con cura una serie di cinque articoli che Vesco, su richiesta della stessa direzione di quel settimanale, pubblicò fra il maggio ed il giugno del 1963 sulla milanese "Setti­mana INCOM Illustrata". In una sua let­tera del 14 marzo 1993 a Marcello Pupil­li Vesco spiegò che dopo aver letto "av­vampando di sdegno" la celebre serie di articoli sugli UFO pubblicati su quel­la rivista dal giornalista Bruno Ghibaudi, scrisse una circostanziata lettera alla "posta dei lettori", e per tutta risposta la direzione lo invitò "a stendere rapi­damente una serie di articoli sulla que­stione UFO in base alle mie deduzioni”. Fu così che fu prodotta la serie pubbli­cata da "Settimana INCOM Illustrata".

Eccone gli estremi precisi:

1 ° puntata: n. 21 del 26 maggio 1963 - I piloti dei dischi volanti sono uomini, non marziani, pp. 30-34;

2° puntata: n. 22 del 2 giugno 1963 - I "fulmini tondi", micidiali antenati dei Di­schi volanti, pp. 48-51;

3° puntata: n. 23 del 9 giugno 1963 - Un volo senza carburante a settemila chi­lometri l'ora, pp. 36-39;

4° puntata: n. 24 del 16 giugno 1963 - Una gigantesca medusa inseguiva il quadrimotore, pp. 56-58;

5° puntata: n. 25 del 23 giugno 1963 - Dalla Terra, ogni sei mesi, qualcuno de­colla per Marte, pp. 48-51.

In sostanza, questa serie rappresenta una sintesi assai precisa della definitiva trilogia ubraria che l'aerotecnico darà alle stampe fra il 1968 ed il 1972.
La puntata forse più rilevante della se­rie è la seconda. Dopo aver riferito del grande flap americano del '52, Vesco riprendeva la testimonianza di "un in­formatore francese" che "verso la fine di aprile del '45" avrebbe assistito al­l'attacco, da parte di "un caccia roton­do, privo di ali e di timoni" di alcuni "Liberator' diretti verso la Baviera, che sarebbero esplosi dopo l'emissione da parte del "caccia rotondo" di "nuvolet­te di fumo azzurrognolo". Sarebbe stata questa relazione a contenere anche accenni a "bombe antiaeree al grisou" sperimentate dai tedeschi sul lago di Garda contro un'altra formazione di "for­tezze volanti" alleate e con esito identi­co a quello del caso sopra descritto. "Questi documenti - scriveva Vesco - furono intercettati dagli agenti del ser­vizio informazioni della RSI e finirono successivamente in piano agli ingle­si '.
Sempre i servizi segreti inglesi, "verso la fine della guerra" sarebbero entrati in possesso del resoconto concernen­te la prova fatta con una di queste armi "dopo aver indagato sulla inesplicabi­le scomparsa di un gruppo di dodici quadrimotori nel cielo della Germania: erano stati annientati in volo da una strana macchina volante di forma emi­sferica o, comunque, di pianta circola­re, che li aveva attaccati a velocità fan­tastica distruggendoli in pochi secon­di". Dopo la capitolazione tedesca in mano agli inglesi cadde anche la docu­mentazione riguardante "gli aeromobili circolari antiradar Feuerball" con cui, insieme a "quello straordinario caccia dalla strana forma tondeggiante che sparava nubecole di gas esplosivi" sa­rebbe iniziata "la vera storia dei dischi volanti".
Esso sarebbe stato appunto il "Kugelblitz", il "primo" dei quali sarebbe sta­to "distrutto dai reparti tecnici delle SS in ritirata, dopo la sua sensazionale ma unica missione" (cioè la distruzione dei dodici quadrimotori cui si è accen­nato sopra). Ciò che è da sottolineare, è che per la prima volta (per quanto risulta a chi scri­ve), in essi Vesco identificò nei miste­riosi "Feuerball" e soprattutto nel "Kugelblitz" gli antesignani diretti dei di­schi volanti inglesi.
Eppure - si ripete come ha rilevato Joseph Altairac, a cinquantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mon­diale nessun documento alleato o te­desco che parli di queste macchine è stato possibile individuare nella pur vasta pubblicistica che con fini divul­gativi o più propriamente tecnici si è occupata degli innumerevoli progetti ri­voluzionari che i tecnologi tedeschi sta­vano progettando verso la fine della conflagrazione.
Interrogato per iscritto dal massimo stu­dioso italiano del mito dei dischi nazi­sti, Maurizio Verga, Vesco rispose che la fonte primaria di alcune sue informa­zioni (ad esempio quella sulla storia della distruzione della formazione di quadri­motori alleati, che tanto sopra si è chio­sata) era costituita dai rapporti redatti nel 1945 dal "Combined Intelligence
Objectives Sub-Committee" (C.I.O.S.) britannico, ma che ormai non era pur­troppo in grado di produrne copia. per­ché a suo tempo aveva potuto consul­tarli ma non trattenerli. Dalle carte di Vesco recuperate dal CISU, a un esame ancora parziale non è stato possibile individuare alcun riferimento documen­tale a quanto sopra. Gli storici dell'ufologia. per chiarire dav­vero sino in fondo i contorni di queste vicende, dovrebbero leggere con cura i rapporti C.I.O.S. Sono carte declassificate dal Ministero della Difesa britan­nico da lungo tempo, e giacciono negli archivi londinesi. La loro riproduzione, che è all'esame da parte di Maurizio Ver­ga, sarebbe fatta se si sapesse con mag­gior esattezza che cosa, di quegli incar­tamenti, è di maggior rilievo per i nostri studi. I costi di fotocopiatura, infatti, non consentono di procedere alla cie­ca, in maniera sistematica.
Un dato interessante è che Vesco, nel corso degli anni '50 e comunque entro l'inizio del decennio successivo, ave­va già sviluppato in maniera completa buona parte degli elementi costitutivi del suo sistema ideologico. Dunque è da ritenersi - in mancanza di indagini storiografiche degne di questo nome - che esse erano già state elaborate com­piutamente assai prima della sua cele­bre trilogia libraria, quella pubblicata fra il 1968 ed il 1972.
Nell'estate del 1956, ad esempio, Vesco dimostrava con un primo esempio come egli fosse tributa­rio, seppur alla luce della sua particola­rissima interpretazione, di tanti elemen­ti della costellazione ufologica del tem­po, e come del modo di concepire il fe­nomeno di quegli anni egli fosse pro­fondamente figlio. Sul numero di luglio di quell'anno della rivista romana "Volo" pubblicò infatti l'articolo `Tut­ta colpa dell'Inghilterra", in cui, ripe­tendo un'aspettativa assai diffusa nel­la pubblicistica ufologica del momento e che traeva origine dalle prime versio­ni dell'ETH, quelle cristallizzatesi nei pri­missimi mesi del 1950, sosteneva che i dischi volanti sin dal 1947 apparivano con un ciclo di intensità più o meno biennale e che c'era da aspettarsi una nuova ondata pure sull'Italia per l'au­tunno successivo. Non si diceva anco­ra in maniera esplicita quel che poi Ve­sco sosterrà in scritti successivi, e cioè che gli inglesi avevano già compiuto missioni spaiali con destinazione la Luna e... Marte, ma gli elementi appor­tati dal genovese andavano tutti in quella direzione. Seppur in sintesi, Vesco ribadirà la sua aspettativa in un'immi­nente nuova ondata legata al "ciclo mar­ziano" anche con una lettera a "L'Europeo". pubblicata sul numero del 1° luglio.
Sempre nel pezzo scritto per “Volo" Vesco accennava ad un altro elemento ti­picamente ufologico che però per lui diverrà rapidamente architrave di un complesso sistema. Le piogge di "capelli d'angelo" verifi­catesi durante l'ondata dell'autunno di due anni prima non erano altro che "un combustibile sintetico 'impoveritosi' di volatile collodio agglomerante durante la sua caduta atmosferica". Insomma, parte degli "scappamenti" dei dischi volanti che gli inglesi costruivano in Canada!
Si è già detto della grande importanza storiografica della serie che l'aerotec­nico scrisse per "Settimana INCOM Il­lustrata" nella tarda primavera del 1963. Dopo le prime due puntate, che si sono già ampiamente commentate, in effetti le restanti tre in questa sede presenta­no minore importanza. Eppure, nell'ul­tima di esse, quella del 23 giugno, Ve­sco parlava a lungo del "ciclo marzia­no" per concludere in maniera chiara che almeno dalla metà degli anni '50 i dischi volanti inglesi avevano compiu­to missioni fino al pianeta rosso.
Si ritiene che quanto detto finora sia importante per interpretare in qualche modo il pensiero ufologico di Renato Vesco. Nel corso del 1951-52 costui, ap­passionato di aerotecnica, maturò una convinzione incrollabile, interpretando soprattutto le notizie e le dicerie che circolavano sulle tecnologie aeronautiche tedesche della fine della Seconda Guerra Mondiale e alcune indiscrezioni di fonte inglese in specie del 1946-47. L'esplosione del fenomeno dischi vo­lanti gli parve confermare alcune intui­zioni di aerodinamica cui aveva lavora­to da giovanissimo, forse già dal 1942. Rapidamente giunse a ricostruire una "genealogia' dei "veri" dischi volanti, elaborando in maniera assai complessa (e operando scelte ben precise) in un altro sotto-mito ufologico che allora si stava cristallizzando, e cioè quello dei "dischi volanti nazisti". Arrivò (secon­do le fonti di cui disponiamo) a identifi­care nei primi anni '60 i "progenitori" dei dischi inglesi (che per lui erano se­gretamente costruiti in serie in Canada fin dal '46) in due presunti prototipi nazisti del 1945, il "Kugelblitz" ed il "Feuerball". Mentre su altre linee se­guite da Vesco nella costruzione del suo sistema le cose appaiono meno oscure, su questo punto cruciale (sulle fonti cioè da cui Vesco avrebbe tratto la co­noscenza dei prototipi) non risulta si sia riusciti a far chiarezza.
Raccogliendo una vasta letteratura tecnica, come spiegò in una sua lettera a Marcello Pupilli, concepì fin da data re­mota il piano di sistemazione delle sue idee in una serie di libri “L'idea -scrive­va - mi venne nel '54 (al tempo della famosa “ondata autunnale") ma la misi in pratica, molto lentamente... solo nel '66, alla casa editrice Mursia. dopo aver letto il libro di James Mc Govem 'Operazione Crossbow e Overcast' nel­la collana 'Testimonianze tra cronaca e storia', e nell'ambito della quale fu poi pubblicata la mia trilogia. I titoli li pro­posi io..."
Ed è forse questo il punto più adatto per aprire una breve riflessione critica su quello che da alcuni studiosi di ufo­logia (ad esempio da Edoardo Russo, che riconosce per certi versi un debito ideale allo scrittore genovese) è stato quasi visto come un atteggiamento "ra­zionalistico" di Vesco in campo ufologico. Tale posizione veschiana in effet­ti potrebbe esser documentata rifacen­dosi ad interventi su almeno due argo­menti diversi.
Sul numero 54 di luglio-agosto 1973 del bimestrale "Pianeta" Vesco pubblicò un articolo di 31 pagine intitolato "Ufolo­gia, gaia scienza" nel quale, oltre a di­mostrare notevolissime conoscenze della letteratura e del mondo del contattismo, ridicolizzava i discorsi degli ambienti cultisti a cominciare da Adamski, senza trascurare la questio­ne del "trapianto" europeo ed italiano dell'ideologia contattistica. Non man­cavano riflessioni critiche sulla "teolo­gia degli UFO", come Vesco chiamava le digressioni extraterrestrialiste di al­cuni religiosi (che invece in genere ave­vano trovato accoglienze favorevoli fra gli appassionati), sui presunti aspetti ufologici delle visioni religiose di Fati­ma, e così via. Sulla base della lettera­tura a sua disposizione, il fatto che l'am­biente culturale cui il contattiamo clas­sico si riferiva, quello statunitense de­gli anni '50, fosse già allora del tutto scomparso, gli faceva concludere che il fenomeno era entrato ormai in una crisi irreversibile.
E' del tutto evidente che il contattismo ha da allora assunto altre forme ed altre vesti, eppure, con la coscienza storio­grafica odierna, non si può negare che alcune linee ricostruttive espresse da Vesco in questo saggio possano con­siderarsi, seppur talora appena abboz­zate, ancora valide. Un altro punto di un certo interesse è rappresentato dalla capacità che Vesco dimostrò almeno in un'occasione rilevante, di eliminare senza particolari problemi segnalazioni ufologiche che erano con ogni evidenza dovute a cause convenzionali e che invece la pubblici­stica ufologica del tempo cercava di at­tribuire a chissà quali velivoli misteriosi o in maniera franca agli extraterrestri. Nel settembre-ottobre del 1971 l'Italia e soprattutto l'allora Jugoslavia furono interessate ad osservazioni di massa di strani corpi volanti poligonali che era­no in realtà palloni stratosferici di gran­di dimensioni. Mentre altri discettava­no di possibili "astronavi madri" in mis­sione, su "Clypeus" n. 46 del marzo 1972 Vesco scrisse un articolo intitola­to "Dalla Jugoslavia: gli UFO e la Cia" in cui metteva ancora una volta alla ber­lina i "credenti" mostrando le caratteri­stiche dei palloni coinvolti nell'ondata e definendo quanto visto tempo prima "O.V.N.I.D.U.", ossia "oggetti volanti non identificati... dagli ufologi". Quasi contemporaneamente, su "Pianeta" n. 45 di marzo-aprile Vesco sparava a zero sulle osservazioni di dischi volanti pre­1946, sostenendo che buona parte dei resoconti invocati dagli appassionati per sostenere la presenza degli UFO nel passato remoto erano generati da let­ture ingenue e afilologiche di descrizioni di fenomeni meteorologici, geofi­sici e astronomici.
Non è da stupirsi dunque che, in qualche modo, scritti come quelli riassunti debbano considerarsi quali degli antecedenti piuttosto remoti di punti di for­za della critica alle più ingenue delle posizioni dei "credenti": la separazione netta e il congedo senza rimpianti fra le storie di "contatti" con entità extraterrestri di vario genere e la fenomenolo­gia UFO e il sorgere di una capacità critica sulla casistica e sulle categorie IFO.
Però il "razionalismo" veschiano, a ben vedere, non pare frutto di una scelta consapevole, quanto piuttosto l'esito di una serie di fatti contingenti - sui quali, certo, aveva ragione - ma funzionali alla solidificazione di un sistema di credenze del tutto ellittico rispetto alle linee evolutive del pensiero ufologico critico attuale.
Vesco diceva sì che certi casi non erano dovuti a "navi madri degli extrater­restri", ma a palloni sonda, ma senza dimenticare che per lui con i dischi volanti gli inglesi andavano sulla Luna ... dal 1951.
Dall'ufologia italiana Vesco ricevette un silenzio che sottendeva da un lato il di­sappunto per il netto rifiuto dell'ETH, fatto allora più unico che raro nel no­stro paese, dall'altro, forse, l'imbarazzo per la gran quantità di argomentazioni tecniche che il genovese apportava e che ciascuno potrà agevolmente con­frontare con il quadro in genere modestissimo della produzione degli appassionati italiani precedente il 1973. Si conoscono soltanto un paio di recensioni, qualche critica poi ripresa in varie forme e nient'altro (3). Non è da dubitare che questo sostanziale isolamento, non disgiunto dalla psicologia particolare dell'uomo, abbia nel tempo contri­buito al delinearsi dell'atteggiamento misantropo da parte di Vesco. Quella che si riproduce in quest'articolo è la sua prima foto pubblicata. Non si han­no nemmeno presenti ufologi che lo abbiano mai incontrato di persona. Un'eccezione degna di rilievo fu rap­presentata da Pier Luigi Sani. Prima che l'ultimo elemento della triade libraria fosse reso noto. Sani elaborò il saggio I "dischi volanti " di Renato Vesco, una rassegna critica dei primi due lavori di Vesco che poi pubblicò sul n. 47 del settembre-ottobre 1972 del bollettino del CUN. "Notiziario UFO".
Sani ammetteva di non essere in grado di valutare a fondo le argomentazioni specificamente aerotecniche di Vesco. La mancanza di un tentativo di ricostru­zione dettagliata delle fonti e dei percorsi seguiti dallo studioso nell'edificazione della sua fede nei "dischi" in­glesi fu una delle mancanze più gravi nel rapporto che l'ambiente ufologico instaurò con lo scrittore. A proposito, il tentativo - parziale e da proseguire - più ampio che sia stato fatto finora è senz'altro quello del secondo degli autori di questa biografia. che se ne occupa nel suo prossimo "Ultimatum alla Terra" (UPIAR, 2000).
Sani si concentrava dunque per forza sulle critiche più propriamente "ufologiche ai ragionamenti veschiani. Dopo aver stigmatizzato il disprezzo a volte non troppo celato che lo scrittore nutriva per i sostenitori dell'ETH, si chiedeva perché gli inglesi non avessero mai fatto ricorso ai dischi volanti nei conflitti e nelle crisi internazionali successive alla Seconda Guerra Mon­diale, e come avessero fatto a tenere il segreto di questa tecnologia per (allora!) venticinque anni. Gli UFO erano inoltre stati osservati in tutto il mondo, anche sull'allora blocco sovietico, in spregio ad ogni necessaria prudenza per un tale segreto militare. E come mai nessun altro studioso di ufologia nel mondo aveva raggiunto conclusioni analoghe a quelle di Vesco? Particolar­mente grave apparivano poi a Sani la volontà di Vesco di negare qualsiasi rilevanza di studio alle osservazioni UFO precedenti la fine della Seconda Guerra Mondiale e il completo disinteresse e sprezzo per gli incontri ravvicinati del terzo tipo, che persino Vesco (tranne qualche rara eccezione) non si sentiva di attribuire a ... equipaggi inglesi.
Come già detto, in linea di principio i rapporti di Vesco con il mondo ufologi­co furono piuttosto scarsi, e comun­que non certo concordi. Un'eccezione è senz'altro rappresentata dal legame di collaborazione che fra il 1970 ed il 1973 ebbe con la rivista torinese "Clypeus" di Gianni Settimo e con il bimestrale "Pianeta'. Di fatto, se si ricostruisce in maniera sistematica la bibliografia veschiana, ci si rende conto con facilità che essa può essere suddi­visa in alcune fasi, in un paio delle quali si concentrò gran parte degli scritti ufo­logici del nostro. Per inciso, circa l'estensione quantitativa dei suoi lavori, in una missiva a Marcello Pupilli Vesco precisava che "...sono molti (non li ho mai contati; saranno un centinaio, o poco più) brevi, medi o lunghi articoli su quotidiani, settimanali tecnici e rivi­ste varie, relativi a questioni di caratte­re aeronautico. Astronautico, storico e numismatico (e ovviamente, anche ufologico ifologico)".
Dunque, visto che finora a quanto ri­sulta si è riusciti a risalire a poco più di cinquanta scritti, è chiaro a sufficienza che un certo numero di cose veschiane - anche se presumibilmente spesso del tutto estranee alla sua attività di ufolo­go, non sono state ancora individua­te e catalogate dagli studiosi. Comunque, per tornare alle possibili suddivisioni della sua attività pubblici­stica, la prima fase si protrasse dal 1951 al 1957, ed essa può esser definita come quella della “nascita” e della "cristallizzazione" della teoria dei dischi volanti inglesi; la seconda, successiva all'im­barco su navi mercantili e ad una permanenza negli Stati Uniti, è in sostanza segnata dall'importante serie di articoli uscita su "Settimana INCOM” nel 1963, serie che sta a dimostrare come in quel momento Vesco avesse già delineato gran parte dell'intelaiatura che poi amplierà in maniera quasi patologica nella trilogia libraria che vedrà la luce fra il 1968 ed il 1972. Questa terza fase è in parte concomitante ad una quarta, os­sia a quella in cui, fra il '70 ed il '73, Vesco intensificò di nuovi gli interventi a difesa delle proprie convinzioni.
Dalla metà degli anni '70 si assistette ad un rapido declino della produzione ufologica veschiana. Tristi vicende per­sonali che nulla aggiungerebbero alla comprensione del suo pensiero ufolo­gico contribuirono alla sostanziale usci­ta di scena di quest'uomo. Eppure. dal­la fine degli anni '80 Vesco intrecciò la già rammentata. copiosa corrisponden­za con alcuni membri del CISU, dapprima con Marcello Pupilli e poi con Roberto Raffaelli. Si tratta di un aspetto della produzione intellettuale di quest'uomo che va raffrontata, per inquadrarla meglio, con le peculiarità dell'in­dividuo. Con l'archivio di Vesco è stata recuperata un'enorme quantità di periodici e di ritagli di giornale che Vesco aveva l'abitudine di chiosare con commenti spesso minuziosissimi. anche vergati a latere dei ritagli stessi. Molti altri dattiloscritti non sono stati ancora esaminati con cura, e in specie quello in più tronconi e purtroppo frammentario, concernente la ricostruzione di ciò che sarebbe dovuto diventare il suo quarto libro. "Luna Britannica", i cui "resti" ora, insieme alle fonti utiliz­zate. sono conservati dal CISU. Vesco completò in realtà soltanto sei capitoli su dieci previsti da scrivere, poi. preso dallo sconforto per la mancata accettazione da parte della comunità ufologica della sua teoria scaraventò tutto nel ce­stino.
Vesco comunque realizzò il progetto di una compiuta presentazione delle sue teorie solo a cavallo tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70. Presso le edizioni Mursia di Milano uscirono in­fatti nel '68 "Intercettateli senza spara­re. La vera storia dei dischi volanti", nel '69 "I velivoli del mistero. I segreti tec­nici dei dischi volanti" e infine. nel '72. "Operazione Plenilunio. I voli spaziali dei dischi volanti", tre volumi sempre più corposi. per un totale di quasi 1300 pagine accompagnate da un gran nu­mero di illustrazioni fuori testo e da un apparato di note spinto quasi ai limiti del patologico (alcune, stampate in cor­po tipografico 8, sono lunghe anche dieci pagine).
Per rendersi conto di quanto Vesco rien­trasse sotto molti profili in un quadro teorico "tradizionale", basterà leggere la parte del volume del 1969, che si estende dalla p. 182 alla 240. dedicata ai "capelli d'angelo'. Egli ragionava da molti punti di vista come uno studioso di ufologia "serio' che, con un approc­cio eminentemente tecnico, cercava di attaccare il problema UFO. Certo nelle storie di dischi volanti c'erano molte sciocchezze. diceva pure lui, ma le preoccupazioni di tipo "culturale" legati alle scienze untane, alla critica dei dati, all'elaborazione di risultati quantitativi e così via erano ancora lontane dalla grande maggioranza degli appassionati, in specie da quelli italiani e dunque quasi inevitabilmente anche da Vesco. Non pare un caso che l'ultimo inter­vento pubblico di Vesco sulla questione UFO sia rappresentata da una lettera a Pier Luigi Sani che costui inserì alle pagine 39-40 del numero di dicembre 1981 del mensile milanese "Gli Arcani". Vesco rivendicava di aver formulato la sua ipotesi "terrestre" non già con i tre libri, alla fine degli anni '60, ma nel 1952 (circostanza, come si è vista, documen­tata dall'evidenza documentaria) e di ri­tenere che prima di tutto i dischi volan­ti inglesi fossero non "armi segrete", bensì "nuove e segrete forme di loco­mozione aero-spaziale".
Con la sospettosità che gli era propria adombrava che il secondo e il terzo libro, al contrario del primo, non fossero stati tradotti al­l'estero perché vittime di "immediate, discrete pressioni perché la serie si ar­restasse". Probabilmente, però, Sani era rimasto colpito da una comunanza ideologica neanche tanto sotterranea che per certi versi lo aveva inaspettatamen­te accostato a quest'uomo le cui teorie aveva più volte criticato con fermezza. Ed è un altro punto che si vuole sotto­lineare nella linea ricostruttiva traccia­ta. Nella seconda parte del suo inter­vento, infatti, Vesco attaccava senza meno le tendenze "parafisiche" che avevano dominato buona parte del panorama ufologico degli anni '70 ma, soprattutto, concludeva scrivendo che lui non era mai stato "un nemico dichiara­to degli ufologi". Anzi, sosteneva di aver letto "con molto interesse i grandi ufologi del passato" (citava Keyhoe, i Lorenzen, Michel, Garreau, ecc.) "apprezzandoli per la profondità delle indagini". Invece, le "nuove generazioni ufologiche", "che grigiore! Che mono­tonia". La "vigorosa fiaccola dell'ufologia di un tempo" era ormai ridotta "ad un fioco lumicino", e questo gli dispiaceva "sinceramente".
Sani non poteva sentir risuonare alle sue orecchie musica migliore. In que­sto modo, ed è questo che interessa qui sostenere, Vesco si collocava in un quadro storico ben preciso e affonda­va le sue radici in alcuni momenti deter­minati della genesi del fenomeno dischi volanti. E questo, come sempre, è ciò che ad avviso di chi scrive non biso­gna dimenticare mai nemmeno per un attimo se si vuole comprendere il lin­guaggio di tanti appassionati, specie di quelli ormai da noi così distanti. Ma un altro particolare storiografico di grande importanza è che, fino a quel momento, nessun italiano, qualunque orientamento sostenesse, aveva mai prodotto un corpus pubblicistico tanto massiccio ed argomentato sugli UFO. Il primo dei tre volumi - come anticipato - fu tradotto all'estero, sempre nel '68, come "Intercept, but don't shoot!", dalla Zebra Books di New York e dalla Pinnacle Books e, nel 1971, dalla Grove Press. Ci fu anche una versione spagnola.
Questo breve periodo di notorietà in­ternazionale gli fruttò persino la nascita di una serie di "leggende" sulla sua vicenda personale e sulle sue competenze. Nell'agosto del 1969 il tabloid americano "Argosy" pubblicò un arti­colo a sua firma ("The Truth about Flying Saucers") che in realtà era il contenuto di un'intervista da lui rilasciata, come spiegò molti anni dopo in una mis­siva a Marcello Pupilli. Questo pseudo-articolo fu probabilmente all'origine di molte distorsioni sul suo conto. Vesco era infatti descritto come "fully licensed aircraft engineer and a specialist in aerospace and ramjet developments", mentre la sua carta intestata lo definiva correttamente "aerotecnico" e lui non si era mai definito ingegnere. E ancora: "he attended the University of Rome and, before World War u, studied at the German Institute for Aerial Development". Anche questa è una sciocchezza: non solo Vesco non andò mai all'università, ma alla fine della Se­conda Guerra Mondiale aveva appena vent'anni e otto mesi. "Before World War u" aveva i calzoncini corti, e stava sui banchi di scuola ad Arona.
Poi venivano le cose più insidiose: "Du­ring the war, Vesco worked with the Germans at the Fiat Lake Garda secret in­stallations in Italy". Nessuna fonte di nessun tipo ha mai avvalorato qualco­sa del genere. Né nelle carte personali di Vesco, né nella sua biografia è stato mai rinvenuto nulla, né alcun tipo di ri­ferimento è mai stato fatto dallo studio­so o da altri. Per ingigantirne oltre il dovuto la personalità si aggiungeva che "he is currently (nel 1969, N. d. R.) atta­ched to the Italian Air Ministry". Vesco in realtà fece parte per almeno cinque anni del personale della Marina Mercantile, e poi lavorò come magazziniere-contabile a Genova. Può darsi, però, che come ex-militare mantenesse rapporti d'amicizia con qualcuno (4). Persino sui contorni del pensiero, della vita e del lavoro di un uomo dei nostri tempi, che ha vissuto buona parte della vita in una grande città italiana, il giornalismo sensazionalistico e la mitogenesi che continuamente lavora intorno al problema UFO riescono a compiere la loro opera.
Può darsi che nel caso di Renato Ve­sco, questo compito, che certo va in senso contrario a quello dell'ufologia razionalista e della cura filologica per il passato, sia stato facilitato dalla misantropia dell'uomo e dalla solitudine in cui troppo a lungo scelse di vivere e nella quale maturò le proprie convinzioni.
L'acquisizione dell'archivio di Vesco da parte del CISU probabilmente contribuirà a chiarire in maniera definitiva al­cuni punti della nascita della teoria dei "dischi anglo-canadesi" che ancora rimangono in ombra. Ma probabilmente non è da quelle carte che verranno le risposte alle questioni che a tutt'oggi stanno al centro della fenomenologia ufologica.

Giuseppe Stilo


NOTE

(1) Il generale di divisione di arti­glieria Vittorio Montezemolo de­scrisse un nuovo tipo di proiettile, costituito da un disco piatto rotante velocemente attorno al suo asse, lanciato meccanicamente, capace di colpire bersagli a grande distan­za. Il proiettile era definito "slittan­te" perché compiva la parte discen­dente della traiettoria planando nel­l'aria. Quanto a Luigi Sarracino, gli autori hanno presenti solo alcuni scritti di teoria balistica degli anni '30.

(2) A riprova di una certa attenzione che la sua uscita suscitò pure in ambienti militari, c'è la ristampa che il saggio in due parti ebbe nel­la pubblicazione interna a circola­zione confidenziale 'Notiziario Scientifico - Militare dello Stato Mag­giore dell'Esercito - Ufficio Ricerche e Studi", n. 24 del gennaio - aprile 1954, alle pp. 145-179.

(3) Alcuni ufologi inglesi, come Gordon Creighton sulla "Flying Saucer Review" reagirono con toni irridenti. Anche all'estero, comunque, non è che la trilogia libraria abbia su­scitato grande scalpore.

(4) Nel 1995 Vesco, anziano e sfi­duciato, si vide pubblicare persino un altro libro da lui firmato insieme a David Hatcher Childress, "Man­Made UFOs 1944-1994. 50 Years of Suppression". Un testo sui "di­schi nazi" con il quale non aveva nulla a che fare.


[Modificato da Gabrjel 13/12/2011 09:02]
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